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12.12.2024

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«Permesso, scusa, grazie»
29 Settembre 2014

«Permesso, scusa, grazie»

 
 
Tre paroline che non devono mai mancare in una famiglia, dice papa Francesco, per custodirla nell'amore e nell'unità. Perché il matrimonio è un lavoro certosino e quotidiano, un' pera d'arte eroica e maestosa, ben più di una cattedrale

Fondamentalmente è colpa di Cenerentola. Ci ha fregati un po' tutti il finale delle fiabe. Non che lo si dica apertamente, ma in qualche modo i finaloni romantici lasciano intendere che si viva automaticamente felici e contenti, dopo il bacio, dopo le nozze, come per un diritto misteriosamente acquisito tagliando la torta nuziale, e da lì in poi fermamente inalienabile. Il matrimonio invece è un lavoro certosino e quotidiano, un'opera d'arte eroica e maestosa, ben più di una cattedrale, perché quella, magari anche dopo mille anni, va in rovina, e si sbriciola e si perde nel­ la polvere, mentre le vite che nascono da una famiglia sono chiamate all'eternità, e allora quello scolpire, quel cesellare, quel rifinire che tanta fatica può costare non sarà perso mai, mai si sbriciolerà in polvere.

 
Stare insieme è un lavoro quotidiano
Il Papa, invitandoci (per esempio il 26 ottobre e il 29 dicembre 2013, il 14 febbraio e il 2 aprile 2014) a usare le parole "permesso, grazie, scusa", ha ricordato essenzialmente questo. Stare insieme è un lavoro quotidiano, che richiede la massima attenzione. «Tre parole chiave! Chiediamo permesso per non essere invadenti in famiglia. "Posso fare questo? Ti piace che faccia questo?", col linguaggio del chiedere permesso. Diciamo grazie, grazie per l'amore! Ma dimmi, quante volte al giorno tu dici grazie a tua moglie, e tu a tuo marito? Quanti giorni passano senza dire questa parola, grazie! E l'ultima: scusa. Tutti sbagliamo e alle volte qualcuno si offende nella famiglia e nel matrimonio, e alcune volte – io dico – volano i piatti, si dicono parole forti, ma sentite questo consiglio: non finire la giornata senza fare la pace».
Ovviamente non è un discorso di forma, e ancor più ovviamente non si riduce a questo l'attenzione per il marito e per la moglie. Semplicemente il Papa ha voluto scegliere parole facili da tenere a mente, ma per significare che l'amore tra due coniugi quasi mai è una facile gratuita spontanea simbiosi, ed è invece molto più il frutto di una scelta, di una dedizione, di un impegno volontario, consapevole, quotidiano. Una lotta di trincea, un conquistare centimetro per centimetro, per smussare angoli, strappare sorrisi, scartavetrare superfici scabrose.  
 
L'amore non è un'emozione
Credo che mai come oggi la Chiesa abbia un compito profetico: annunciare all'uomo la verità su se stesso. Lo ha sempre fatto, e sempre lo farà, ma in passato molto spesso il suo annuncio è stato più vicino al sentire comune. Oggi invece l'idea di uomo che il cristianesimo propone è lontana anni luce da quella della cultura del mainstream, per così dire. In particolare per quanto riguarda la sfera dei sentimenti. La catechesi che il mondo fa sull'amore è lontana anni luce dalla verità: l'amore come una facile corrispondenza che soddisfi e solleciti la nostra emotività, qualcosa che viene gratuitamente, da assecondare, qualcosa che quando manca, beh, pazienza, devi avere il coraggio di seguire te stesso e lasciare una situazione che non ti gratifica più, e peccato se ci sono dei bambini che soffrono. .

È rimasta solo la Chiesa a dirlo
È rimasta solo la Chiesa a dire la verità, cioè che amare è anche difficile, a volte è faticoso, è bello ma non sempre semplice, e che l'amore vero ha poco a che fare col batticuore, col desiderio di conquista, con l'agognare qualcuno di irraggiungi bile (tutti i film romantici altro non sono che questo). È rimasta solo la Chiesa ad annunciare che il matrimonio non è il posto dove ci si riposa (diciamo, non prevalentemente, perché è comunque auspicabile in ogni nucleo una dotazione di base minima di divano, letture rilassanti, tavoletta di cioccolata e altri generi di conforto), ma il luogo al quale dedicare il meglio delle proprie energie.
Vietati dunque i "vestiti da casa", solo l'idea mi fa rabbrividire: avere una tuta informe e magari la maglietta bucata o macchiata da tenere in casa certifica l'idea che fuori ci si presenti al meglio, mentre tra le mura domestiche si possa dare libero sfogo ai nostri lati peggiori, perché «tanto ormai" lui o lei ci hanno presi, e quindi alla fine ci terranno, in qualunque modo ci metteremo. Il vestito da casa non è che la rappresentazione concreta di un atteggiamento, dell'idea che non dobbiamo più sforzarci di piacere all'altro. E invece essere sposati dovrebbe essere un continuo chiedersi "come posso fare quello che piace a mia moglie, a mio marito? Come posso fare il suo vero bene, ma anche come posso semplicemente rendergli o renderle la giornata più allegra, la casa un posto più piacevole? Come posso rendere a lui, a lei l'idea di tornare da me almeno leggermente più allettante di una riunione condominiale?".

