Il vero volto delle battaglie anti-omofobia. Giusto rivendicare il rispetto delle persone, ma in questo caso si vuole andare oltre. E sovvertire il senso comune. Attaccando la Chiesa e il Papa
C’era una volta – a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo – il Vietnam, e si scendeva in piazza contro l’imperialismo yankee. Oggi, 40 anni dopo, ci siamo evoluti e ci sono i Gay pride (con la variante Europride), e si scende in piazza contro l’omofobia. C’era una volta Joan Baez, icona (simbolo) del pacifismo e della lotta per i diritti civili, oggi c’è la signorina Stefani Joanne Angelina Germanotta, in “arte” Lady Gaga, cantante pop italoamericana icona del movimento LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transgender e pure intersex). Forse è finito l’imperialismo americano e non c’è più bisogno di fare battaglie per la pace? Niente affatto: l’imperialismo ha assunto nuove forme (anche se la sinistra finge di non vederle) e le guerre continuano a mietere vittime innocenti. Ma c’è chi preferisce fare battaglie per il riconoscimento dei “diritti” degli omosessuali, a cominciare dal “matrimonio” tra due persone dello stesso sesso, perché ritiene queste battaglie la cosa più importante che si debba fare per vivere felici e contenti nella nostra società. Tutto il resto viene dopo.
Fino a qualche tempo fa il variegato e variopinto e chiassoso mondo che ruota attorno ai Gay pride era ancora visto con qualche sospetto (e timore: nella parola omofobia c’è appunto il termine “fobia”, che significa paura). Ora le cose stanno cambiando, c’è stato lo “sdoganamento”, la mentalità comune si è adeguata in fretta e quasi nessuno si scandalizza più. Il punto di svolta è stato l’Europride dell’11 giugno scorso a Roma, che si è trasformato in una festa vivace e colorata, una festa grottesca (non mancavano infatti i carri carnevaleschi), ma pur sempre una festa. Con tanto di benedizione del sindaco Alemanno e del presidente della Regione Lazio, signora Polverini, entrambi di centrodestra, che si sono prontamente adeguati all’“aria che tira”.
Tutto bene, allora? Mica tanto. Proviamo a fare qualche riflessione.
Da minoranza “perseguitata” a potente lobby
La prima riflessione, persino ovvia, è che nessuno si sogna di dare spazio all’odio per chi ha un diverso orientamento sessuale; né si giustificano violenze di alcun tipo, anche verbali, e offese. Il rispetto per la persona è la regola fondamentale della nostra convivenza, sancito con chiarezza anche dalla Costituzione, all’articolo 3 [vedi box]. Nel mondo ci sono Paesi, molti dei quali nell’area islamica, dove la condizione e la pratica omosessuale sono considerate reato, o comunque motivo di emarginazione, discriminazione e condanna sociale. Non è certo il caso dell’Italia, dove non solo gli episodi di violenza sono sempre più rari e circoscritti, ma dove il movimento gay (con annessi e connessi) sta assumendo una forza e una capacità di orientamento dell’opinione pubblica sempre più consistenti, al punto di porsi come una vera e propria lobby.
La chiassata dell’Europride, che ha goduto addirittura della “protezione” e dell’incoraggiamento del Dipartimento di Stato americano – con tanto di messaggio di solidarietà di lady Clinton – di fatto ha costituito una dimostrazione di forza e di capacità aggregativa notevole, aldilà dei numeri trionfalisticamente sbandierati (non un milione di partecipanti, ma nemmeno mezzo milione). Non ci troviamo più quindi di fronte a una minoranza “perseguitata”, ma a un movimento sociale e politico ben organizzato, dotato di risorse e di mezzi, sempre meno osteggiato; anzi, che gode ormai di una simpatia e di una popolarità crescenti, anche grazie alla discesa in campo di personaggi carismatici come Nichi Vendola, che non ha mai nascosto la sua omosessualità, facendosene anzi un vanto.
