Per guarire dalla terribile malattia del nichilismo, ancor più grave vista la minaccia dell’Islam, l’uomo occidentale deve ripristinare le grandi domande filosofiche (specialmente quella su Dio) e la ricerca della virtù.
Perché l’Occidente è in crisi e appare sempre più debole nei confronti dell’Islam? Naturalmente ci sono molte cause che spiegano questa crisi, ma è certo che la malattia mortale di cui soffre al giorno d’oggi l’Occidente è il nichilismo, che Nietzsche gli aveva diagnosticato più di un secolo fa. Più precisamente, la nostra civiltà è in crisi perché la maggior parte degli uomini contemporanei è vittima del nichilismo. Infatti, come già dicevano Platone e S. Agostino, lo stato e la storia dell’uomo dipendono da ciò che prevale e predomina nell’intimo di ciascun essere umano. Ora, il nichilismo in cui è sprofondato l’uomo occidentale contemporaneo era già stato teorizzato nel V secolo a.C. da Gorgia, ma allora la cultura greca aveva reagito; invece oggi esso è la mentalità più diffusa della filosofia e della cultura contemporanea, e si può sintetizzare così: l’esistenza e la vita umana sono insignificanti (per es. Sartre ha detto che l’uomo è una passione inutile), visto che n on esiste alcun fine, scopo e senso, né per la vita, né per tutto ciò chenesiste in generale.
La civiltà greca aveva reagito al nichilismo di Gorgia perché ben presto Socrate aveva rilanciato le grandi domande che, prima di lui, avevano inaugurato la filosofia e che costituiscono la direttrice fondamentale di ogni autentica ricerca filosofica: chi sono? Da dove vengo? (cioè, qual è la mia origine?) Dove vado? (cioè qual è il mio fine?) Esiste Dio? E se c’è Dio perché esiste il male? Che cosa sono il bene e il male? Siamo liberi? Ecc.
L’uomo contemporaneo non si sforza più di rispondere a queste domande radicali, nemmeno prova a rispondere e dunque non prende consapevolezza della propria origine, identità e fine. Ora, la questione più importante di tutte, perché la sua risposta consente di rispondere a tutte le altre, è quella che concerne l’esistenza di Dio (ed era già la questione più rilevante per i primi filosofi, che si interrogavano sull’archè, sul principio di tutte le cose), ed è chiaro che l’atteggiamento nichilistico coincide anzitutto proprio con la morte di dio. E come è avvenuta la morte di Dio? Risponde Nietzsche: «Siamo stati noi ad ucciderlo […] siamo noi i suoi assassini», cioè siamo stati noi uomini occidentali che ci siamo allontanati da Dio, dalla pietra angolare della nostra civiltà, in buona misura mediante un atteggiamento di disinteresse verso Dio, più che non attraverso una sua negazione esplicita (come quella che invece Nietzsche ha tentato). E la morte di dio è l’eliminazione del fondamento, del punto di riferimento della stella polare della nostra civiltà. Insomma è chiaro, come diceva Kierkegaard, che la malattia mortale dell’Occidente è la perdita della fede in Dio e in Cristo, una perdita di fede che è scandalosa perché nasce dall’indifferenza: «è scandalo lasciare il Cristo nell’indifferenza. Il fatto che il cristianesimo ti è stato annunziato significa che devi farti un’opinione intorno a Cristo; Egli, ovvero il fatto ch’Egli esiste ed è esistito, è la decisione di tutta l’esistenza». Insomma, la malattia mortale che insidia la nostra sopravvivenza, che ci rende deboli, estenuati, fiacchi, che ci rende poco capaci di reagire al tentativo del terrorismo di distruggerei, è certamente e principalmente la dimenticanza delle nostre radici cristiane, che Giovanni Paolo Il ha reiteratamente ed accoratamente ricordato.
Avendo già parlato dei valori cruciali di cui anche i non credenti sono debitori al cristianesimo (cfr. Il Timone n. 27, pp. 6-7, a cui rimando come integrazione necessaria di questo articolo), dopo aver qui ribadito l’importanza cruciale della domanda su Dio e della fede per la sopravvivenza della nostra civiltà, mi preme da ultimo mettere in luce almeno due di quei lasciti greci che hanno fatto nascere la nostra civiltà e che i cristiani hanno in seguito irrobustito, e che dobbiamo tornare a nutrire per guarire dalla malattia nichilistica.
In primo luogo dobbiamo rivitalizzare l’atteggiamento teoretico, vale a dire contemplativo, e proprio a partire da tale rivitalizzazione dobbiamo ricominciare a porci grandi interrogativi. L’atteggiamento dei. Greci di fronte alle cose consisteva infatti nel domandarsi «che cos’è questa cosa?» a prescindere dalla sua utilità/disutilità, vantaggiosità/nocività. Si trattava di un atteggiamento non utilitaristico, non pragmatistico, di stupore e di meraviglia, da cui scaturirono le grandi domande, in particolare su Dio e sull’uomo. Si tratta di un farmaco fondamentale contro lo scientismo, cioè contro il predominio di una scienza e di una tecnica che, solidali con il nichilismo, a partire dalla rivoluzione scientifica operarono, come scriveva Husserl già nel 1954, «un allontanamento da quei problemi che sono decisivi per un’umanità autentica»: infatti «nella miseria della nostra vita […] questa scienza non ha nulla da dirci. Essa esclude di principio quei problemi che sono più scottanti per l’uomo, il quale nei nostri tempi tormentati, si sente in balia del destino; i problemi del senso e del non-senso, dell’esistenza umana nel suo complesso».
Un farmaco contro lo scientismo che ha svincolato il progresso stesso della scienza da ogni norma etica e che ha condotto Hiroschima, alla clonazione, all’eugenetica, ecc.
In secondo luogo, dobbiamo riprendere dai greci l’esortazione a ricercare la virtù, cioè a mirare all’eccellenza morale, a coltivare ciò che siamo interiormente ed a ridimensionare (senza eliminare) l’importanza dei beni materiali che abbiamo, o dei beni come il successo, il prestigio, il potere, ecc., o dei beni del corpo come la bellezza, la forza, il vigore, ecc. Come diceva Socrate: «non dei corpi dovete prendervi cura, né delle ricchezze, né di alcun’altra cosa prima e con maggior impegno che dell’anima, in modo che diventi buona il più possibile», tanto che, come diceva Aristotele, l’uomo virtuoso compie molte azioni virtuose «anche se dovesse morire», perché «preferisce ciò che è bello [cioè la virtù] ad ogni altra cosa».
Su questi due fondamenti la cultura romana e il cristianesimo hanno apportato i loro cruciali contribuiti per costruire quella identità dell’uomo europeo ed occidentale, che dobbiamo ri-alimentare affinché l’Occidente, etimologicamente terra del tramonto, non diventi la terra al tramonto.
RICORDA
«[…] l’uomo moderno soffre di una personalità indebolita. Come il Romano dell’epoca imperiale abbandonò la sua romanità rispetto al mondo che era a lui soggetto, come egli perdette se stesso sotto l’irrompere delle cose straniere e degenerò in mezzo al cosmopolitico carnevale di dei, costumi e arti, cosi deve accadere all’uomo moderno».
(F. Nietzsche, Considerazioni inattuali, in Opere, Adelphi, voI. III, tomo I, p. 295).
BIBLIOGRAFIA
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IL TIMONE – N. 35 – ANNO VI – Luglio/Agosto 2004 – pag. 32 – 33