 
Il Vangelo: da praticare anzitutto a casa propria
A volte anche noi sposi cristiani facciamo errori grossolani, magari a causa dell'abitudine, o della distrazione, e ci dimentichiamo che il primo posto nel quale vivere e sperimentare e mettere in pratica il Vangelo è casa nostra. Perché certo amare il povero, il bisognoso di cui magari non conosciamo i difetti può anche venire facile. Ma amare quella persona di cui vediamo i limiti – che sono diversi dai nostri ma ne hanno sicuramente lo stesso peso specifico – ci costa di più, magari per quello stupido difetto che in quel momento ci fa venire i nervi. E amare quello che ci è più vicino ci sembra anche meno gratificante, perché in qualche modo lo sentiamo come un atto dovuto.
È rimasta solo la Chiesa ad annunciare che invece quella che stiamo facendo ogni volta che chiediamo scusa, magari chiedendolo per primi, è un'opera d'arte. Ogni volta che chiediamo permesso prima di fare qualcosa, ogni volta che diciamo grazie non dimenticando che nulla di quello che riceviamo è scontato, né dovuto.
E usare queste tre parole significa anche che si sta parlando, che non ci si è chiusi in un silenzio non belligerante forse più triste del litigio, che non si è smesso di guardare al rapporto con l'altro con gli occhi della speranza.
 
Alla Fonte dell'amore
È vero, a volte questo costa, ma solo Cenerentola può ancora credere che l'amore non passi per la croce. L'unica fonte del vero amore è Dio, noi da soli non siamo capaci di amore, cioè di fare disinteressatamente il bene dell'altro, e Lui ce l'ha fatto vedere chiaramente cosa significhi amare: dare la vita per l'altro. Sennò avrebbe semplicemente invitato i discepoli a cena, avrebbe bevuto e scherzato con loro, poi se ne sarebbe tornato a casa sua, invece li amò fino alla morte, e alla morte di croce. Anche a noi è chiesto questo, sebbene spesso i nostri martiri i siano ben più risibili e ben meno dolorosi: che so, sorridere a una suocera, accogliere un invito a cena al quale preferiremmo una trapanata del dentista senza anestesia, raccogliere da terra roba abbandonata non da noi in una precedente era geologica, fingere che la frittata alle zucchine sia buonissima anche se ha un pizzico di sale di troppo, ma non importa, basterà bere ininterrottamente tutta la notte, dire grazie per quel figlio ripreso da calcio (le prime volte la cosa desterà un po' di stupore, o forse ingenererà anche qualche malore per lo choc, visto che magari sono dieci anni che il padre va a prendere figli in giro per la città senza che nessuno mai si sia sognato di ringraziarlo), per la spesa fatta, per la cena cucinata, per la lampadina cambiata …•

Ricorda
“Nella vita facciamo tanti errori, tanti sbagli. Li facciamo tutti. [ … ]. Ecco allora la necessità di usare questa semplice parola: "scusa". In genere ciascuno di noi è pronto ad accusare l'altro e a giustificare se stesso. […]. Impariamo a riconoscere i nostri errori e a chiedere scusa. "Scusa se oggi ho alzato la voce"; "scusa se sono passato senza salutare"; "scusa se ho fatto tardi", "se questa settimana sono stato così silenzioso", "se ho parlato troppo senza ascoltare mai"; "scusa mi sono dimenticato"; "scusa ero arrabbiato e me la sono presa con te" […] Tanti "scusa" al giorno noi possiamo dire. Anche così cresce una famiglia cristiana. Sappiamo tutti che non esiste la famiglia perfetta, e neppure il marito perfetto, o la moglie perfetta. Non parliamo della suocera perfetta […] Esistiamo noi, peccatori. Gesù, che cl conosce bene, ci insegna un segreto: non finire mai una giornata senza chiedersi perdono, senza che la pace torni nella nostra casa, nella nostra famiglia” (Francesco, Discorso del santo padre Francesco ai fidanzati che si preparano al matrimonio,14 febbraio 2014, reperibile su www.vatican.va)

 
Per saperne di più…
Mariolina Ceriotti Migliarese, La coppia imperfetta. Come trasformare i difetti in ingredienti dell'amore, Ares, 2012.
Tomas Melendo Granados, Otto lezioni sull'amore umano, Ares, 2008
Francesco, Discorso del santo padre Francesco ai fidanzati che si preparano al matrimonio, 14 febbraio 2014.
 
Il Timone – Settembre/Ottobre 2014

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