In un ambiente impregnato di un cattolicesimo dalla forte identità, battagliero e fortemente impegnato nel sociale, nasce Giovanni Battista Montini, futuro papa Paolo VI. Un libro ripercorre gli anni della sua formazione giovanile. Da scoprire…
Abbiamo rivissuto tutti di recente l’esperienza del passaggio della cattedra di Pietro da un papa all’altro. Con, in più, questa volta, lo choc delle dimissioni di Benedetto XVI, da capire e da assorbire. Così, tutti abbiamo anche avuto modo di assistere a quel fenomeno che ogni volta inevitabilmente si ripete e che consiste nello stabilire confronti, non sempre giusti e non sempre scevri di pregiudizi, tra il papa precedente e il successore. Intendiamoci, è evidentemente lecito avvertire delle emozioni più o meno forti, più o meno gioiose anche di fronte a un papa; così come è pure lecito, forse anche utile e necessario, sottolineare le differenze nei temperamenti tra l’uno e l’altro dei pontefici che si sono succeduti e, di conseguenza, esercitarsi anche nell’arte di prevederne eventuali conseguenze sulla vita della Chiesa.
Quello che invece mi sembra scorretto è demonizzare – o quasi – l’uno per esaltare le doti di un altro. Soprattutto quando a farlo non sono persone esterne alla Chiesa, che possono anche non cogliere la natura profonda di tutto il fenomeno, ma quando siamo noi credenti cattolici a ragionare in questo modo. E questo perché, noi sì, dovremmo ben sapere che alla elezione di ogni papa – tutti, non solo qualcuno – presiede lo Spirito Santo e che, dunque, ogni papa è quello “giusto”, nelle sue qualità e nei suoi limiti, per il momento storico nel quale è chiamato ad esercitare il suo mandato. E che dunque, ciò che conta sopra ogni cosa non è tanto la persona del papa in se stessa, quanto il carisma papale che gli viene assicurato dall’alto, da quel Gesù al quale – come ha continuato a ricordarci Benedetto XVI – la Chiesa appartiene. Perché se è vero che tale carisma certamente si mescola con le qualità dell’uomo rendendolo, come dire, più o meno “simpatico” ai credenti, tuttavia non è questo aspetto di simpatia ciò che dona a noi credenti quella certezza che rende il papato davvero importante per la fede della Chiesa.
Tutto questo dico perché la sorte di essere in parte sottovalutato è, in qualche misura, toccata anche ad uno dei papi recenti e cioè a Giovanni Battista Montini, salito al soglio pontificio con il nome di Paolo VI, il quale si è trovato schiacciato tra Giovanni XXIII, il cosiddetto “papa buono” – ma gli altri sono forse cattivi? – e, dopo la brevissima parentesi di papa Luciani, quel gigante che certamente è stato Giovanni Paolo II.
Di papa Montini, infatti, spesso si è detto che fosse un temperamento angosciato, sempre tormentato sul da farsi, a lungo incerto prima di prendere le decisioni. Insomma, una sorta di Amleto cattolico, come qualcuno giunse a definirlo. Per altri ancora fu una sorta, se non proprio di affossatore, certamente di frenatore nella applicazione del Concilio vaticano II, avendo posto qualche ostacolo serio sul cammino dei cosiddetti “progressisti” come, per esempio, con la sua enciclica Humanae vitae; oppure con il suo richiamo, questo sì davvero angosciato, a non sottovalutare quella presenza maligna – fumo di Satana, lo aveva chiamato – che lui vedeva essere davvero penetrata all’interno della Chiesa.
A proposito di tutto questo, Jean Guitton, il filosofo francese che gli fu intimo amico, ha lasciato scritto che nei colloqui che aveva con lui, Paolo VI talvolta lasciava trapelare il desiderio che egli gli rendesse un favore: «Quello di farlo conoscere a coloro che avevano idee false su di lui o che erano molto lontani dalla verità e, dopo la sua morte, di difenderne la memoria». Cosa che Guitton ha certamente fatto con i suoi libri. Un quadro al quale ora si aggiunge una nuova pennellata con un volume che ricorda la figura di questo papa e che ne mette a fuoco soprattutto un aspetto, e cioè l’ambiente nel quale egli è cresciuto e che costituisce quell’humus importante e fecondo che ha plasmato la sua vita. “Quando Paolo VI era bambino” di Emanuela Zanotti, giornalista attenta ma soprattutto appassionata di tutto ciò che riguarda la sua città, ricostruisce infatti l’infanzia e la giovinezza di questo papa in quella straordinaria fucina di fede e di opere che fu Brescia tra la seconda metà del XIX secolo e la prima del XX.
