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13.12.2024

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Pane, amore e eutanasia
31 Gennaio 2014

Pane, amore e eutanasia

 

 

 

Stefano Lorenzetto è stato vicedirettore de Il Giornale e attualmente collabora con diverse testate nazionali come battitore libero (si dice così nel gergo giornalistico).
Cattolico e buon amico, è particolarmente specializzato in interviste. I non addetti ai lavori non sanno che sono pochi, in Italia, quei giornalisti che sanno farle, le interviste. In genere tutti pensano che questo dovrebbe essere il pane di ogni reporter, e in effetti si tratta dell’attività principale di quelli che vanno in giro con taccuino o microfono a far domande. Invece no, perché solo gli intervistati sanno come stanno realmente le cose. La cruda verità è che la stragrande maggioranza degli intervistatori non sa fare le domande.
Provare per credere. Quando non sono semplicemente stupide, le domande che ti fanno, è già tanto se non sono fuorvianti. Il mio record personale è una signorina che, dopo averle concordate con me, riuscì lo stesso a spiazzarmi e a farmi perdere il filo del discorso per il modo strampalato che aveva di interloquire. Insomma, un’intervista sta tutta nelle domande: se chi le fa è bravo, allora esce il capolavoro. Ma per essere bravi a far domande bisogna avere doti naturali, e queste non si imparano. Bisogna essere acuti e arguti, pronti di cervello e preparati, impavidi e un po’ cattivelli, cosa che non guasta. Dovrebbe essere ovvio che, se si vuole intervistare un personaggio, prima si debba raccogliere quante più informazioni possibile sul suo conto. Ma non vi enumero le volte che, intervistato al telefono, ho dovuto io spiegare tutto all’intervistato re, il quale, comandato dal suo direttore di intervistarmi su un certo argomento, aveva semplicemente alzato il ricevitore senza neanche preoccuparsi di sapere chi diavolo io fossi.
Ebbene, Lorenzetto è il contrario di tutto ciò:
quando ti intervista, attenzione perché è capace di tirarti fuori anche quello che non diresti al tuo confessore. Non a caso la rubrica settimanale che tiene su Il Giornale si chiama “Domande”. Una di queste “domande”, uscita il 31 agosto 2002, prende spunto da un compleanno, quello che l’indomani avrebbe compiuto l’americana Martha von Bulow, detta “Sunny”. Questa signora, ormai settantenne, dal 1980 è in coma in una clinica newyorkese, amorevolmente accudita dai medici e dagli infermieri che la nutrono per via endovenosa tre volte al giorno. Malgrado la donna vegeti rannicchiata in posizione fetale da quando aveva quarantotto anni, periodicamente un parrucchiere va ad acconci arie i capelli, un estetista si occupa del suo viso e addirittura un pianista suona per lei le arie di Chopin che la poveretta adorava quando era ancora in condizioni di intendere. Lorenzetto paragona il suo caso a quello dell’ingegnere monzese che a suo tempo staccò il respiratore alla moglie per “ragioni umanitarie” (ragioni che però il tribunale non volle sentire), a quello di quel padre (sempre intervistato in casi del genere) cui la legge non consente di fare altrettanto con la figlia da quasi undici anni in coma, a quello del radicale Emilio Vesce (che poi morì) cui Pannella voleva personalmente fermare i macchinari.
Tutti casi, questi, che hanno dolorosamente commosso l’opinione pubblica italiana e, puntualmente, riaperto il dibattito sull’eutanasia.
Lorenzetto non aveva evidentemente spazio per ricordare anche quegli altri casi, internazionali e clamorosi, che in qualche Paese sono stati determinanti per introdurla, l’eutanasia, e ope legis. Si è limitato, maliziosamente, a porsi una domanda (è il suo mestiere; anzi, dovrebbe esseri o di tutti i giornalisti): come mai l’americana “Sunny” non suscita sentimenti “umanitari” come quelli suesposti? E, cattivello, azzarda una risposta: forse ciò dipende dal fatto che la signora prima di finire comatosa aveva ereditato settantacinque milioni di dollari?
Non sappiamo dove il bravo Lorenzetto abbia scovato questa notizia (anche ciò fa parte del suo mestiere) né qual fine farebbero tutti quei soldi se la signora in coma decidesse di lasciare questo mondo. Né ci interessa. Quel che conta è che questa “domanda” di Lorenzetto vale da sola più di tutti i trattati contro la “dolce morte” ed è un esempio di come anche poche righe ben centrate siano più efficaci di torrenti di parole. La piaga c’è, il dito anche. Sì, perché è noto che i malati gravi cronici, gli anziani malati gravi e cronici, gli anziani malati gravi, cronici e intrattabili, i comatosi, i disabili, gli handicappati e, insomma, tutti quelli che, non essendo autosufficienti, hanno bisogno di qualcuno che se ne occupi, costituiscono un problema soprattutto per questi ultimi. Un problema vero e serio, naturalmente, che i più non sono in grado di affrontare a pane,·amore e Chopin come nel caso di “Sunny”.
Ma adesso la facciamo noi, una domanda: è un problema nuovo? Risposta: no, l’umanità l’ha sempre avuto. Un tempo se ne facevano carico congregazioni religiose, fondate ad hoc da qualche santo e operanti per puro amore di Dio. Senza spesa le famiglie, visto che il circuito della carità faceva defluire risorse dai più ricchi (per amor di Dio o per salvarsi l’anima è lo stesso) a dette congregazioni. Poi sono arrivati i Lumi e hanno sostituito la Carità (che era gratis) con lo stipendio. E con i periodici blitz dei Nas.

 


IL TIMONE N. 21 – ANNO IV – Settembre/Ottobre 2002 – pag. 52 – 53

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