15.12.2024

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Paolo il primo evangelizzatore d’Europa
31 Gennaio 2014

Paolo il primo evangelizzatore d’Europa

 

 

 

 

Fu una visione divina ad imporgli di abbandonare l’Asia. L’arrivo a Roma nel 56, l’epistolario con Seneca e il martirio per decapitazione sulla via Ostiense, nel 64.
La Chiesa antica, e in particolare quella romana, associò sempre Pietro e Paolo come cofondatori, con la loro predicazione, con la loro morte, con la loro sepoltura, della Chiesa di Roma. Che ne venerò sempre, congiuntamente, la memoria: Dionisio, vescovo di Corinto, scrivendo ai Romani nel II secolo, ricordava che ambedue avevano insegnato insieme in Italia ed erano stati messi a morte nel medesimo periodo e, nello stesso II secolo, Gaio, un presbitero romano, ricordava «i trofei» degli Apostoli, l’uno in Vaticano, l’altro sulla strada di Ostia (apud Eus. H. E. II, 25, 6/8). A livello popolare, mi sembra estremamente significativa un’iscrizione funeraria di Ostia, che il Susini datava alla fine del I o agli inizi del II secolo, in cui un membro della gens Annea, la stessa di Seneca, poneva una dedica al figlio M. Anneo Paulo Petro (CIL, XIV, 566).
Il primo incontro di Paolo con il mondo politico romano, dopo la sua conversione, avviene intorno al 48 d.C. con Sergio Paolo, proconsole di Cipro: gli Atti degli Apostoli (13,2) presentano la partenza di Paolo e Barnaba per Cipro come il frutto di una ispirazione divina ed affermano che fu il proconsole a chiamare presso di sé Paolo (che stava predicando nelle sinagoghe locali) e a convertirsi alla fede dopo averlo ascoltato. Tale incontro segnò un mutamento nella onomastica stessa di Paolo, che pure era cittadino romano dalla nascita, ma che assunse solo allora, come signum, il nome di Paolo (che negli Atti sostituisce da questo momento il suo cognome originario di Saulo). L’incontro sembra anche aver indicato la meta del primo viaggio missionario dell’Apostolo in Asia Minore, nelle regioni (Panfilia, Pisidia, Galazia, Licaonia) dove i Sergi Pauli avevano larghi possedimenti; esso segnò inoltre l’inizio di un rapporto stabile fra la potente famiglia senatoria dei Sergi Pauli e il cristianesimo, grazie alla fondazione, da parte del figlio di un proconsole, di un collegio funerario domestico (continuato poi nel II secolo dalla nipote Sergia Paullina) che sembra da identificare con una comunità cristiana.
Fu ancora – affermano gli Atti (16,8 sgg.) – una visione divina ad imporre a Paolo, in Triade, di abbandonare l’Asia per evangelizzare l’Europa, recandosi proprio nelle regioni (Macedonia e Tracia) nelle quali il nome di Europa si era affermato per la prima volta, e passando poi di lì ad Atene e a Corinto. Arrestato a Gerusalemme nella primavera del 54, vi restò prigioniero fino al 55 quando, scaduto il biennio del governo di Antonio Felice, successe a lui Porzio Festo: avendo Paolo fatto appello a Cesare, fu inviato a Roma, dove giunse, con un viaggio fortunoso, nella primavera del 56 e rimase due anni in attesa del processo «agli arresti domiciliari», come diremmo noi oggi, sotto la custodia dei pretoriani, ma disponendo della massima libertà di incontri e di parola, come affermano esplicitamente gli Atti. Alla Chiesa di Roma, che mandò ad incontrarlo dopo lo sbarco a Pozzuoli fino al Foro Appio, Paolo aveva già scritto prima dell’arresto del 54 (dal cap. 16 della lettera risulta che Claudio era ancora vivo), esprimendo il desiderio di visitarla durante il suo viaggio verso la Spagna (Rm 15,28).
