Immediato dopoguerra, è ancora viva la memoria: gli ebrei elogiano Pio XII per l’aiuto ricevuto durante l’Olocausto. Poi, pian piano, monta l’accusa: prima di aver taciuto, poi di aver simpatizzato con il nazismo e infine di aver aiutato i gerarchi a fuggire. Così la storia lascia il posto alla leggenda.
Come documenta il volume Gli ebrei salvati da Pio XII di Antonio Gaspari, all’indomani della seconda guerra mondiale il mondo ebraico, per bocca di suoi esponenti di rilievo – dal futuro premier israeliano Golda Meir, a rabbini di alto rango, a dirigenti delle associazioni della diaspora -esprime la propria gratitudine per l’appoggio ricevuto da Pio XII durante gli anni della guerra e dell’olocausto ebraico. L’ex console israeliano a Milano, Pinchas Lapide, calcolerà che il Papa avrà contribuito a salvare da morte certa da 700 mila a 860 mila israeliti: una cifra impressionante, anche se fosse vera solo per un terzo.
Agli inizi degli anni Sessanta, dopo la morte del Pontefice, la stampa internazionale divulga con clamore i verbali del processo contro Adolf Eichmann, uno dei massimi responsabili della “soluzione finale” ebraica, dai quali emerge un quadro di orrori senza uguali. Mentre la tragedia degli ebrei diviene tema di appassionati dibattiti, l’atteggiamento di generale apprezzamento nei confronti di Pio XII comincia a incrinarsi e serpeggiano le prime critiche, soprattutto nell’ambiente delle sinistre europee.
Nel 1963 scoppia come una bomba lo “scandalo” de Il vicario: l’opera del drammaturgo tedesco-occidentale Rolf Hochhuth non nega che Pio XII si sia prodigato a sollievo dei perseguitati, ma lo accusa senza mezzi termini di non avere condannato il genocidio ebraico. Nasce così il “caso” dei presunti “silenzi” di Pio XII, destinato a trascinarsi fino a oggi.
Papa Paolo VI protesterà contro IL Vicario e nel 1964 creerà una commissione di esperti per ricostruire la condotta vaticana durante il conflitto. Quattro gesuiti – lo statunitense Robert A. Graham, il tedesco Burckhart Schneider, l’italiano Angelo Martini e il francese Pierre Blet – selezioneranno oltre cinquemila documenti degli archivi vaticani, che fra il 1965 e il 1981 verranno pubblicati in 11 volumi di Actes et Documents du Saint-Siège relatifs à la seconde Guerre mondiale. Ma la monumentale opera è destinata a rimanere negletta.
Negli anni 1970 e 1980 una miriade di film e serial televisivi a grande diffusione – come Holocaust, del 1977 -, ciclicamente riproposti, contribuiscono a tenere vivo il tema del genocidio ebraico, lasciando per lo più in ombra la questione dei “silenzi” vaticani. Negli stessi anni la linea anti-israeliana delle sinistre europee lascia in sordina le critiche contro Pio XII, mentre gli studi storici seri sul genocidio ebraico che appaiono numerosi in questi anni smentiscono o non suffragano la tesi del silenzio colpevole di Pio XII. Negli anni 1980 il dialogo fra cattolicesimo ed ebraismo, iniziato all’indomani del Concilio Vaticano II, sotto l’impulso di Giovanni Paolo II conosce un impetuoso revival. Dopo la clamorosa visita del Papa alla sinagoga di Roma nel 1986, la Chiesa nel 1997 organizza il colloquio intra-ecclesiale “Radici dell’antigiudaismo in ambiente cristiano” – i cui atti sono stati pubblicati lo scorso anno -, affrontando di sua iniziativa uno dei punti più “caldi” sul tappeto. Al seminario fa seguito il 16 marzo 1998 la inedita e coraggiosa dichiarazione della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo Noi ricordiamo: una Riflessione sulla Shoah, che ammette la liceità della domanda se “alcuni cristiani” siano stati “insensibili” o “indifferenti” verso il genocidio ebraico, anche se nel contempo puntualizza con equilibrio ed equanimità le diverse responsabilità.
Ma questi gesti, pur di non poco peso, non riescono a smuovere alcuni settori dell’opinione pubblica dal loro atteggiamento tenacemente negativo. Nel 1999, per ovviare alla sostanziale ignoranza degli Actes, padre Blet, l’ultimo superstite del gruppo di redattori ne pubblica i testi più significativi nel volume Pio XII e la Seconda Guerra mondiale negli Archivi Vaticani, che verrà tradotto in diverse lingue.
Nel corso del Giubileo viene promulgata la dichiarazione della Commissione Teologica Internazionale Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato, cui fa seguito la sensazionale cerimonia di purificazione della memoria del 12 marzo 2000, che include, pronunciata dal cardinale Edward Idris Cassidy a nome della Chiesa, la richiesta di perdono “[…] per i peccati commessi [dai cristiani] contro il popolo dell’alleanza e delle benedizioni”. Nella stessa linea, il 29 dicembre del 2000, il cardinale Joseph Ratzinger su L’Osservatore Romano riconosce senza equivoci che, pur tenuto conto dell’eccezionaiità dei tempi, in alcuni cattolici l’anti-giudaismo tradizionale possa essere stato un fattore di inibizione o di addolcimento della protesta contro lo sterminio degli ebrei – che ha comunque radici in “un’ideologia anticristiana, che voleva colpire la fede cristiana nella sua radice abramitica” – e che di tale mancanza si debba fare ammenda. Neppure questo basta però a dissipare le diffidenze in seno al mondo ebraico. Anzi, la successiva visita di Giovanni Paolo II in Terra Santa sarà occasione perché il premier israeliano Ehud Barak, citando brani di un poeta ebreo contemporaneo, Natan Alterman, ricordi i presunti silenzi della Chiesa sull’Olocausto.
