Gesù ha compiuto molti miracoli e ci sono ottime ragioni per credere ai Vangeli che li raccontano. Qualcuno li nega. Ma la loro credibilità storica è fondata
I miracoli compiuti da Gesù e narrati nei Vangeli si riassumono in quattro tipologie:
– miracoli che comportano un cambiamento della natura, dunque un intervento di creazione, ad esempio: la trasformazione dell’acqua in vino, la moltiplicazione dei pani e dei pesci;
– miracoli sulle forze della natura, ad esempio: la tempesta sedata, la pesca prodigiosa;
– miracoli che agiscono sul corpo dell’uomo, ad esempio: guarigioni dalle malattie, rianimazioni di defunti;
– miracoli che agiscono sull’anima dell’uomo: la conversione dal peccato e la liberazione dalle possessioni diaboliche. Riguardo a questa molteplicità di fatti strabilianti, si impone una seria indagine critica: non possiamo non domandarci se i testi e gli autori siano credibili, se vi siano fondate obiezioni contro la loro realtà storica, quale sia il significato di tali gesti prodigiosi.
Perché credere
Il primo e più fondamentale motivo di credibilità di un fatto situato in un lontano passato, e quindi non direttamente verificabile oggi, è la credibilità storica del testo nel quale viene narrato. Dunque, i miracoli riportati nei Vangeli sono credibili nella misura in cui lo è il testo evangelico stesso. E riguardo alla credibilità storica dei Vangeli – che ovviamente non possiamo affrontare in questo luogo – possiamo rimandare al mio Quaderno del Timone, La credibilità storica dei Vangeli, e alle numerose esaurienti pubblicazioni sull’argomento ivi segnalate in bibliografia.
Dopo la storicità del testo, ricordiamo altri tre importantissimi criteri di attendibilità storica:
1) Lo stile della narrazione: la semplicità dei racconti, la descrizione particolareggiata dei luoghi, dei tempi e delle persone; colore e vivacità della descrizione rivelano la testimonianza diretta dello scrivente; gli evangelisti narrano con semplicità, senza fare della letteratura, senza l’intento di colpire la fantasia del lettore o sollecitarne il desiderio del meraviglioso.
Per converso, quando si è tentato di epurare i Vangeli dai miracoli, si è visto che i testi ne rimangono profondamente sconnessi, la narrazione si frantuma, lo svolgimento non ha più senso: dunque, i miracoli non sono inseriti artificiosamente nel testo, ma sono parte integrante di esso, intimamente e indissolubilmente connessi con gli avvenimenti, i discorsi, i dialoghi, dunque non sono sezionabili ed estraibili, come sarebbe piaciuto ai razionalisti del XVIII e XIX secolo!
2) L’ambiente in cui vengono situati i fatti: in molti casi le scienze umane ci confermano la veridicità dell’ambientazione. L’archeologia, l’etnologia, la linguistica, ecc. ci hanno permesso di scoprire e ricostruire i luoghi fisici, gli usi e i costumi, le caratteristiche culturali, descritte dai Vangeli; ed ecco che la cornice in cui si svolgono i miracoli è perfettamente coerente e coincidente con la descrizione evangelica.
3) Le circostanze che avvolgono i fatti: il confronto tra i miracoli evangelici e quelli narrati negli scritti apocrifi mette in evidenza la profonda disparità: i racconti evangelici sono sobri, privi di fantasiosità, strettamente legati all’insegnamento di Gesù; motivati sempre dalla situazione concreta di un bisognoso o dall’intento pedagogico di confermare la parola con il segno, mai di indulgere al fantastico o al meraviglioso per stupire. La narrazione dei miracoli attributi a Gesù nei Vangeli è inseparabilmente tessuta insieme al racconto della sua vita e all’esposizione della sua dottrina, e spiega la fede dei discepoli, l’entusiasmo delle folle, la crescente opposizione degli avversari, i quali non osarono mai negare la realtà dei fatti, ma cercarono piuttosto di attribuirla a una inverosimile alleanza con Satana.
