Circa 3200 anni fa un ragazzo spaurito lungo i pendii di un monte chiese a suo padre: «Dov’è l’agnello per il sacrificio?». Quel ragazzo, che fu poi legato sopra un altare, su ceppi di legno ormai pronti ad ardere, e che vide con terrore la lama brandita dalla mano paterna alzarsi su di lui, si chiamava Isacco.
Milleduecento anni dopo (ma questi sono i tempi di Dio), il Signore risponde alla domanda di Isacco attraverso le labbra di un uomo sulla riva del fiume Giordano: «Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo».
Questa frase del Battista chiuderà per sempre, ai cercatori di salvezza, la strada del sacrificio pasquale degli agnelli, perché era venuto un Agnello che era il Figlio di Dio, l’unico in grado di portare su di sé tutti i peccati del mondo. In definitiva aveva avuto ragione Abramo, padre di quel ragazzo, a rispondergli: «Dio provvederà da sé all’agnello per il sacrificio». Non fu una scusa o una bugia: Dio la trasformò in verità, assumendo su di sé la dolorosissima richiesta fatta ad Abramo. E mandò suo Figlio. Per noi. Per noi uomini. Per la nostra salvezza.
Ecco che qui il Simbolo del nostro Credo punta il dito sul cuore della missione di Gesù, sul vero motivo della sua venuta: la nostra salvezza. Ma cosa vuol dire salvezza? Cosa significa che Cristo è il Salvatore? Oggi moltissimi non lo sanno più; l’uomo moderno spesso ragiona così: sto bene in salute, ho una famiglia, un lavoro, un certo benessere, da che cosa debbo essere salvato?
La parola “salvezza” si è così svuotata di significato che quando chiediamo alla gente comune, ma anche ai cattolici, perché Gesù è venuto, spesso le risposte che raccogliamo sono: «per insegnarci delle cose», »per portare pace e amore», e perfino «per fondare la sua religione». Si sta sempre più perdendo di vista il centro della missione di Gesù, il fatto che Cristo è venuto in primo luogo a salvarci. La parola stessa “Gesù” vuol dire «il Dio che salva».
Da cosa ci salva?, sentiamo a volte chiedere. In realtà la domanda giusta è: per cosa ci salva? Ci salva per riportarci da dove siamo venuti: nel cuore stesso di Dio. I filosofi continuano a chiedersi da dove veniamo, mentre Cristo a questa nostra origine ci ha già riportato.
E non si tratta solo di scoprire con la mente la nostra provenienza ontologica: si tratta di restituire le nostre esistenze a chi realmente appartengono, si tratta di rimettere i tralci alla vite che li ha generati; si tratta di restituire al proprio mare quei pesci (cfr Il Timone n.10) che il peccato ha gettato lontano sulla sabbia o sugli scogli; si tratta di restituire le scintille al fuoco che li ha generati.
Prima che si spengano. Ogni mio gesto in direzione contraria mi spegne. Ogni mio passo in altra direzione è la morte. Ecco da cosa sono salvato: da me stesso, dalle mie scelte sbagliate, dal peccato, semplicemente perché peccando muoio, mi spengo, non respiro, secco. Sono salvato dalla dannazione eterna, ma già a partire da quella dannazione terrena a cui il peccato riduce la mia vita.
Sono salvato dalle tenebre, morali e spirituali. Ma soprattutto sono salvato per la vera Vita che in cambio mi viene donata, per la grande gioia che ne ricevo, per quel paradiso di Amore che mi attende senza fine dentro la gloria di Dio, e per tutte quelle anticipazioni regalate quaggiù dai doni dello Spirito. Anche tra le afflizioni.
Un ladro sta morendo sulla croce. Tutto è atrocità, sangue, disperazione; quando un altro uomo in croce come lui lo guarda e gli dice: «Oggi stesso sarai in Paradiso con me». Ecco: questa è la salvezza. Anche se io sono ancora sulla croce, anche se sto ancora pagando per il mio peccato, anche se non riesco nemmeno a vedere quell’uomo che mi parla perché i miei occhi sono coperti di sangue, di sudore, di lacrime, io però sono già salvo. Ho ricevuto uno sguardo buono, sono stato considerato (pesato, scrutato, in ogni granello della mia vita) ed ecco che, poiché quello sguardo è lo sguardo di un Dio, e quella considerazione è sostenuta da un Amore infinito, allora sono fatto salvo. L’abisso non mi ha più, sono di Dio, sono finalmente mio.
IL TIMONE – N. 48 – ANNO VII – Dicembre 2005 – pag. 61