La venuta di Paolo a Roma incise profondamente nello stile della comunità romana, che fino a quel momento aveva agito con molta riservatezza nella sua propaganda religiosa, evitando soprattutto ogni scontro con la comunità giudaica locale, rispetto alla quale i cristiani, riuniti per il loro culto nelle case che i nuovi convertiti, dal giudaismo e dal paganesimo, avevano messo a disposizione, si erano prudentemente isolati. Paolo convocò invece fin dall’inizio presso di sé i notabili della comunità giudaica, i quali (At 28,17) chiesero informazioni sulla «nuova» setta, di cui sapevano che «dovunque» (ma evidentemente non a Roma) suscitava contrasti col giudaismo. Uno stile analogo a quello adottato anche verso i pagani: è lo stile di Pomponia Grecina, così coraggiosa da sfidare l’ira di Messalina e da suscitare l’ammirazione di Tacito (Ann. XIII, 32), ma così riservata nella sua professione di fede da coprire per oltre quarant’anni la sua conversione al cristianesimo con la motivazione ufficiale del lutto per un’amica.
Con l’arrivo di Paolo lo scontro con la comunità giudaica avvenne subito, e il cristianesimo diventò in breve ben noto nella corte e nel pretorio: Paolo lo sottolinea nella Lettera ai Filippesi (1,12 sgg.), secondo cui, con la sua venuta, la predicazione cristiana aveva acquistato ardire e slancio, ma aveva suscitato anche invidie e contese.
Erano i primi anni di Nerone e il governo era ancora saldamente nelle mani di Seneca e di Burro: fu probabilmente Afranio Burro, in quanto prefetto del pretorio, ad assolvere Paolo nel 58, come era stata assolta nel 57, con il ricorso a una istituzione arcaica, il tribunale del marito, la cristiana Pomponia Grecina. Con Seneca il rapporto fu forse anche più stretto: tra gli scritti di Seneca ci è stato conservato un epistolario con Paolo, che Gerolamo, alla fine del IV secolo, riteneva autentico. Si tratta di 14 lettere, che sarebbero state scambiate fra il 58 e il 62 fra Seneca, ancora potente ministro di Nerone, e Paolo che, eliminate le due che chiaramente risultano aggiunte più tardi, potrebbero essere autentiche, sia per la presenza di espressioni non pensabili in un falso cristiano, sia per certe reticenze, comprensibili solo da parte di un contemporaneo.
La palese benevolenza che il governo romano mantenne verso i Cristiani, dopo la morte di Claudio e nei primi anni di Nerone, può essere a mio avviso attribuita ragionevolmente a Seneca e alla classe dirigente romana di formazione stoica, che sembra aver conosciuto con stima e guardato con simpatia alla predicazione cristiana.
Questo favore durò fino al 62, che fu l’anno della svolta neroniana, della morte di Burro, del ritiro di Seneca, ormai caduto in disgrazia, della rottura drammatica fra Nerone e gli stoici, delle nozze dell’imperatore con la giudaizzante Poppea, dell’affermazione delle pretese teocratiche di Nerone: di queste pretese i Cristiani, ormai ben conosciuti, furono sentiti come oppositori e, al pari degli Stoici, furono oggetto di persecuzione. Già prima del luglio del 64, quando Nerone additò i Cristiani di Roma come responsabili dell’incendio, l’imperatore decise di applicare il vecchio senatoconsulto del 35 che, a causa del rifiuto del senato di riconoscere lecito, secondo la proposta di Tiberio, il culto di Cristo, proclamava il cristianesimo religio illecita: è l’institutum neronianum di cui parlano Svetonio (Ner. 16) e Tertulliano (Apol. V).
Paolo, che era personalmente noto alla corte, fu messo a morte – io credo – con questa accusa, prima dell’incendio: la II Lettera a Timoteo rivela che le condizioni della sua prigionia erano ancora «civiliî» e che egli non era stato arrestato come «incendiario», ma rivela pure che egli non si faceva illusioni sull’esito del processo.
Il suo martirio avvenne per decapitazione sulla via Ostiense, agli inizi, forse, del 64.

 

BIBLIOGRAFIA

 

Marta Sordi, L’ambiente storico cultura le della missione cristiana nel I sec. d.C., in Ricerche Storico Bibliche, 1998, p. 217 sgg. (con accenni anche alla cronologia paolina, diversa da quella comunemente accettata).
Marta Sordi, I rapporti personali di Seneca con i Cristiani, in Atti del Convegno Internazionale «Seneca e i Cristiani», a cura di A. P. Martino, Milano 2001, p. 113 sgg. (con appendice di I. Ramelli).

 

 

 

 

IL TIMONE – N. 30 – ANNO VI – Febbraio 2004 – pag. 28 – 29
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