Il Papa ha perfettamente ragione quando dice che l’annuncio cristiano deve partire dal positivo e dalla bellezza del cristianesimo e insistere su questi aspetti (chi scrive ha cercato in vari lavori o articoli di mostrare che questa è anche l’impostazione di san Tommaso e di Benedetto XVI). Come ha scritto nella Evangelii gaudium: «Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove». E, poiché «noi non amiamo se non ciò che è bello», è indispensabile insistere sul «Figlio fatto uomo, rivelazione della infinita bellezza» in modo che Egli risalti come «sommamente amabile».
Ma questo non significa che egli abbia rinunciato a dire talvolta cose scomode e a ribadire alcune norme morali e alcune condanne, che però i mass media hanno molto spesso taciuto.
Vediamone di seguito alcune, seguendo un criterio per lo più cronologico, senza alcuna pretesa di esaustività e fermandoci al 30 gennaio 2014, giorno in cui questo articolo viene inviato per la pubblicazione.
Relativismo
Ad esempio, la cultura contemporanea è fortemente impregnata di relativismo che, nella sua accezione più diffusa (non l’unica), afferma l’inconoscibilità della verità e accusa di intolleranza chi, come la Chiesa, afferma che l’uomo può conoscerla, non totalmente e definitivamente, ma almeno riguardo ad alcune questioni fondamentali, come l’esistenza di Dio, l’immortalità dell’anima, la malvagità intrinseca di alcune azioni, ecc.
Già il 22 marzo 2013, nove giorni dopo l’elezione, Papa Bergoglio ha detto che non c’è solo la povertà materiale: «c’è anche un’altra povertà! È la povertà spirituale dei nostri giorni, che riguarda gravemente anche i Paesi considerati più ricchi. È quanto […] il caro e venerato Benedetto XVI chiama la “dittatura del relativismo”, che lascia ognuno come misura di se stesso e mette in pericolo la convivenza tra gli uomini». Papa Ratzinger ha infatti più volte spiegato che il relativismo, non di rado, squalifica in modo aggressivo le persone che sostengono concezioni diverse e inoltre trasforma il desiderio in diritto (ad esempio, se non si può conoscere la verità sull’embrione umano, allora il mio desiderio di abortire diventa insindacabile). È così anche per Bergoglio: «non vi è vera pace senza verità […] se ciascuno è la misura di se stesso, se ciascuno può rivendicare sempre e solo il proprio diritto».
Nell’enciclica Lumen fidei del 29 giugno 2013, il Papa ha di nuovo menzionato il «relativismo in cui la domanda sulla verità di tutto, che è in fondo anche la domanda su Dio, non interessa più», e che impedisce di trovare quella «origine di tutto, alla cui luce si può vedere la meta e così anche il senso della strada comune», cioè ricavare molti criteri per un mondo giusto.
Ma già il 12 aprile 2013, il Papa aveva bacchettato tutti quei teologi e biblisti che producono un relativismo interpretativo nell’esegesi della Bibbia, ritenendosi autonomi dal Magistero e dalla Tradizione della Chiesa: «l’interpretazione delle Sacre Scritture non può essere soltanto uno sforzo scientifico individuale, ma dev’essere sempre confrontata, inserita e autenticata dalla tradizione vivente della Chiesa». Ne consegue «l’insufficienza di ogni interpretazione soggettiva» e «occorre collocarsi nella corrente della grande Tradizione » e «sotto […] la guida del Magistero». Sacra Scrittura e Tradizione «devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e di riverenza». Nella Evangelii gaudium del 24 novembre il Papa è tornato in vari punti sul relativismo. Per esempio, dicendo che il processo di secolarizzazione, che «tende a ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e intimo», con la sua negazione di Dio, «ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e sociale e un progressivo aumento del relativismo, che danno luogo ad un disorientamento generalizzato»: dunque il relativismo «non danneggia solo la Chiesa, ma la vita sociale in genere».
Piuttosto, necessariamente, «la Chiesa insiste sull’esistenza di norme morali oggettive, valide per tutti», ancor più imprescindibili «in una società […] che ci satura indiscriminatamente di dati, tutti [relativisticamente] allo stesso livello, e finisce per portarci ad una tremenda superficialità al momento di impostare le questioni morali».
