Nello stato del Wyoming esistono due delle più affascinanti realtà del mondo cattolico nord-americano. Una università cattolica e un convento carmelitano. Una base comune: solida formazione, sana dottrina e fedeltà al Papa
Per gli americani Wyoming è sinonimo di spazi immensi, cavalli e miniere. Con appena 500mila abitanti, si tratta dello Stato meno popolato degli Usa. Ospita una delle più spettacolari attrazioni del Paese, il parco di Yellowstone, e tiene vivo il mito di William Frederick Cody, alias Buffalo Bill, al quale si deve la fondazione della cittadina che porta il suo nome, Cody appunto. Parlando di nuova evangelizzazione, uno non penserebbe a un posto dove i cattolici sono appena 75.000 disseminati per 250mila chilometri quadrati, dove nemmeno l’immigrazione ispanica sembra aver rimpinguato le fila dei credenti, come accaduto altrove. Eppure è qui che hanno preso vita due delle avventure più affascinanti del cattolicesimo a stelle e strisce degli ultimi anni. E dove si sono incrociati destini singolari.
Wyoming Catholic College
Il lettore si immagini una università cattolica vera, per quanto piccola, che abbia tra i punti fondanti la fedeltà al Magistero, con un corso di studi che sia una grande rivisitazione della civiltà cristiana. Una università sui generis, dove si legga san Tommaso in latino e si impari a cavalcare. Dove le matricole, prima di tuffarsi in quattro anni di studi intensi, debbano passare tre settimane accampate fra le montagne e una volta al mese debbano lasciare i libri per due giorni di trekking. Dove si apprenda l’arte oratoria, si coltivi il gusto per la convivialità – vietando tra l’altro l’uso dei cellulari – e soprattutto la vita spirituale. Questo, in pochi tratti, è il Wyoming Catholic College a Lander, un centro di 7000 anime ai piedi delle Wind River Mountains, conosciuto tutt’al più per il suo rodeo e una scuola internazionale per apprendere tecniche di sopravvivenza e sviluppare qualità di leadership attraverso la natura (la National Outdoors Leadership School).
L’università ha aperto i battenti nel luglio del 2005 come una grande scommessa. Non era scontato raccogliere le prime iscrizioni e trovare insegnanti qualificati, di sicuro orientamento cattolico, che volessero trasferirsi in un posto suggestivo per escursionisti o amanti della caccia, meno per chi sogna i grandi campus americani. Eppure, complice la crisi di identità delle grandi università cattoliche, gli studenti sono arrivati e per il corpo docente è stata necessaria un’accurata selezione. La situazione logistica è ancora in divenire, il college ha da poco acquistato un terreno dove ha in progetto di costruire la sua sede definitiva. Intanto l’esperienza cresce e fa parlare di sé. Per capire l’origine e il senso di questa storia bisogna fare un passo indietro di una quarantina d’anni e spostarsi un po’ più a est. Tra il 1970 e il 1979, all’università del Kansas, due professori di letteratura inglese, Dennis Quinn e Frank Necklin, e uno di storia greco-romana, John Senior, furono protagonisti di un’esperienza educativa rimasta nella memoria della Chiesa del Midwest. Gli anni erano quelli del post-sessantotto, del tumulto studentesco e dei figli dei fiori. Quinn, Necklin e Senior condividevano il giudizio sulla decadenza della formazione universitaria. Tutti e tre erano cattolici, Senior si era convertito agli inizi della carriera. Decisero di proporre un approccio agli studi umanistici che fosse allo stesso tempo un viaggio alle fonti della civiltà occidentale e un addentrarsi nel territorio delle domande ultime. Iniziarono un corso, l’Integrated Human Program (IHP), che si svolgeva nell’arco di due anni, con due incontri settimanali di un’ora e venti minuti ciascuno. Nessun’antologia o manuale di riferimento. Chi partecipava non doveva prendere note, doveva sforzarsi innanzitutto di ascoltare. I tre eruditi, come vecchi amici a cena, dialogavano partendo dai grandi testi di Platone, Agostino, Shakespeare… Il conversare brillante affascinava i giovani uditori, dischiudeva loro i tesori della letteratura e della filosofia e soprattutto il legame tra cultura e vita. I più interessati approfondivano poi le discussioni in gruppi di studio che nascevano spontaneamente.