Offensiva antica e moderna
Ecco alcuni tentativi per “spiegare” i miracoli evangelici.
Anzitutto il tentativo più antico, l’unico che risale ai contemporanei di Gesù: l’azione dei demoni. È questa infatti l’unica risposta che i nemici di Gesù hanno saputo escogitare; «È nel nome di Beelzebul, capo dei demoni, che egli scaccia i demoni… » (Lc 11,15). L’argomento, per quanto paradossale, è per loro l’unico possibile: loro, i contemporanei e i conterranei di Gesù, i miracoli li avevano sotto gli occhi, non potevano negarli o minimizzarli o attribuirli ad altro, come faranno gli scettici moderni.
La negazione moderna (a partire dal XVIII secolo) del soprannaturale nei Vangeli si concentra sostanzialmente su tre tentativi di spiegazione alternativa:
1) L’abilità di Gesù, considerato una specie di prestigiatore. Ma è evidente che bisognerebbe supporre in lui un’abilità davvero strepitosa! Riuscire in un istante, sempre all’aperto e sotto gli occhi della folla, a compiere atti portentosi, senza che nessuno potesse mai “scoprire il trucco”.
2) Le conoscenze mediche superiori a quelle dei suoi conterranei. Secondo i razionalisti, Gesù le avrebbe imparate durante il suo soggiorno in Egitto, o da qualche “maestro” straniero itinerante. Ora, è chiaro che qualunque terapia medica che “funziona” senza tappe progressive ma istantaneamente, senza utilizzo di farmaci, e pure a distanza (guarigione del servo del centurione), anche oggi, dopo duemila anni di progressi scientifici, sarebbe un… miracolo! E quale terapia, allora come oggi e come sempre, può riportare in vita un morto seppellito da quattro giorni?
E poi non tutti i prodigi narrati nei Vangeli sono guarigioni: come la mettiamo con la tempesta sedata o la moltiplicazione dei pani?
3) La suggestione collettiva dei beneficiati e degli astanti. Ci pare la tesi più insidiosa, e quindi la dobbiamo affrontare con più attenzione.
I razionalisti che sostengono questa “spiegazione” riconoscono in Gesù una forte personalità, una personalità magnetica – e su questo non possiamo che essere d’accordo – ma poi aggiungono che egli se ne servì per soggiogare psicologicamente i suoi contemporanei e così “suggestionarli”. Dunque i ciechi, i sordi, gli zoppi, avrebbero “creduto” di essere guariti; i malati mentali si sarebbero ‘sentiti’ liberati da una presunta possessione diabolica e quindi ne avrebbero avuto un sollievo, almeno temporaneo; e a fare da cornice ci sarebbe una folla entusiasta e facilmente impressionabile, pronta a gridare al miracolo. In realtà, nulla di tutto questo sarebbe davvero avvenuto, ma è solo sembrato accadere, agli occhi (e sulla pelle) di una massa di creduloni!
Ma può essere questa una valida spiegazione?
Noi non neghiamo di certo la possibilità e il potere della suggestione, ci sono tanti ciarlatani che se ne servono, ma la suggestione ha le sue leggi, si può fare solo a certe condizioni: anzitutto, è scientificamente provato che non esiste la cosiddetta suggestione collettiva; è dunque necessario affrontare le persone singolarmente, scegliere i soggetti più evidentemente predisposti a lasciarsi influenzare, sollecitarne la “fede”, guadagnarsi la loro fiducia gradualmente con molteplici e frequenti incontri, compiere una suadente opera di persuasione che piano piano li convinca a “sentirsi” guariti o liberati o saziati, ecc.