Il 29 novembre 2013, Bergoglio ha criticato una denominazione del relativismo, il cosiddetto «pensiero debole», che interdice le domande sul senso della vita, sul bene/male, su Dio e ha spiegato che esso ci illude di poterci costruire una visione del mondo a nostro piacimento, «un pensiero prêt-à-porter», ma in realtà ci rende vittime della manipolazione dei mass media, ci rende vittime dello «spirito del mondo», e «quello che lo spirito del mondo non vuole è questo che [invece] Gesù ci chiede: il pensiero libero». Perciò dobbiamo pregare affinché «non abbiamo un pensiero debole », bensì «un pensiero secondo Dio».
Pochi giorni prima, il 18 novembre, a Santa Marta, Francesco aveva duramente attaccato quel «progressismo adolescenziale» che è disposto a sottomettersi alla «uniformità egemonica» del «pensiero unico frutto della mondanità».
Apostolato e unicità salvifica di Cristo e della Chiesa
Il 22 aprile 2013, in un’omelia, il Papa ha precisato che l’unico salvatore è Cristo: «C’è solo una porta per entrare nel Regno di Dio. E quella porta è Gesù», dunque, «tutti gli altri sentieri sono ingannevoli, non sono veri, sono falsi».
Il giorno dopo, 23 aprile, ha aggiunto che «è una dicotomia assurda voler vivere con Gesù senza la Chiesa» e che «trovare Gesù [l’unico Salvatore, come spiegato il giorno prima] fuori della Chiesa non è possibile». Se ne deduce che fuori dalla Chiesa non c’è salvezza (può salvarsi anche chi non ha conosciuto la Chiesa, ma sempre per una certa mediazione, per lui inconsapevole, della Chiesa, che qui non possiamo spiegare). Per aver detto le stesse cose, la Dominus Jesus, scritta da Joseph Ratzinger e approvata da Giovanni Paolo II, fu ferocemente criticata da molti (persino all’interno della Chiesa…) che asseriscono l’esistenza di diverse vie salvifiche, che Cristo non è l’unico redentore del mondo e che la Chiesa non è l’unica mediatrice.
Il 28 novembre 2013 Bergoglio ha anche attaccato un’erronea e relativistica concezione del dialogo tra culture e religioni: «Dialogare non significa rinunciare alla propria identità quando si va incontro all’altro, e nemmeno cedere a compromessi sulla fede e sulla morale cristiana». Anzi, rispetto a chi dice che non bisogna cercare di convertire i credenti delle altre religioni, Bergoglio ha spiegato più volte che l’evangelizzazione non è «proselitismo», un termine che nel Magistero recente designa costrizioni, ricatti, baratti (“se ti converti io ti do…”), però certamente richiede non solo di testimoniare Cristo con la propria vita, ma anche di annunciarlo instancabilmente. Ora, «un incontro in cui ciascuno mettesse da parte ciò in cui crede […] non sarebbe certamente una relazione autentica ». Del resto, «come sarebbe possibile creare vere relazioni, costruire una società che sia autentica casa comune, imponendo di mettere da parte ciò che ciascuno ritiene essere parte intima del proprio essere?».
Nella Evangelii gaudium del 24 novembre, Papa Bergoglio ha deplorato che, purtroppo, molti credenti «sviluppano una sorta di complesso di inferiorità» e cadono «in una specie di ossessione», finendo «per essere come tutti gli altri ». Tuttavia, bisogna «mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde, con un’identità chiara e gioiosa», ovviamente «aperti a comprendere quelle dell’altro». Occultare la propria identità cristiana all’altro significa «negargli il bene che uno ha ricevuto come un dono da condividere generosamente. L’evangelizzazione e il dialogo interreligioso, lungi dall’opporsi tra loro, si sostengono e si alimentano reciprocamente».
Ed ha insistito: «l’evangelizzazione è essenzialmente connessa con la proclamazione del Vangelo a coloro che non conoscono Gesù Cristo o lo hanno sempre rifiutato». Non è una mera scelta, bensì un dovere: «i cristiani hanno il dovere di annunciarlo senza escludere nessuno». Ognuno di noi deve dire a se stesso: «La missione» non è «un momento tra i tanti dell’esistenza», cioè «io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo».