John Senior, seguendo san Tommaso, ricordava che il primo stadio della conoscenza è l’esperienza sensibile e che un suo “risveglio” è indispensabile prima di affrontare qualsiasi risalita intellettuale. Invitava i suoi allievi a seguirlo in passeggiate notturne e ad alzare lo sguardo al cielo, imparando a riconoscere quelle costellazioni che avevano segnato l’immaginario di generazioni ancora immuni dalla televisione e da stimolazioni artificiali. Spronava alla fatica di mandare a memoria poesie o brani dei classici, per trasformarli in un bagaglio interiore che sarebbe stato prezioso nel corso della vita. Insegnava a coltivare il senso perduto dell’eleganza, anche per vie che sembravano bizzarre, come lo studio della calligrafia, cioè l’arte dello scriver bene, o con la riscoperta del… valzer. Al ballo di fine anno erano invitati anche i genitori e i professori delle altre facoltà. La scena era inusuale: nel mezzo dell’era rock e della promiscuità “liberatrice”, dismessi i jeans e l’abbigliamento vagamente hippy, schiere di ventenni riassaporavano nel ballo e nella musica europea dell’800 un’estetica e una galanteria improntate al dominio di sé.
L’IHP durò 10 anni e vi presero parte circa 2000 studenti. Il suo impatto fu enorme. Moltissime furono le conversioni al cattolicesimo, diverse decine furono le vocazioni alla vita religiosa o al sacerdozio, tra cui quelle di due futuri vescovi. Alcuni studenti, per citare solo una delle tante storie che da lì si dipanarono, si recarono in Francia, entrando nell’abbazia benedettina di Fontgombault: vent’anni più tardi, tornarono in patria fondando un’abbazia benedettina a Clear Creek, in Oklahoma, che oggi conta una trentina di religiosi ed è in espansione. Quando nel 2003 mons. David Ricken, vescovo di Cheyenne, capitale del Wyoming, ventilò l’idea di aprire un college autenticamente cattolico, chiese consiglio a Robert Carlson, uno stimato professore della diocesi ed ex allievo dell’IHP. Carlson fu entusiasta dell’idea di mettere a frutto l’esperienza vissuta con John Senior e compagni e in breve tempo raccolse l’appoggio di altri ex allievi, finiti nel frattempo a Wall Street o a insegnare in giro per gli Stati Uniti.
Carmelitani del Wyoming
Si parlava all’inizio di destini incrociati: a questo proposito la figura di mons. Ricken merita una segnalazione speciale. Classe 1952, nato in Kansas, ordinato sacerdote nella diocesi di Pueblo in Colorado, in forza alla Congregazione per il clero in Vaticano tra il 1996 e il 1999, fu fatto vescovo nel 2000 e spedito nella diocesi di Cheyenne, povera di risorse e di strutture: non certo una meta ambita per un pastore giovane ed energico. Negli otto anni del suo ministero, prima di essere spostato a GreenBay, nel Wisconsin, Ricken non si adeguò alla situazione anodina che trovò: ideò un corso estivo di formazione all’apostolato per adulti, aprì una scuola primaria e secondaria intitolata a Giovanni Paolo II, riuscì a raccogliere i fondi per la costruzione di una nuova sede per una scuola di suore a Cheyenne e soprattutto diede il via a uno dei più interessanti college cattolici del Paese. Per la sua intraprendenza il suo nome fu iscritto nella Hall of Fame dell’educazione cattolica americana. E non fu solo protagonista di una “rinascita” scolastica.
Ricken fece sapere ad amici vescovi del suo desiderio di avere un ordine contemplativo in diocesi. Il vescovo di Minneapolis passò l’informazione a padre Daniel Mary Schneider, un carmelitano che, dopo un’esperienza in un eremo dell’ordine in Minnesota, era giunto alla conclusione che i tempi richiedevano una forma di vita simile a quella dell’eremitaggio, per rigore, ma comunitaria. Padre Daniel contattò mons. Ricken e nel 2003 poté fondare una nuova famiglia religiosa a Cody, il paese di Buffalo Bill. Un’esperienza inedita, di clausura maschile, fra le praterie e i rilievi che si spingono verso Yellowstone. Silenzio, preghiera, liturgia secondo il rito carmelitano antico e lavoro manuale. Oggi i Carmelitani del Wyoming spopolano sui blog cattolici americani con la pubblicità delle loro t-shirt e del loro caffè, il Mystic Coffee, un’idea per sostentarsi venuta dal fratello di padre Daniel, attivo nel settore della distribuzione alimentare. La comunità conta dieci giovani tonsurati e, dato l’interesse che ha suscitato – 500 richieste e contatti vocazionali negli ultimi anni – ha in sogno un progetto. Ha acquistato un grande ranch a una cinquantina di chilometri più a nord – a Meeteetse, un borgo visitato di tanto in tanto dai grizzly – con l’idea di costruire un monastero maschile chiamato New Mount Carmel. Un modo per riallacciarsi all’esperienza dei primi carmelitani, quei crociati e pellegrini che si ritirarono anche loro in mezzo alla natura, sul monte Carmelo in Palestina, e per dimostrare che l’America ha ancora bisogno di pionieri, ma della preghiera.
IL TIMONE N. 118 – ANNO XIV – Dicembre 2012 – pag. 28 – 29
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