Nel famoso affresco di Piero della Francesca i significati sono molti: il corpo risorto è autentico e reale, Cristo è vittorioso sulla morte e ha il contegno del re e il piglio del guerriero. Ma è rappresentata anche la debolezza umana e il sostegno a cui aggrapparsi: la croce, in virtù della Risurrezione
«Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand’era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro»: così Giovanni inizia a descrivere le vicende immediatamente successive alla sepoltura di Gesù (Gv 20,1). Le narrazioni degli altri Vangeli non si discostano significativamente da questa: tutte, in vario modo, ci dicono dell’incontro, dopo la sepoltura, tra gli angeli del Signore e le donne o i discepoli di Cristo.
Nessuna di esse ci descrive la risurrezione nel suo accadere: come ricordava Giovanni Paolo II, «pur essendo un evento anche cronologicamente e spazialmente determinabile, la risurrezione trascende e sovrasta la storia. Nessuno ha visto il fatto in se stesso. Nessuno poté esse- Nel famoso affresco di Piero della Francesca i significati sono molti: il corpo risorto è autentico e reale, Cristo è vittorioso sulla morte e ha il contegno del re e il piglio del guerriero. Ma è rappresentata anche la debolezza umana e il sostegno a cui aggrapparsi: la croce, in virtù della Risurrezione re testimone oculare dell’evento». In questo senso, «la risurrezione di Cristo si trova al di là della pura dimensione storica, è un evento che appartiene alla sfera metastorica, e perciò sfugge ai criteri della semplice osservazione empirica umana». Forse proprio il fatto che la Risurrezione, verità culminante della fede cristiana, pur innestandosi in un fatto storicamente avvenuto e costatato, rimanga pur sempre un evento misterioso, rende ragione del fatto che l’arte non si sia cimentata con la sua rappresentazione al pari di quanto abbia fatto con altri episodi della vita di Cristo. La sua rappresentazione richiede, con ogni evidenza, uno sforzo notevole di immaginazione più che di immedesimazione.
Non meraviglia dunque che uno dei più significativi tentativi in tal senso sia stato compiuto proprio da un indiscusso maestro italiano, Piero della Francesca. Con la sua pittura solenne, quasi monumentale e impassibilmente razionale, questo artista rappresenta senza dubbio uno dei più grandi pittori del Quattrocento.
In un’epoca in cui il ritorno alla natura e la riscoperta dell’antico si accompagnano ad una incipiente disarticolazione dell’unitaria mentalità religiosa che aveva contraddistinto il Medioevo, egli incarna gli ideali artistici del primo Rinascimento, soprattutto attraverso una vera dedizione alla sperimentazione: grande maestro dell’affresco, si interessò soprattutto all’applicazione della prospettiva alla pittura narrativa e devozionale, giungendo a creare opere caratterizzate da un assoluto rigore matematico, da una costante e appassionata indagine sulle leggi prospettiche e proporzionali (teorizzate anche in un trattato, il De prospectiva pingendi) e, insieme, da un vigoroso impianto plastico delle figure.
Se la prima impressione trasmessa da molte opere di Piero della Francesca è di astrattezza ed iconicità, preludio di quello che più tardi sarà l’avvento del razionalismo, ad una più attenta osservazione delle sue opere si percepisce ancora netta una potente valenza sacrale, al punto che qualche critico, evidenziando per contrasto la carica dissacrante dell’umanesimo di altri artisti, gli ha riconosciuto la capacità di condurre «con il mezzo modernissimo della prospettiva, un’operazione inversa, di restaurazione sacrale» (Previtali).
Sotto questo profilo la Risurrezione è emblematica. L’affresco, realizzato a Sansepolcro intorno al 1450, non presenta certo un approccio mistico al tema della Risurrezione, ma è pervaso da una forte impronta razionale. Eppure, qui la ragione non si contrappone alla fede, ma ne celebra le Verità con ferma certezza.
La scena si svolge oltre un’immaginaria apertura, incorniciata da due colonne scanalate, un basamento e un architrave, chiaro omaggio al mondo classico riscoperto dall’Umanesimo. Il Cristo viene ritratto nell’atto di uscire dal sepolcro con un gesto fermo e poderoso, espressione di una fisicità che porta ancora i segni della passione nel costato trafitto e nel volto dolorante, al tempo stesso realistico e ieratico come quello di un’icona. La sua fisicità, la postura decisa, ci rivelano che quel corpo è autentico e reale, a dimostrazione della realtà della Risurrezione: un Cristo vittorioso sulla morte, con il contegno del re e il piglio del guerriero, appoggiato al vessillo crociato e avviluppato da un panneggio rosso, segno di divinità e di martirio, ma ancora non pienamente trasfigurato dalla gloria della Risurrezione.