Difesa della vita innocente
Anche per quanto riguarda la protezione dell’essere umano innocente, per esempio quello che vive nel grembo materno (50 milioni di aborti all’anno!), Bergoglio ha detto cose scomode, che quasi tutti i media hanno nascosto.
Per esempio, il 15 giugno 2013, in una lettera pubblica indirizzata ai leader del G8, ha sottolineato che le leggi «devono essere guidate dall’etica della verità, che comprende, innanzitutto, il rispetto della verità sull’uomo, il quale non è […] scartabile […], a cominciare dai più poveri e i più deboli, ovunque essi si trovino, fosse anche il grembo della loro madre».
Il 16 giugno il Papa ha detto che, «spesso», l’uomo «si lascia guidare da ideologie e logiche che mettono ostacoli alla vita, che non la rispettano, perché sono dettate dall’egoismo, dall’interesse, dal profitto, dal potere, dal piacere e non sono dettate dall’amore». Per questo, ha aggiunto, dobbiamo rivolgerci alla Madonna «affidando ogni vita umana, specialmente quella più fragile, indifesa e minacciata, alla sua materna protezione».
Il 12 agosto ha insistito: «di fronte alla cultura dello scarto, che relativizza il valore della vita umana, i genitori sono chiamati a trasmettere ai loro figli la consapevolezza che essa deve essere sempre difesa, sin dal grembo materno, riconoscendovi un dono di Dio».
Il 20 settembre 2013 il Papa ha spiegato quanto sia assurdo che, oggigiorno, «mentre si attribuiscono alla persona nuovi diritti, a volte anche presunti diritti [per esempio, esplicitiamo noi, il diritto di abortire, o di sposarsi anche tra persone dello stesso sesso], non sempre si tutela la vita come valore primario e diritto primordiale di ogni uomo».
I destinatari di questo discorso, che vale per chiunque, erano soprattutto i medici e «il fine ultimo dell’agire medico rimane sempre la difesa e la promozione della vita», in contrasto con una «“cultura dello scarto”, che oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti» e che «ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli»: per esempio (esplicitiamo noi) gli embrioni o i soggetti in stato cosiddetto “vegetativo”. Perciò «l’attenzione alla vita umana nella sua totalità è diventata negli ultimi tempi una vera e propria priorità del Magistero della Chiesa, particolarmente [l’attenzione] a quella maggiormente indifesa, cioè al disabile, all’ammalato, al nascituro». In particolare, «ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù Cristo». «E ogni anziano, anche se infermo o alla fine dei suoi giorni, porta in sé il volto di Cristo», dunque essi «Non si possono scartare!», con l’eutanasia.
Perciò il Papa ha raccomandato: «siate testimoni e diffusori di questa “cultura della vita” […] ricordate a tutti, con i fatti e con le parole, che questa è sempre, in tutte le sue fasi e ad ogni età, sacra ed è sempre di qualità». Ciò «non per un discorso di fede – no, no – ma di ragione, [e] per un discorso di scienza!». Il 18 novembre Papa Francesco ha duramente stigmatizzato quel pensiero unico relativista che legalizza anche «le condanne a morte», e «i sacrifici umani». «Ma voi – ha detto il Papa – pensate che oggi non si facciano, i sacrifici umani? Se ne fanno tanti, tanti! E ci sono delle leggi che li proteggono». Il riferimento alle leggi abortiste ed eutanasiche è evidente.
Nella Evangelii gaudium del 24 novembre, ha sottolineato che «Tra questi deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana […], togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo». Anche in questo caso il Papa ha ribadito che la «difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano» e che «un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo». E se «la sola ragione è sufficiente per riconoscere il valore inviolabile di ogni vita umana», in più, nell’ottica della fede, «ogni violazione della dignità personale dell’essere umano grida vendetta al cospetto di Dio». Dunque, «non ci si deve attendere che la Chiesa cambi la sua posizione su questa questione». Certo, bisogna aiutare in tutti i modi le donne che sono tentate dall’aborto.