Sul piano degli studi, dopo il simposio del 1997 viene costituita una commissione scientifica incaricata di esaminare lo stato della questione sulla base dei documenti. Dopo due anni di lavoro i sei esperti – tre ebrei e tre cristiani – emettono un ampio rapporto preliminare che lascia però insoddisfatti entrambi i versanti. I cattolici, per le discutibili modalità di lavoro del gruppo e perché il rapporto confermerebbe dubbi e quesiti sull’operato di Pio XII, gli ebrei, per non aver potuto accedere ai documenti vaticani successivi al 1922 e perché gli Actes non sarebbero in grado di fare chiarezza, anzi si rivelerebbero una risposta preconfezionata per discolpare Pio XII.
Alcuni studi storici apparsi alla fine degli anni 1990 – in particolare quelli di Richard Breitman e di Yehuda Bauer -rivelano l’atteggiamento scarsamente reattivo dei potenti verso la Shoah e contribuiscono di fatto, nonostante la poca eco avuta, quanto meno a diluire le responsabilità addossate a Pio XII.
Il culmine delle polemiche contro Pio XII è però raggiunto con il volume di John Cornwell Hitler’s Pope, tradotto come II Papa di Hitler. Biografia assai tendenziosa della figura di Papa Pacelli, il volume introduce una nuova accusa: Pio XII avrebbe coltivato pregiudizi favorevoli al nazionalsocialismo, perché di animo genuinamente reazionario e perché influenzato dalle tendenze più conservatrici dello spirito tedesco assimilate quando nel primo dopoguerra era stato nunzio apostolico a Monaco di Baviera e a Berlino. Si tratta di una illazione malevola e mal documentata cui si possono opporre diverse testimonianze che confermano l’amore di Pacelli per la cultura tedesca, ma rivelano come esso giocasse in senso esattamente opposto a quello invocato da Cornwell, facendogli comprendere la natura estranea e nemica dell’anima tedesca del nazionalsocialismo, al punto che il nome di Pio XII affiora sovente nelle ripetute cospirazioni per eliminare il Fùhrer nazionalsocialista.
Il libro di Cornwell – che si dichiara cattolico – pare essere il contributo del cattolicesimo progressista al fuoco di sbarramento scatenato da più parti e per diversi interessi contro la beatificazione di Pio XII, la cui figura austera e aristocratica è vista come l’emblema della Chiesa “preconciliare” e, in quanto tale, come un ostacolo nella prospettiva di una riforma della Chiesa, che si vorrebbe sempre più “orizzontale”, meno gerarchizzata e meno nitida nella sua identità. Contro queste gravi accuse mosse alla Chiesa – non le ultime in ordine di tempo: a esse seguirà quella di avere favorito la fuga dei gerarchi nazionalsocialisti in Sudamerica nel dopoguerra – si registrano le prese di posizione, oltre che del postula-tore della causa di beatificazione di Pio XII, padre Peter Gumpel S.J., e di padre Blet, i bei volumi dell’anziana ma battagliera e documentatissima suora italo-americana Margherita Marchione Pio XII e gli ebrei e Pio XII architetto di pace.
Unico studioso “professionista” italiano che vi si sia dedicato, Giovanni Miccoli, storico della Chiesa, ne / dilemmi e i silenzi di Pio XII ha pubblicato nel 2000 una ricerca che evidenzia limiti e problemi nella condotta vaticana durante il conflitto, dovuti essenzialmente all’ideologia sorpassata – la “cristianità” guidata dal Papa – che domina i vertici vaticani, che rendeva difficile comprendere la nuova realtà dei totalitarismi moderni e della guerra ideologica globale, e intervenirvi con pratiche politico-diplomatiche adeguate. Al di là delle valutazioni sulle cause, tutte da verificare, il lavoro di Miccoli si segnala come tentativo di affrontare il tema al di sopra del piano polemico-propagandistico e può pertanto fungere da punto di partenza serio per una discussione altrettanto seria.
Negli ultimi tempi è importante segnalare la presa di posizione del noto rabbino conservatore David G. Dalin, che in un lungo saggio uscito sul settimanale newyorchese The weekly Standard del 26 febbraio 2001 (di cui una traduzione italiana integrale sarà pubblicata su uno dei prossimi numeri della rivista Cristianità) ripercorre tutta la vicenda dei “silenzi”, sottolineando la tendenziosità del libro di Cornwell, nonché degli interventi scandalistici di scrittori americani, come Susan Zuccotti. Dalin accusa tutti costoro di cavalcare l’onda, estendendo arbitrariamente le responsabilità dei suoi orrori e strumentalizzando le sofferenze del popolo ebraico per fini diversi dalla difesa della sua memoria.
Da tutto questo esposto, credo s’imponga un accostamento serio, non episodico né scandalistico, al problema, accompagnato da un’apertura più ampia di tutti gli archivi del periodo bellico, non solo di quelli vaticani. Dal poco che hanno fatto in tal senso i servizi segreti americani la scorsa estate affiorano dati assai interessanti e, fra l’altro, del tutto a discarico di Papa Pacelli.
Salvati dalla Chiesa
Mafalda Pavia, una dottoressa ebrea, libera docente universitaria in Clinica pediatrica, fu salvata da San Giovanni Calabria, che la nascose nel noviziato delle “Povere Sorelle della Divina Provvidenza” di Roncà, in provincia di Verona.
(Antonio Gaspari, Gli ebrei salvati da Pio XII, Logos, Roma 2001, p. 15)
Dossier: Pio XII e gli ebrei
IL TIMONE N. 13 – ANNO III – Maggio/Giugno 2001 – pag. 32-34