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15.12.2024

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Perchè la Croce?
31 Gennaio 2014

Perchè la Croce?

 



Gesù ha scelto di morire in croce. Perché tutta la storia fin dall’inizio è orientata verso la sua venuta, la sua morte e resurrezione. Così insegnano Padri e teologi dell’antichità

Molti teologi, a partire dagli antichi Padri, hanno meditato sulla Croce e sulla necessità della morte di Cristo per la salvezza umana. Pochissimi tuttavia, almeno in età patristica, si sono soffermati a spiegare perché Gesù, tra tutti i tipi di morte, abbia scelto precisamente la Croce e non qualche altra modalità di morte e sacrificio.
A meditare su questo sono stati soprattutto san Gregorio di Nissa nel tardo IV secolo e, in ambito siriaco, sant’Isacco di Ninive nel VII, ma ci sono già importanti elementi in Bardesane di Edessa, tra la fine del II secolo e gli inizi del III.

Bardesane, un filosofo cristiano accusato (molto probabilmente a torto) di gnosticismo, vedeva nella Croce rappresentata l’unità cosmica, ossia nell’unione dei due bracci della Croce vedeva rappresentata l’unità di tutte le creature in cielo e in terra, come risulta sia da un suo fondamentale frammento cristologico e medioplatonico (conservato in greco da Porfirio e purtroppo regolarmente trascurato dagli studiosi almeno per le sue implicazioni dottrinali), sia dalle cosiddette tradizioni cosmologiche, cioè testimonianze siriache che riportano come Bardesane intendesse la creazione del mondo. La Croce di Cristo secondo Bardesane (come appare dal frammento conservato da Porfirio) abbraccia tutto ciò che esiste, tutte le creature. Inoltre, come è evidente dalle tradizioni cosmologiche, Bardesane considerava la Croce di Cristo già operante nella creazione stessa, in quanto Cristo-Logos, durante la creazione, avrebbe disposto tutto «secondo il Mistero della Croce». Ciò significa che la Croce di Cristo è dunque già attiva, per salvare, fin dall’inizio della storia e che tutta la storia fin dall’inizio è orientata verso la venuta di Cristo e la sua morte e resurrezione: tutta la storia fin dall’inizio attende questo evento salvifico e, dopo di esso, ne attende la piena realizzazione nell’eschaton, alla fine dei tempi.

Anche san Giustino Martire, un po’ prima di Bardesane, vedeva sparsi in tutto il cosmo simboli della Croce, a suggerirne la valenza cosmica universale.
Anch’egli era un platonico, e pensava che Platone avesse intravisto qualcosa di questo mistero della Croce, sebbene in maniera confusa.
San Gregorio di Nissa, che conosceva l’opera di Bardesane, pensa alla Croce di Cristo come ad un grande mistero dell’unità cosmica, fra l’altro molto diversamente dagli “gnostici”, che vedevano la Croce come segno di divisione, e precisamente della separazione degli eletti dai perduti. Per Gregorio, i bracci della Croce di Cristo indicano le dimensioni del creato – lunghezza, larghezza, altezza – che vengono unificate in Cristo. La creazione intera è così unificata da Cristo che la abbraccia interamente e che riconcilia cielo e terra e tutto il creato al Creatore. In Gregorio la Croce si fa simbolo del platonico reditus o epistrophé, ossia del ritorno di tutto all’unità e al Principio di tutto, che è Dio. Questo ritorno non è però una necessità metafisica, come nel Neoplatonismo, ma viene reso possibile dall’opera mediatrice di Cristo che si espleta nel mistero della croce, nella kénosis («svuotamento», «annullamento ») del suo sacrificio.
Gregorio, tuttavia, del Cristo crocifisso non sottolinea tanto l’umiliazione quanto la gloria e la potenza. La Croce manifesta la potenza di Dio (e Cristo stesso – per Gregorio, Clemente e Origene – è la Potenza o Dynamis di Dio!) che abbraccia tutto quanto esiste fino agli estremi confini dell’universo. E la sua potenza universale è per Gregorio, come già per Origene suo grande ispiratore, una potenza salvifica universale che si espleterà gloriosamente e in maniera definitiva in sede escatologica, cioè nella vita eterna.

Che infatti la Croce di Cristo sia potenza salvifica universale ed eterna era stato sostenuto con vigore da Origene stesso, secondo cui «tanto grande è la potenza della croce di Cristo e della sua morte» da essere sufficiente alla salvezza non solo di tutti gli esseri umani, ma anche di tutte le creature razionali e di tutti gli ordini di creature, e non solo in questo tempo, ma in tutti i possibili tempi. In tal modo, per salvare ogni uomo e tutto l’universo, il sacrificio di Cristo non deve essere ripetuto come lo era invece il sacrificio celebrato annualmente dal sommo sacerdote giudaico per le intenzioni che lo muovevano. Cristo infatti, che non ha ucciso vittime ma si è immolato esso stesso come vittima, essendo al contempo anche il sacerdote (eterno sommo sacerdote), ha compiuto un solo sacrificio la cui efficacia salvifica vale per tutto l’universo e in eterno. La potenza salvifica della Croce di Cristo, però, secondo Origene, non è automatica, indipendentemente dai meriti e dalla fede di ciascuno, ma dipende dall’adesione volontaria di ogni creatura razionale a Cristo-Logos e al sommo Bene che è Dio.

Sant’Isacco di Ninive fu un asceta e mistico siriaco imbevuto della tradizione origeniana dell’asceta, teologo ed esegeta s. Evagrio Pontico, che si era formato presso i Padri Cappadoci nel tardo IV secolo ma aveva poi trascorso la sua vita nel deserto egiziano. La sua spiegazione del perché Cristo scelse di morire precisamente sulla Croce è molto decisa. Se fosse stato solo per redimerci, argomenta Isacco, sarebbe bastato redimerci in qualche altro modo. Se Cristo ha invece voluto farlo in questo modo, ossia nel modo più atroce, spaventoso e infamante, sulla Croce, è stato per null’altro che per dimostrarci in maniera evidente e incontrovertibile l’immensità assoluta dell’amore di Dio. Questa ne è la prova più grande. E questa per Isacco è la cifra che caratterizza ogni rapporto del Creatore verso le sue creature: un amore infinito, paragonabile lontanamente soltanto a quello di una madre per il suo piccolo. Pensare che qualsiasi azione o decisione di Dio nei nostri confronti possa mai essere dettata da qualcos’altro che non sia questo amore assoluto è definito da Isacco semplicemente una bestemmia. Anche Isacco, va ricordato, con questo non toglie nulla alla responsabilità personale di ciascuno, che proprio dall’amore infinito di Dio, manifestato in Cristo e nella sua Croce, dovrebbe essere spronato ad aderire con slancio a Dio-Bene.


RICORDA

«In quanto è il Crocifisso […] Gesù è il Cristo, il re. La sua crocifissione è la sua regalità; la sua regalità sta nell’aver dato se stesso agli uomini».
(Joseph Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Queriniana, 1969, 200312, p. 96).

 

Per saperne di più…

Ilaria Ramelli, Note per un’indagine della mistica siro-orientale dell’VIII secolo, «‘Ilu» 12 (2007), pp. 147-179.
Ilaria Ramelli, Gregorio di Nissa sull’anima e la resurrezione, Bompiani, 2007.
Ilaria Ramelli, Bardesane di Edessa. Contro il Fato, Edizioni Studio Domenicano, 2009.

 

 

 

IL TIMONE n. 110 – Anno XIV – Febbraio 2012 – pag. 28 – 29
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