Il 14 gennaio 2014 il Papa ha poi detto che «Desta orrore il solo pensiero che vi siano bambini che non potranno mai vedere la luce, vittime dell’aborto».
Il 22 gennaio 2014, in occasione della Marcia per la vita che si svolgeva a Washington per affermare il diritto alla vita e per l’abrogazione della legalizzazione dell’aborto, ha scritto: «Mi unisco con le mie preghiere alla Marcia per la Vita a Washington. Che Dio ci aiuti a rispettare tutte le vite, specialmente le più vulnerabili».
Difesa della famiglia
Più volte i mass media hanno strumentalizzato le parole del Papa, per attribuirgli persino un’apertura verso il “matrimonio omosessuale”. Ma, come ha spiegato il 5 gennaio 2014 padre Lombardi, portavoce vaticano, perfino un piccolo esempio concreto fatto dal Papa (durante una conversazione del 29 novembre con i Superiori degli ordini religiosi) in merito ad una situazione di una bambina cresciuta da una madre con una compagna omosessuale, «allude proprio alle sofferenze dei figli» che vivono in queste situazioni. Anzi, ha aggiunto padre Lombardi, «chi ricorda le posizioni da lui [dal Papa] manifestate in precedenza in Argentina in occasione di dibattiti analoghi sa bene che erano completamente diverse da quelle che alcuni ora cercano surrettiziamente di attribuirgli». Quali sono queste affermazioni fatte in Argentina? Vediamole (ringraziando in particolare G. Amato, M. Introvigne e S. Magister per averle evidenziate). Per esempio, il 22 giugno 2010, in prossimità del voto del Senato argentino sul “matrimonio” degli omosessuali e sulla loro possibilità di adottare bambini, il cardinal Bergoglio chiese alle suore di clausura di pregare assiduamente, perché col «disegno di legge che permetterà il matrimonio a persone dello stesso sesso » è in gioco «l’identità e la sopravvivenza della famiglia: padre, madre e figli. È in gioco la vita di molti bambini che saranno discriminati in anticipo e privati della loro maturazione umana che Dio ha voluto avvenga con un padre e con una madre. È in gioco il rifiuto totale della legge di Dio». Di più, diceva, in questo istituto giuridico «c’è l’invidia del Demonio […]: un’invidia che cerca astutamente di distruggere l’immagine di Dio, cioè l’uomo e la donna che ricevono il comando di crescere, moltiplicarsi e dominare la terra».
Bergoglio scrisse il 5 luglio 2010 anche a un dirigente del laicato cattolico argentino per «dare il mio appoggio» a «una manifestazione contro la possibile approvazione di una legge sul matrimonio fra persone dello stesso sesso», per riaffermare «la necessità che ai bambini sia riconosciuto il diritto ad avere un padre e una madre, necessari per la loro crescita ed educazione ». Da questo «deriva che l’approvazione del progetto di legge in discussione significherebbe un reale e grave regresso antropologico. No, il matrimonio di un uomo e di una donna non è la stessa cosa dell’unione di due persone dello stesso sesso. Distinguere non è discriminare, al contrario è rispettare» le differenze. E ancora: facciamo attenzione che, con la scusa di «un preteso diritto degli adulti […], non ci capiti di lasciare da parte il diritto prioritario dei bambini – gli unici che devono essere privilegiati – a fruire di modelli di padre e di madre».
Così, Bergoglio promosse per l’11 luglio 2010 una marcia contro il matrimonio omosessuale e fece leggere in tutte le chiese, durante le messe, il seguente duro messaggio: «Spetta all’autorità pubblica tutelare il matrimonio tra un uomo e una donna», che «possiede caratteristiche proprie e irrinunciabili». «Qualora si attribuisse un riconoscimento legale all’unione tra persone dello stesso sesso, […] lo Stato agirebbe illegittimamente e si porrebbe in contraddizione con i propri obblighi istituzionali, alterando i principi della legge naturale ». Infatti, «L’unione tra persone dello stesso sesso difetta degli elementi biologici e antropologici propri del matrimonio e della famiglia. È priva della dimensione coniugale e dell’apertura alla procreazione». Ora, «Prendere atto di un’oggettiva differenza non significa discriminare», dunque il codice civile «non discrimina quando esige il requisito di essere uomo o donna per contrarre matrimonio, ma riconosce una realtà naturale».