È evidente che siamo agli antipodi di ciò che narrano i Vangeli! I fatti prodigiosi compiuti da Gesù seguono un ben altro stile, e si realizzano in tutt’altro contesto. Gesù compie i miracoli in seguito a incontri occasionali o per rispondere a bisogni immediati ed imprevisti. Egli non si avvale di alcuna preparazione, non predispone alcun apparato scenografico: i miracoli di Gesù sono fatti straordinari accaduti nel contesto più sorprendentemente feriale, ordinario, quello della vita di tutti i giorni; i luoghi della concretezza, dove meno si è portati ad attendersi il meraviglioso e quindi a lasciarsi suggestionare da esso.
Gesù chiede ai bisognosi che abbiano fede in lui, non come via alla suggestione finalizzata al miracolo, ma al contrario, perché il miracolo di ordine fisico non sia fine a se stesso, ma piuttosto un aiuto perché l’uomo diventi credente, apra il cuore ad un prodigio ben più grande, cioè all’incontro personale, profondo, trasformante con il Dio fatto Uomo che salva tutta la vita e non solo risana una parte di essa.
Il significato dei miracoli
Tutta la vita di Gesù si realizza in un contesto teologico e storico che prova il fatto che egli è il messia e il Figlio di Dio: questo contesto è la realizzazione in lui delle profezie dell’Antico Testamento; mille e ottocento anni di rivelazione, da Abramo a Giovanni il Battista, convergono su di lui e ne formano un identikit preciso e puntuale.
Ma Gesù non si è limitato alla prova derivante dalle profezie: esse, infatti, avevano valore soprattutto per gli ebrei che conoscevano a menadito i vaticini dei loro padri. Gesù ha voluto aggiungere la prova dei miracoli di ordine fisico, ancora più decisiva e certamente più universale. Quando si vede un uomo morto da quattro giorni uscire vivo dal sepolcro al comando di una parola, c’è poco da discutere, c’è poco da interpretare: il fatto parla chiaramente da sé a ogni persona che vi assiste o che ne venga a conoscenza da un testimone credibile.
Con il miracolo, dunque, Gesù dà la prova indiscutibile della propria divinità: «Io ho una testimonianza maggiore di quella che vi ha dato Giovanni (Battista): le opere che il Padre mi dà da compiere, le opere stesse che sto compiendo, mi rendono testimonianza che il Padre mi ha inviato» (Gv 5,36); e ancora: «Se non facessi le opere del Padre mio potreste non credermi, ma se le faccio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, e così saprete che il Padre è in me e io sono nel Padre » (Gv 10,37).
Da queste parole è evidente che Gesù attribuisce un’importanza decisiva ai suoi miracoli come argomento per credere in lui; tanto è vero che coloro che vi assistono e non ne ricavano la fede in lui sono da lui accusati di un peccato irremissibile, appunto perché, essendo i miracoli prove sufficienti, essi vi hanno voluto resistere: «Se non avessi fatto in mezzo a loro le opere che nessun altro aveva mai fatto, non avrebbero colpa, ma essi le hanno vedute, eppure hanno odiato me e il Padre mio» (Gv 15,24). (cf. Giovanni Albanese, Alla ricerca della fede, Cittadella, 1967).
Resta un’ultima domanda: perché dopo tanti prodigi compiuti per dimostrare la sua messianicità e la sua divinità, Gesù non ne ha compiuto almeno uno, uno solo, per convincere i farisei che glielo domandavano? Anzi, proprio a loro Gesù risponde infastidito: «Se non vedete prodigi e segni, voi non credete» (Gv 4,48). È dunque evidente che Gesù rifiutò sempre quel genere di miracoli che gli avrebbe procurato una facile gloria, un successo effimero, che avrebbe soddisfatto la vana curiosità di un pubblico prevenuto. I miracoli di Cristo ebbero sempre una finalità morale e spirituale, per dare conforto ai sofferenti e un fondamento ragionevole ai credenti.
Dossier: MIRACOLI. DIO LI FA, IL DIAVOLO NO
IL TIMONE N. 114 – ANNO XIV – Giugno 2012 – pag. 39 – 41
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