Il primo e più evidente intento è far cassa in modo facile e sicuro per ripianare i debiti dello Stato a spese dei cittadini. Ma ci sono anche altre finalità non dichiarate
Lo scrittore inglese James Montgomery, vissuto a cavallo tra Sette e Ottocento, affermava che la casa «è un punto della terra supremamente benedetto, un luogo più caro e più dolce di tutti gli altri». Qualche decennio più tardi un altro intellettuale d’Oltremanica, John Ruskin, scriverà che la casa è «il luogo della pace» e «il rifugio da ogni torto, da ogni paura, dubbio e discordia». Peraltro, come recita un popolare proverbio, «ogni uccello ama il suo nido» mentre, secondo un altro detto popolare, «la tua casa può sostituire tutto il mondo, ma tutto il mondo non potrà mai sostituire la tua casa». La casa è il luogo dove si nasce, si vive e si muore, è il luogo degli affetti, è un porto sicuro; è sinonimo di stabilità, di sicurezza. È il focolare domestico, è strettamente legata alla famiglia. Forse per questo, come la famiglia, è sottoposta a un attacco senza precedenti, che prende le forme, dietro lo scudo della legalità, di una tassazione iniqua e sproporzionata.
Una svolta antropologica
Senza entrare nel dettaglio in particolari tecnici, e in attesa di una più precisa definizione dell’Imu (Imposta municipale unica), legata anche alle scelte dei Comuni, resta il fatto che l’introduzione della nuova tassa, che prende il posto della vecchia Ici e che dopo qualche anno di tregua colpisce ancora – e pesantemente – la prima casa, segna una svolta quasi antropologica nel rapporto tra cittadini e Stato. Non è una tassa sui redditi, sui consumi o sui patrimoni alti, ma un balzello che colpisce indifferentemente tutti coloro che hanno il solo torto di possedere un’abitazione, magari frutto dei sacrifici di una vita e che spesso devono ancora finire di pagare. Perché questo accanimento? Dove si vuole arrivare con la stangata sulla casa?
Un «tesoro» per sette italiani su dieci
Che gli italiani amino abitare in una casa di loro proprietà è confermato dalle statistiche. Oltre 7 italiani su 10 sono proprietari della casa in cui abitano, considerato il bene rifugio per eccellenza.
Viene in mente un antico, anonimo motto latino: Domus propria, domus optima, il cui significato è facilmente intuibile. Ebbene, stando così le cose, quando lo Stato è in crisi, indebitato fino al collo e vuol far cassa, cosa c’è di più facile che la tassa sul mattone? Che colpisce tutti, indiscriminatamente, ricchi e poveri, e va quasi sempre a segno perché il bene tassato è lì, sotto gli occhi di tutti. Succede quel che succede con la benzina, gravata di tasse: tutti vanno in auto, facile perciò tirar su un bel po’ di quattrini. Con la differenza che l’auto si può usare meno, o non usare affatto, la casa è invece lì, a disposizione. O la vendi, o paghi.
Imposta anticostituzionale?
Più di un esperto costituzionalista si è spinto a sostenere che la tassa in questione violerebbe l’art. 53 della Costituzione, che afferma che «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva». Da qui la progressività delle aliquote. Ma la tassa sulla prima casa, così com’è stata concepita, di fatto non è legata al reddito e alla capacità contributiva di ciascun proprietario, ma semplicemente al possesso del bene, colpito in misura proporzionale alla superficie. Nasce così un’altra considerazione, anche se può apparire un po’ populista: ancora una volta non si è voluto colpire in misura maggiore i grandi patrimoni personali (applicando in questo caso aliquote più elevate), scelta che avrebbe permesso di ridurre il prelievo a carico dei possessori di piccoli patrimoni. Cioè, l’Imu colpisce allo stesso modo sia i proprietari di piccoli patrimoni immobiliari che i proprietari di grandi patrimoni. Ed è scarsamente preso in considerazione il carico familiare, per differenziare l’ammontare della contribuzione dovuta.
Massima incertezza e confusione
C’è infine un’ultima considerazione da fare, relativa alla notevole confusione generata tra i contribuenti, che non sanno ancora quanto complessivamente dovranno pagare per l’Imu alla fine di quest’anno perché il governo, alla luce dei pagamenti effettuati a giugno, si è riservato la possibilità di rivedere le aliquote standard, che sono per la prima casa il 4 per mille e per le seconda casa e gli immobili utilizzati per le attività economiche il 7,6 per mille, aliquote che potrebbero essere aumentate. Insomma, pagheremo ma non sappiamo quanto: viene quindi meno uno dei pilastri della tassazione, la certezza delle somme dovute.
«Il giusto e il ragionevole»
Niccolò Machiavelli, pur attento alle ragioni e alle esigenze del Principe (cioè dello Stato, si direbbe oggi), sosteneva apertamente: «Si riducano le tasse al giusto e al ragionevole». E per il padre della moderna scienza economica, Adam Smith, «i cittadini debbono contribuire alle spese dello Stato quanto più strettamente possibile in proporzione alle loro capacità, cioè in proporzione al reddito che essi riescono a conseguire sotto la protezione dello Stato ». E ancora, sempre Smith: «Ogni imposta deve essere riscossa nel tempo o nel modo in cui è più probabile che sia comodo pagarla per il contribuente, cioè quando è più probabile che egli abbia i mezzi per pagarla» e «ogni imposta deve inoltre essere disegnata in modo tale da sottrarre al cittadino quanto meno risorse possibili ». Questi princìpi a cui lo Stato si deve attenere per un fisco equo e non vessatorio venivano scritti nel 1776, oltre due secoli prima che apparisse sulla scena politica Mario Monti. A conferma che la tassazione, a cominciare da quella sulla casa, non può sottrarsi a criteri di equità e ragionevolezza, valgono anche le parole – sempre valide! – di uno dei padri della filosofia, Aristotele, che nell’Etica Nicomachea sostiene che è «ingiusto» sia chi trasgredisce la legge sia chi «desidera più del dovuto e non rispetta l’equità».
Meno matrimoni, abitazioni più piccole
Perché proprio ora questo accanimento sulla casa? Qual è lo scopo? Si tratta solo di far cassa o c’è dietro qualcosa di più? Per rispondere a queste domande, basta riflettere sulle conseguenze. E diventa tutto chiaro. Tasse più alte sulla casa vorranno dire, nello specifico: rallentamento del mercato immobiliare, già penalizzato dalla difficoltà ad ottenere mutui; minor propensione al matrimonio delle giovani coppie, che tenderanno a rimandare le nozze, continuando a restare nella casa paterna; scelta di abitazioni più piccole, per pagare meno tasse, che scoraggerà la formazione di famiglie numerose; scelta dell’affitto, che renderà meno solida e stabile l’idea dell’abitazione.
Concludiamo con una citazione dello scrittore latino Svetonio, secondo cui «il buon pastore deve tosare le pecore, non scorticarle ».
IL TIMONE N. 114 – ANNO XIV – Giugno 2012 – pag. 14 – 15
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