Idee ormai archiviate dal Papa? Per nulla. Recentemente, il 12 dicembre 2013, mons. Scicluna, vescovo ausiliare di Malta, ha incontrato il Papa e gli ha riferito del tentativo in corso di introdurvi le adozioni per i gay. Il 29 dicembre, Scicluna ha dichiarato al Sunday Times of Malta che il Papa è rimasto «letteralmente scioccato» nell’apprendere la notizia, e lo ha «incoraggiato a criticare pubblicamente la proposta di legge».
È assolutamente possibile conciliare queste affermazioni bergogliane con la famosa frase: se una persona omosessuale «cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?»; ma per totale mancanza di spazio dobbiamo rimandare a Massimo Introvigne, Bergoglio: rispetto per i gay, ma la famiglia è altra cosa, reperibile su www.lanuovabq.it .
Quanto alla comunione dei divorziati, fatto salvo il caso di coloro per i quali la Chiesa già la ammette (per esempio, per coloro che hanno subito il divorzio e non vivono con nuovi compagni), il Papa ha fatto ribadire al cardinale Gerhard Müller, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che poco tempo dopo ha nominato cardinale, che il divieto di fare la comunione è incancellabile, ovviamente se il matrimonio non è nullo.
E l’8 novembre 2013 ha dedicato un discorso al “Difensore del vincolo”, la figura che interviene nel processo di fronte alla Sacra Rota con il compito di difendere la eventuale sussistenza di un vincolo matrimoniale tra due coniugi che chiedono la nullità, che cioè deve argomentare (se ci sono motivi) perché un certo matrimonio è valido. Il Papa ha spiegato che «il Difensore del vincolo svolge una funzione importante» e che bisogna «che egli possa compiere la propria parte con efficacia».
Leggi ingiuste
Quasi per riassumere, per quanto riguarda le varie leggi ingiuste, ricordiamo quanto ha detto il Papa il 16 giugno, incontrando una nutrita delegazione di parlamentari francesi: «Il vostro compito […] consiste nel proporre leggi, nell’emendarle o anche nell’abrogarle ». Anche abrogarle, dunque. E il Papa ben sa e sapeva che in Francia sono legali l’aborto, il divorzio, il “matrimonio gay”, ecc.
Del resto, ognuno, nel modo che gli spetta, deve fare la sua parte sul piano pubblico, anche i vescovi e i laici. Per esempio, il 3 dicembre 2013, incontrando i vescovi olandesi, il Papa li ha “strigliati”, raccomandando che i vescovi devono «essere presenti nel dibattito pubblico, in tutti gli ambiti nei quali è in causa l’uomo», tenaci nel sostenere ed incoraggiare i laici perché esprimano il loro impegno «nei dibattiti sulle grandi questioni sociali riguardanti per esempio la famiglia, il matrimonio, la fine della vita». È chiaro il riferimento alle critiche a diversi vescovi troppo silenziosi, specie su eutanasia, aborto e rivendicazioni omosessualiste di matrimonio e adozione.
Il ruolo della donna
Quanto al ruolo delle donne, i progressisti si aspettano da Bergoglio la donna prete o la donna cardinale. Ma la posizione del Papa è ben diversa. Da un lato, «Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere». Dall’altro, «Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione». Certo, può diventare motivo di particolare conflitto «se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere», ma «quando parliamo di potestà sacerdotale “ci troviamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità”». Infatti, «Il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma la grande dignità viene dal Battesimo, che è accessibile a tutti». «Nella Chiesa le funzioni non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri». Anzi, «di fatto, una donna, Maria, è più importante dei vescovi» (Evangelii gaudium).
Quanto alle donne cardinale, alla domanda del giornalista Andrea Tornielli (che lo ha intervistato su La Stampa il 15 dicembre 2013) «Posso chiederle se avremo donne cardinale?» il Papa ha risposto «È una battuta uscita non so da dove. Le donne nella Chiesa devono essere valorizzate, non “clericalizzate”. Chi pensa alle donne cardinale soffre un po’ di clericalismo
IL TIMONE – Marzo 2014 (pag. 42-46)
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