Non dimentichiamo anzitutto quale era allora la situazione dei cattolici in Italia: difficile e in qualche modo bloccata dalla famosa “Questione Romana” che, in seguito al “non expedit”, impediva loro di partecipare alla vita politica, ma, per certi versi, anche sociale. La situazione bresciana era ulteriormente resa difficile dal fatto che al governo c’era un uomo politico bresciano che rappresentava quel laicismo che aveva ispirato il Risorgimento che, tuttavia, era davvero uno statista capace. Quel Giuseppe Zanardelli molto intraprendente, pure a livello sociale, anche per la sua provincia di origine e che in questo modo veniva visto dai cattolici come un serio pericolo di disorientamento per la fede di molti.
C’era tuttavia un altro Giuseppe, quel Toniolo, ora beato che, assai vicino al pensiero di Leone XIII e della sua Rerum Novarum, si stava dando molto da fare per ispirare e organizzare la base cattolica in quel cristianesimo sociale che avrebbe visto il sorgere di molte iniziative sia in campo economico finanziario – le Casse di Risparmio, in primis, e le prime leghe cattoliche – sia poi a livello politico. In questa scia a Brescia uno dei personaggi di spicco era Giuseppe Tovini, ora anch’egli beato, ma anche Giorgio Montini il padre di Giovanni Battista, il futuro papa. Quest’ultimo, giornalista perspicace fin da giovanissimo, diresse per dieci anni Il Cittadino, quotidiano di prospettiva cattolica fondato proprio per contrastare La Provincia di Brescia, a impronta laicista. Poi, assai attivo anche in politica, divenne deputato per ben tre legislature nelle file del Partito Popolare, fondato da don Sturzo.
Giovanni Battista, il secondo di tre figli, nato nel 1897, crebbe dunque in questo clima che era al contempo quello di un cattolicesimo che, possedendo una forte identità, era battagliero e fortemente impegnato nel sociale ma che, al contempo, si alimentava ad una formazione religiosa molto seria e profonda che aspirava ad una profonda coerenza di vita tra il credere e il fare. Così la preghiera ma anche la meditazione, come gli esercizi spirituali, erano di casa nella famiglia Montini dove la mamma, che possedeva anch’ella un’istruzione elevata che le permetteva di collaborare ai giornali cattolici, ogni sera portava i bambini a riflettere sui contenuti della fede. Tutto questo aveva importanti conseguenze anche sulla vita familiare che si svolgeva in modo molto sereno. C’era amore non solo tra genitori e figli ma anche con le altre generazioni presenti, la nonna paterna, gli zii, i cugini. Le numerosissime testimonianze esistenti permettono infatti di ricostruire un quadro, attorno a Paolo VI bambino e poi adolescente, di una famiglia riservata nell’esprimere le emozioni che spesso affidava agli scritti piuttosto che alla viva voce, nella quale tuttavia i sentimenti erano forti e fedeli, ispirati alla fede, che accettata con adesione piena guidava la vita di ognuno.
L’ambiente esterno, poi, aiutava e sosteneva tutto ciò. I sacerdoti che la famiglia incontrava, la vita parrocchiale che coinvolse i fratelli Montini fin dall’infanzia, ma soprattutto quel crogiolo di formazione che fu nella Brescia di quegli anni, l’Oratorio della Pace. Un luogo davvero straordinario dove i giovani trovavano, sotto la guida dei Padri Filippini, praticamente tutto: l’assistenza spirituale certo, ma anche il sostegno scolastico, la formazione umana, lo sport, le vacanze, persino la formazione artistica.
Così, fu soprattutto con l’aiuto di figure come p. Paolo Caresana e p. Giulio Bevilacqua – che proprio Paolo VI fece cardinale – che il giovane Battista superò l’handicap della sua fragile salute, che gli aveva impedito di frequentare regolarmente le scuole ma anche il seminario. Fu con il loro sostegno che, superando qualche incertezza e il timore di non esserne all’altezza, divenne consapevole di essere chiamato al sacerdozio. Fu lì che, insieme con tanti altri della sua generazione, imparò ad affrontare con coraggio la prima e sanguinosissima guerra mondiale poi, pochi anni dopo, la pesante esperienza del fascismo. Ma credo anche tutte le esperienze successive fino a quel fardello, quasi insostenibile a viste umane, che è il papato.
Anni ormai lontani, è vero. Ma non nascondo che per me è stato commovente entrarvi, per conoscere meglio dove si era costruita quella forza che, nonostante la fragilità fisica e l’estrema sensibilità del carattere, sostenne colui al quale toccò vivere uno dei momenti più difficili del recente papato. Toccò raccogliere l’eredità entusiasta del Concilio, ma anche accorgersi di quanto essa spesso fosse debordante. Toccò iniziare quell’opera faticosa e controcorrente, ma preziosissima e non ancora conclusa, di riportare il nuovo nel solco della Tradizione.
Per saperne di più…
Emanuela Zanotti, Quando Paolo VI era bambino, San Paolo, 2013.
IL TIMONE N. 123 – ANNO XV – Maggio 2013 – pag. 56 – 57
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