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14.12.2024

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Peggio di Hitler?
31 Gennaio 2014

Peggio di Hitler?

 

Vi furono uomini che ebbero la sventura di subire la persecuzione da entrambi i regimi, quello comunista e quello nazionalsocialista. Lo ricorda Solzenicyn, in Arcipelago Gulag. E un confronto, anche se azzardato, sorge spontaneo. Con un esito sorprendente.

 

 

 

Per molti storici è un dogma indiscutibile. Una verità della quale non è lecito dubitare. Il secolo scorso ha visto scorrere sul palcoscenico della storia una carrellata di dittatori spietati, ma in testa alla classifica dei reprobi c’è lui, Adolf Hitler, l’imbianchino austriaco salito al potere in Germania nel 1933 e morto suicida nel 1945.
Le atrocità che gli si addebitano non hanno paragone nei crimini di altri spietati tiranni del calibro di Lenin, Stalin, Mao, Pol Pot, Kim Il Sung, Ceausescu. Nulla regge al confronto con la barbarie hitleriana, il male “assoluto” si è incarnato definitivamente nel nazismo, le altre tragedie che hanno insanguinato quel tempo sono “relative”.
Persino Stalin, il georgiano che guidò il Partito Comunista dell’Unione Sovietica dalla morte di Lenin fino al 1953, anno in cui morì, e al quale gli storici addebitano lo sterminio di una quantità sbalorditiva di uomini e donne, uccisi a milioni attraverso fucilazioni, deportazioni di interi popoli, condanne ai lavori forzati, morti di fame e di stenti a causa di sciagurate politiche economiche, non regge il confronto con Hitler. Si sa che paragoni di tal genere rischiano l’azzardo. Personalità, luoghi e circostanze diverse non consentono, secondo tanti storici, un confronto serio. Qualcuno però ha osato. E non sempre il dogma ha trovato conferme. Perché chi ha avuto la disgrazia di assaporare le “delizie” dell’uno e dell’altro, chi ha patito interrogatori, processi, sevizie, torture, detenzione e deportazione ad opera degli sgherri di entrambi i tiranni, il paragone lo ha fatto sulla sua pelle. E, a sorpresa, in molti casi a uscirne male è stato il dittatore sovietico.
In Arcipelago GULag, impressionante raccolta di testimonianze sugli orrori del comunismo in Urss, lo scrittore russo Alexander Solzenicyn riporta l’esempio di un emigrante e predicatore ortodosso, Aleksej Ivanovic Dvinic, arrestato prima dalla Gestapo e poi dalla MGB, la polizia segreta sovietica, divenuta poi KGB. I nazisti lo accusavano di una colpa gravissima, stando ai loro canoni, quella di svolgere attività di propaganda comunista tra gli operai russi che lavoravano in Germania. La MGB lo imprigionò invece con l’accusa di essere al servizio della borghesia mondiale. Il poveretto conobbe dunque le cupe prigioni di entrambi i regimi, subì le attenzioni della giustizia hitleriana e di quella staliniana. Scrive Solzenicyn: «Le conclusioni di Divnic non erano in favore della MGB: qui è là torturavano, ma la Gestapo cercava di appurare la verità e, quando l’accusa cadde, Divnic fu rilasciato. La MGB invece non cercava la verità e non intendeva far scappare chi le era capitato fra le unghie».
Solzenicyn ha trascorso otto anni di detenzione nel GULag e tre di confino. L’esperienza lo ha vaccinato e i particolari che a molti sfuggono sono per lui, al contrario, rivelativi: «A volte leggo un articoletto di giornale e casco dalle nuvole. “Izvestija” del 24-5-1959: un anno dopo l’avvento al potere di Hitler, Maximilian Huack è arrestato per la sua appartenenza a… non a un partito qualunque, ma a quello comunista. Viene condannato a morte? No, a due anni. Ma dopo questo, beninteso, a una nuova pena? No, viene liberato. Vai a capirci qualcosa, se riesci. In seguito, visse tranquillamente, lavorò clandestinamente, onde l’articolo sulla sua intrepidezza». È evidentemente sottinteso che nell’URSS di Stalin l’avventura di Huack sarebbe stata ben diversa. Infatti, lì i detenuti sapevano bene che una volta arrestati, anche e soprattutto se innocenti, non era prevista la scarcerazione, se non – quando andava bene – a pena scontata. Scrive ancora Solzenicyn: «Nelle “Izvestija” del 24-5-1959 leggiamo: Julia Rumjanceva è imprigionata nel carcere interno di un lager nazista perché riveli dov’è suo marito che ne è fuggito. Lei sa ma rifiuta di dirlo. Per il lettore sprovveduto è un esempio di eroismo. Per il lettore con un amaro passato di GULag è un esempio di incompetenza del giudice istruttore: Julia non morì suppliziata, non fu portata alla demenza: dopo un mese fu rilasciata sana e salva!». Insomma, con Stalin non se la sarebbe cavata!
La tragica originalità del regime del dittatore sovietico emerge da altri episodi, narrati da Solzenicyn.
Fu l’Armata Rossa a liberare i prigionieri di Buchenwald, il campo di prigionia nazista istituito nel 1937 che nel 1944 arrivò alla spaventosa cifra di circa 100.000 internati. Un vero girone infernale, che vide i medici nazisti fare esperimenti di ogni genere e l’orrore divenire “compagno di vita” quotidiana. Che cosa aspettarsi dai superstiti al momento della “liberazione” se non segni di un qualche sollievo per lo scampato pericolo? E così avvenne, ma non per tutti. Tra i detenuti delle varie nazionalità, solo i prigionieri russi non esultarono. Sapevano infatti che cosa li aspettava una volta riportati in Patria, marchiati da una colpa inconcepibile, quella di essersi fatti arrestare, di avere parlato con prigionieri di altre nazioni e di essere riusciti a sopravvivere. Per questo furono trasferiti tutti dal Lager nazista al GULag comunista. Ricorda Solzenicyn, che di quell’Armata Rossa fece parte: «Già quando tagliavamo in due la Prussia Orientale vedevo le colonne di ex prigionieri che tornavano a testa bassa in patria, i soli amareggiati quando tutto intorno era un tripudio, e già allora la loro totale mancanza di gioia mi stupiva, sebbene non ne capissi la causa». Ma questo accadde ovunque, nei territori “liberati” dall’esercito sovietico e negli anni 1944-1946 furono internati a milioni i prigionieri russi superstiti. Non fu diverso il destino riservato a quanti, senza aspettare i liberatori dell’Armata Rossa, riuscirono a fuggire e ritornare, percorrendo centinaia e centinaia di chilometri, tra disagi e pericoli di ogni sorta, a casa propria: «La fuga in patria, attraverso il filo spinato dei lager, attraverso mezza Germania, poi la Polonia o i Balcani portava allo SMERS [Servizio di controspionaggio, ndr] o sul banco degli imputati: com’è che tu sei fuggita e altri non potevano farlo? C’è qualcosa di losco. Parla bestiaccia, con quale compito sei stato inviato qui?». Sorte toccata a Michail Burnacev, a Pavel Bondarenko e a moltissimi altri, ricorda Solzenicyn. «Furono invece messi dentro perché non ricordassero l’Europa in mezzo ai compaesani. Non sogni quello che non vedi…».
Stalin, dunque, peggio di Hitler? In certi casi, sì!

IL TIMONE – N.63 – ANNO IX – Maggio 2007 pag. 28-29

 

 

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