Eppure tutto è già avvenuto: la storia è cambiata per sempre, si è verificato quell’evento che divide in due il tempo donando ad esso un senso e un destino. Ne è ben consapevole l’artista, che attribuisce alla figura di Cristo la funzione di dividere simbolicamente in due il dipinto: alla sua destra, un paesaggio desolato, spoglio, morente, alla sua sinistra un giardino primaverile e ridente.
La rappresentazione intera, come anche il cosmo e la storia, ruotano intorno alla croce, qui rappresentata sul vessillo, ma solamente nella Risurrezione la croce raggiunge il suo pieno significato di evento salvifico: croce e Risurrezione costituiscono l’unico mistero pasquale. La capacità di questo artista di mantenersi in equilibrio tra l’imitazione della realtà e il suo superamento intellettuale gli consente di far convivere la ricerca del particolare realistico con l’astrazione concettuale e si traduce nella resa di un universo insieme ideale e umano. L’ambientazione solidamente accampata nello spazio non sminuisce infatti la sacralità del momento, che vince ogni connotazione in termini di tempo e di luogo. Il cielo sullo sfondo è sfumato come l’alba di un nuovo giorno, a indicare la vita nuova che Cristo ci ha donato con la Sua Resurrezione.
Un sapiente ricorso ai rapporti matematici, che l’artista ben padroneggiava, rafforza l’efficacia dell’insieme: la figura di Cristo è posta al vertice di un triangolo immaginario, che va dalla base del sarcofago alla sommità del suo capo e che viene suggerito anche dalla postura dei soldati. La prospettiva viene piegata alla comunicazione di significati ben precisi. Cristo risorto è ormai sottratto alle leggi terrene e può quindi essere rappresentato frontalmente, mentre le regole prospettiche avrebbero richiesto una veduta dal basso, in coerenza con quanto avviene per le teste dei soldati. Allo stesso tempo, la linea dell’orizzonte mette in risalto la spalle e la testa di Cristo avvicinandolo all’osservatore, a suggerire la presenza reale del Salvatore risorto.
La scena che si consuma davanti all’artista sembra ignorata dagli astanti, simboleggiati dalle guardie che sacerdoti e farisei si erano preoccupati di ottenere da Pilato, tutte dormienti ai piedi del sarcofago, disposte in cerchio per dare l’illusione di uno spazio completo e la sensazione reale di uno spazio tridimensionale: i quattro soldati, sorpresi nei rispettivi atteggiamenti, ripresi ciascuno da un punto di vista diverso, non costituiscono solo una mirabile dimostrazione di dominio dello spazio figurativo, ma simboleggiano anche la varia umanità inconsapevole del Miracolo che si sta verificando in quel momento. Forse è proprio la presenza dei soldati a suggerirci l’atteggiamento spirituale dell’artista. Questi custodi della tomba, che si assopiscono proprio mentre ha luogo l’evento determinante della storia, incarnano un po’ tutti gli uomini. La loro rappresentazione sembra costituire un’ammissione del limite umano e, al contempo, un atto di pietà verso questa umanità così debole di cui l’artista si sente pienamente partecipe. Non a caso, si è soliti riconoscere nel soldato rappresentato frontalmente, con la testa appoggiata al sarcofago e al vessillo crociato, un autoritratto dell’artista, quasi a suggerire che la croce, in virtù della Risurrezione, sia il sostegno della vita di ciascuno e della storia intera.
Per saperne di più…
AA.VV., Piero della Francesca, Skira-Rizzoli, 2003.
Marisa Dalai Emiliani – Valter Curzi [a cura di], Piero della Francesca tra arte e scienza, Atti del Convegno Internazionale di Studi (Arezzo, 8-11 ottobre 1992, Sansepolcro, 12 ottobre 1992), Marsilio, 1996.
Roberto Longhi, Piero della Francesca (1927), in Id., Da Cimabue a Morandi, Mondadori, 1973.
Carlo Ginzburg, Indagini su Piero, Einaudi, 1994.
Giovanni Previtali, Piero della Francesca, Fratelli Fabbri, 1965.
Birgit Laskowski, Piero della Francesca, collana Maestri dell’arte italiana, Gribaudi, 2007. Roberto Manescalchi, Il Cristo Risorto di Piero immagini rare e desuete, Aboca Museum Ed. e Alinari 24 ore, 2008.
Antonio Paolucci, Piero della Francesca, Cantini, 1989. Giorgio Vasari, Le vite, Einaudi, 1986.
Ricorda
«Se Cristo non fosse veramente resuscitato, vana sarebbe la nostra predicazione e vana anche la vostra fede».
(San Paolo, 1 Corinzi 15,14).
IL TIMONE N. 112 – ANNO XIV – Aprile 2012 – pag. 50 – 51
Riceverai direttamente a casa tua il Timone
Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone
© Copyright 2017 – I diritti delle immagini e dei testi sono riservati. È espressamente vietata la loro riproduzione con qualsiasi mezzo e l’adattamento totale o parziale.
Realizzazione siti web e Web Marketing: Netycom Srl