Un’azione di forza contro la tradizione
In realtà, quando il movimento LGBT (e si dovrebbe aggiungere la I di intersex: sembra di essere in un film di fantascienza!) denuncia discriminazioni e rivendica diritti a gogò, intende non più solo il rispetto (che, come abbiamo visto, in quasi tutto l’Occidente è ormai assicurato), ma un mutamento radicale del senso comune, un’azione di forza culturale che sovverta i valori e i punti di riferimento tradizionali. L’abbiamo visto nella Spagna (al tramonto) di Zapatero, dove si deve ormai parlare genericamente di genitori, negli atti ufficiali, non più di padre e di madre, e in tanti altri Paesi, che ormai ammettono serenamente le nozze gay, la possibilità di adottare da parte di coppie omosessuali, e così via. Nelle scuole si vuole che prenda piede un certo tipo di “indottrinamento” favorevole all’accettazione dell’omosessualità come fatto del tutto naturale («C’erano una volta un re e un re») e chi più ne ha più ne metta. In particolare, da noi sta attraversando una difficile fase di gestazione la cosiddetta “legge contro l’omofobia”, che non si limiterebbe a una serie di norme di salvaguardia delle persone, ma – secondo alcune forze politiche e i movimenti gay – dovrebbe considerare come aggravante il fatto che la discriminazione avvenga a causa dell’orientamento sessuale. Un’evidente rottura del principio di uguaglianza di fronte alla legge.
La Chiesa, un ostacolo da abbattere
C’è un ultimo aspetto, non indifferente, da considerare. I ripetuti e grossolani attacchi contro la Chiesa cattolica e il Papa. La galassia gay, in particolare nelle sue frange più radicali, ha individuato l’ostacolo, il nemico da abbattere: appunto la Chiesa, soprattutto nella figura del Papa regnante, Benedetto XVI, preso di mira sin dal suo insediamento. La colpa? Continuare a sostenere la posizione tradizionale della Chiesa, che considera la pratica omosessuale come un disordine morale, non conforme alla natura della persona umana. Proprio l’Europride, per riferirsi a un esempio recente, ha offerto un campionario edificante di questi attacchi, con una serie di cartelloni e di scritte che è poco definire volgari, e che ci crea qualche imbarazzo riferire. Basti sapere che il Papa è ribattezzato «Nazinger», che è apparsa la scritta «Ratzinger ama il tuo prossimo ma non come Hitler» e che in un cartellone sempre Benedetto XVI è stato raffigurato in un fotomontaggio in mutande, con il reggicalze e la scritta: «Veste Prada ma è amica [al femminile!, ndr] di Satana». Si potrebbe obiettare: «Non ti curar di loro…». Purtroppo non è possibile, perché a Roma la gente comune applaudiva e si faceva fotografare – come se fossero centurioni dell’antica Roma o guardie svizzere – accanto alle cosiddette drag queen (omosessuali maschi travestiti in appariscenti abiti femminili, che si esibiscono in spettacoli di varietà, ma anche sulle piazze e nei cortei dell’orgoglio gay).
Ovviamente nessuno si è stracciato le vesti o ha accennato la minima protesta per le gravi offese ai credenti e soprattutto al Papa. Diritti a senso unico, rivendicazioni a senso unico, battaglie a senso unico. Tra l’attacco esibito all’Europride e l’azione squadristica di pochi giorni prima in una chiesa milanese, dove la messa è stata interrotta da un commando dei Centri sociali che accusava il parroco di fare il suo mestiere – cioè insegnare la sana dottrina cattolica in tema di morale sessuale – in fondo non c’è nessuna differenza. Sotto gli occhi di tutti, ma tutti fanno finta di niente. Preludio di ogni totalitarismo.
La Costituzione Italiana regola la non discriminazione all’Articolo 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Non viene nominato esplicitamente l’orientamento sessuale, che rientra tuttavia tra le «condizioni personali e sociali».
IL TIMONE N. 105 – ANNO XIII – Luglio/Agosto 2011 – pag. 12 – 13
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