15.12.2024

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Notte di Natale nel bosco di Rosegger
31 Gennaio 2014

Notte di Natale nel bosco di Rosegger


La crisi della Natività è il prodotto della cultura atea ottocentesca. Le fa eccezione lo scrittore austriaco Peter Rosegger. Finezza autobiografica, umanità e amore per i costumi regionali caratterizzano i suoi romanzi. Compreso un suo imperdibile racconto di Natale

Si è diffusa negli ultimi anni, nelle ricche società occidentali, la sensazione che il Natale “si senta di meno”, e molti arrivano al 25 dicembre in una specie di vortice luccicante, al termine del quale il nulla. La sociologia sostiene che sia effetto del miraggio che aveva incantato le generazioni povere del dopoguerra allettando uomini e donne con promesse di cibo, oggetti, vestiario; poi è venuta la società dell’opulenza, e il senso cristiano della Natività, essendo una “sovrastruttura” rispetto ai desideri di base degli esseri umani, è evaporato.
Questa spiegazione però è falsa. Secondo alcuni scrittori la “perdita del senso del Natale” non è colpa del consumismo o del benessere: la causa sta nella crisi di coscienza di un’intera civiltà, nel dramma collettivo che si compie quando milioni di persone dicono di no, per milioni di volte, agli inviti segreti del mistero che cova nel profondo di ogni animo. In molte pagine Gilbert K. Chesterton, per esempio, restituì i frammenti del senso del Natale ai cuori induriti dei suoi contemporanei (e possiamo oggi gustare alcuni suoi articoli nella bella raccolta Lo spirito del Natale, edito da D’Ettoris Editori, 2013; pp.152 € 12,90).
Perché la pietrificazione dei cuori avvenne in piena coscienza, e non per caso. Ne furono responsabili consapevoli le elites culturali e politiche che condussero le Nazioni occidentali verso il “progresso” attraverso l’epoca storica della lunga “pace liberale” ovvero la Belle Epoque: era l’Ottocento. In quell’epoca, il famoso “Canto di Natale” di Dickens e le strazianti fiabe di Andersen, come “La piccola fiammiferaia” oppure “L’abete”, raccontarono le malinconie di una società che si dirigeva a tutto vapore verso una stazione desolata: avrebbe prodotto un insieme di invidui egoisti, sradicati dalla primigenia pietà dell’animo; il personaggio letterario tipico di Ebenizer Scrooge verrà riarrangiato nel ’900 da Walt Disney nella figura un po’ più malleabile ma agnostica di Paperon de’ Paperoni. Intanto, la trasformazione del cuore umano in un oggetto ottuso alla voce del Dio Bambino era avanzata, nel XIX secolo, a grandi passi, sotto il maglio filosofico di una visione scientifica del mondo che escluse per principio quanlunque ipotesi di una benché minima presenza di Dio nella realtà: era il Positivismo, matrice dalla quale sono fuoriuscite in seguito tutte le ideologie.

Nella radura felice
Ma qua e là nella moltitudine delle genti ignote, anche nell’Ottocento esistettero delle eccezioni: tra costoro, lo scrittore austriaco Peter Rosegger. Nato da umili origini nel 1843 a Krieglach tra i verdi boschi alpini della Stiria, figlio di contadini, fu apprendista sarto e fece studi commerciali a Graz; da quando fondò la rivista “Heimgarten” divenne lo scrittore-fautore di un legame quasi religioso con la terra natia, e si affermò con “Gli scritti del maestro di scuola nel bosco” (1875), per poi produrre romanzi realistici vivaci e venati di bonario umorismo. Benché oggi in Italia i suoi libri siano sprofondati nell’oblio, il suo nome è noto perché Konrad Lorenz ha citato i suoi versi in esergo a “L’anello di Re Salomone”: «Ciò che seminai nell’ira / crebbe in una notte / rigogliosamente / ma la pioggia lo distrusse. / Ciò che seminai con amore / germinò lentamente / maturò tardi / ma in benedetta abbondanza»..
Se la storia della letteratura non andasse alla rovescia, favorendo il pessimo a svantaggio della vera arte, ora noi studieremmo Rosegger e non Verga: è qui il vero verismo. Finezza autobiografica, umanità e usi e costumi regionali sono la stoffa della quarantina di volumi di racconti e romanzi roseggeriani, fra cui Il cercatore di Dio (1883), Giacomo l’ultimo (1888), I.N.R.I. (1905): a quel tempo popolarissimo in Austria, fu anche un insegnante perspicace ed ebbe meriti di educatore proprio per l’intento pedagogico che gli fece esaltare la tradizione paesana e a difenderne l’idillio dalla tecnica e dallo scetticismo della civiltà moderna. Giusto cento anni fa, fu sul punto di venire insignito del premio Nobel; ma ormai l’Europa era accecata dai modernismi e pendeva sull’abisso di una Guerra Mondiale, mentre Rosegger aveva osato scrivere che «se vivessimo di più per la nostra patria, forse non sarebbe necessario morire cosí spesso per difenderla ». E aveva riscoperto la virtù umana della pietà, esprimendola anche in quella sua quartina che recitava così: «Sul cammino verso la luce non lasciate indietro nessuno. / Conducete con voi chiunque è dimenticato dalla fortuna; / a chi si spense la lucerna, a chi non arse mai la fiamma, / il bambino che mai conobbe la stella che guida».

La casa nella foresta

L’ultimo libro di Rosegger tradotto e stampato in Italia risale a oltre novant’anni fa ed è purtroppo irreperibile: segno che le patrie lettere, nel campo del bene, sono indietro. Perciò mi permetto di offrire ai lettori un racconto natalizio roseggeriano quasi introvabile (però è gratis on-line all’indirizzo www.descrittiva.it/calip/0809/racconto- di-natale2008.pdf): sembra all’apparenza infantile e fuori moda, ma in realtà è solo controcorrente perché il suo autore sostiene che «l’infanzia non è semplicemente un tempo di preparazione alla vita, come sovente siamo portati a pensarla per i nostri figli, ma è già vita essa stessa».
Una vicenda suggestiva, poiché rievoca nei nostri cuori postmoderni l’eco di una benedetta nostalgia: la nostalgia per l’origine. La trama ha infatti inizio in una “stube”, la stufa tirolese accesa nei lunghi inverni, e il primo protagonista è un oggetto, lo sgabello di legno che la nonna ogni sera usa per inginocchiarsi e recitare le preghiere. Subito dopo, inizia la narrazione emozionata e candida (forse dal punto di vista dello scrittore austriaco con occhi “ritornati bambini”) di una vigilia di Natale memorabile, quando ai piccoli si diceva “sta’ zitto e dormi” e gli adulti si avviavano nella notte santa verso la chiesa parrocchiale, la quale, dal maso della Stiria di cui si tratta, distava parecchie ore di cammino. I figli, già nel letto, li accompagnavano nei sogni, sentendo le campane, il suono dell’organo di lontano, il Canto corale del Gloria e i candelieri sull’altar maggiore, e gli angeli dalle ali d’oro: uno di loro, con la tromba, uscendosene fuori tra i boschi e le pinete, annunciava a tutto il mondo che il Salvatore è nato.
Non si creda però che per Rosegger la vita sia tutta miele e fiori: altroché. Da un capo all’altro dei suoi libri riecheggia, sotterranea, la domanda tremenda anche per noi: «ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8).

Potremmo dunque chiedere questo, come regalo di Natale a Gesù Bambino: un cuore nuovo, a immagine del Suo, che sappia sentire gli inviti segreti del mistero che cova nel profondo. La poesia natalizia, quest’anno, la offrirebbe proprio Peter Rosegger; s’intitola Ein bisschen mehr Frieden (Un po’ di pace in più):

Un po’ di pace in più e meno litigio
un po’ di bontà in più e meno invidia
un po’ d’amore in più e meno odio
un po’ di verità in più – sarebbe tanto.

Invece di tanta agitazione
un po’ più di serenità
invece di sempre Io un po’ più di Tu
invece di paura e scrupoli
un po’ più di coraggio
e forza per agire – sarebbe bene.

Nell’afflizione e nel buio un po’ più di luce
Nessun desiderio assillante, un po’ di rinuncia
e molti più fiori finché si può
non soltanto sulle tombe – là troppo tardi
fioriscono.

Un po’ di pace in più e meno litigio.
un po’ di bontà in più e meno invidia.
un po’ d’amore in più e meno odio.
un po’ di verità in più – sarebbe tanto.

La meta sia: pace del cuore,
cosa migliore non so!

IL TIMONE N. 128 – ANNO XV – Dicembre 2013 – pag. 48 – 49

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