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11.12.2024

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Pio XII e l’operazione Sturzo
31 Gennaio 2014

Pio XII e l’operazione Sturzo


Maggio 1952: il Papa incoraggia un patto politico dei cattolici intorno a un programma. Si tratta di difendere la Roma cristiana. Alcide De Gasperi si oppone. Perché vuole un partito laico e aconfessionale, e lavora per l’apertura a sinistra. Ottaviani sta con Pio XII, Montini con De Gasperi.

Tra le molteplici cause del processo di secolarizzazione della società italiana, non va dimenticato il fallimento della cosiddetta “operazione Sturzo”, concepita sessant’anni fa da Luigi Gedda, con l’avallo di Pio XII.
La guerra si era appena conclusa e Pio XII proponeva un progetto di restaurazione della società cristiana sulla stessa linea del programma di san Pio X: “tutto restaurare e riordinare in Cristo”. Papa Pacelli voleva realizzare l’unità dei cattolici non attorno ad un partito, ma a un programma, come era accaduto nelle elezioni del 1913, con il Patto Gentiloni approvato da san Pio X. Luigi Gedda, l’artefice della schiacciante vittoria elettorale del 18 aprile 1948, sembrava l’uomo più adatto a realizzare il piano del Pontefice. Il primo banco di prova sarebbero state le elezioni amministrative del maggio 1952, che precedevano di un anno quelle politiche. Il 22 gennaio di quell’anno Luigi Gedda veniva nominato presidente dell’Azione Cattolica, cumulando questa carica con quella di presidente dei Comitati Civici. Il 10 febbraio, Pio XII lanciava al popolo romano un “grido di risveglio”, mirabilmente sintetizzato in queste parole: «È tempo di scuotere il funesto letargo, è tempo di ripetere con l’Apostolo: hora iam nos de somno surgere. È tutto un mondo che occorre rifare dalle fondamenta, che bisogna trasformare da selvatico in umano, e da umano in divino, vale a dire secondo il cuore di Dio». Pio XII intendeva promuovere un rinnovamento cristiano del mondo a partire da Roma e intendeva affidare a Luigi Gedda questo compito.
Pio XII e Gedda incontrarono però l’opposizione di Alcide De Gasperi, creatore, tra il 1943 e il 1946, della Democrazia Cristiana, che si presentava quale erede dal Partito Popolare Italiano fondato nel 1919 da don Luigi Sturzo, e si richiamava, oltre che allo stesso Sturzo, a don Romolo Murri, fondatore in Italia del modernismo politico e scomunicato da san Pio X nel 1909. De Gasperi e i suoi compagni, influenzati anche dal pensiero di Jacques Maritain (che era stato ambasciatore di Francia presso la Santa Sede dal 1944 al 1948), propugnavano uno Stato e quindi un partito laico e aconfessionale, e credevano nella necessità di un accordo con i partiti di sinistra, nella convinzione che in questa direzione irreversibile volgesse ormai la storia. Fin dal 1946 un avvocato romano, Carlo Francesco D’Agostino, aveva presentato al Sant’Uffizio una denuncia contro gli errori dottrinali della Democrazia Cristiana. Lo stesso D’Agostino, agli inizi degli anni Cinquanta, aveva rinnovato la sua denuncia con una lettera aperta dal titolo La illusione democristiana.
Il mondo cattolico era però diviso. Tra i collaboratori di Pio XII, alcuni, come il cardinale Ottaviani, condividevano le riserve del Pontefice verso la Democrazia Cristiana, altri, come il Sostituto Segretario di Stato per gli Affari Straordinari Giovanni Battista Montini, erano convinti sostenitori dell’unità dei cattolici attorno a De Gasperi.
Nonostante le elezioni del 18 aprile avessero dato alla DC la maggioranza assoluta, permettendole di governare da sola senza le sinistre, De Gasperi, dal maggio1948, aveva associato al suo Governo anche i socialdemocratici del PSLI e i repubblicani, con l’opposizione della sinistra socialcomunista e delle destre, rappresentate dal Partito Nazionale Monarchico (PNM) di Achille Lauro e dal Movimento Sociale Italiano (MSI) di Augusto de Marsanich. Il problema che ora si apriva era quello della città di Roma dove, senza un accordo con il MSI e il PNM, la Democrazia cristiana rischiava di regalare il Campidoglio al “Blocco del Popolo” delle sinistre, guidato dall’ex presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti. Con l’incoraggiamento di Pio XII, Gedda si fece allora promotore di una lista civica, aperta al sostegno di tutti gli anticomunisti, compresi i monarchici e i missini. La lista sarebbe stata capeggiata dall’anziano, ma rappresentativo, don Luigi Sturzo, divenuto critico nei confronti della politica di De Gasperi. Dietro le quinte si muoveva uno dei principali ideatori del progetto, il vescovo Roberto Ronca, esponente di punta del “partito romano”, fedele a Pio XII. Quella che fu detta “l’operazione Sturzo” fu però pesantemente contrastata da Alcide De Gasperi e da Carlo Carretto, presidente dei Giovani di Azione Cattolica, sensibile, come molti giovani democristiani, all’influenza di Giuseppe Dossetti. Nelle sue Memorie (Mondadori, Milano 1998), Gedda ha scritto che «la divergenza di fondo con i democristiani dipendeva dalla loro convinzione che il comunismo avrebbe ineluttabilmente conquistato il potere e che il problema dunque era quello di cercare fin da subito forme di coesistenza con il futuro vincitore».
Il 22 aprile fu annunciato l’appello che don Sturzo lanciava a tutti i partiti per la «formazione di una lista amministrativa composta da persone competenti e al di fuori di ogni colorazione politica, sulla quale potessero convergere i voti di quanti si preoccupano di salvaguardare il carattere unico e specialissimo di Roma, capitale d’Italia e sede del Papato». Il giorno successivo però don Sturzo, in seguito alle forti resistenze di parte della DC e del mondo cattolico, fu costretto a rinunciare alla sua lista e l’operazione naufragò.
Era la sconfitta di Gedda, ma anche quella di De Gasperi. Le elezioni videro infatti il successo delle destre, che conquistarono molte città del Sud, a cominciare da Napoli. Per impedire che le destre divenissero determinanti nella successiva legislatura, De Gasperi ideò allora un mutamento della legge elettorale, in modo da attribuire il 65% dei seggi della Camera alla lista che avesse ottenuto più del 50% dei voti. Ribattezzata “legge truffa” e combattuta sia dalla destra che dalla sinistra, la legge maggioritaria fu promulgata il 31 marzo 1953. Tuttavia, nelle elezioni del 7 giugno dello stesso anno, la DC e i partiti di centro raggiunsero il 49,7%, mancando per 54.000 voti la maggioranza assoluta. La Dc perse molti consensi, mentre aumentarono il Partito Nazionale Monarchico (PNM) (da 14 a 40 deputati) e il Movimento Sociale Italiano (MSI) (da 6 a 28). De Gasperi cercò di costituire il suo ottavo ministero, il 28 luglio 1953, ma non ottenne la fiducia in parlamento. Tre giorni dopo, la “legge truffa” fu abrogata.
Nel gennaio 1954, lo scrittore Giovannino Guareschi pubblicò sul giornale “Il Candido”, da lui diretto, la copia di due lettere autografe di De Gasperi in cui il futuro leader DC chiedeva agli inglesi, nel 1944, di bombardare la periferia di Roma. De Gasperi denunciò per diffamazione Guareschi, che venne condannato a tredici mesi di carcere e non presentò appello contro la sentenza, ma scontò tutta la sua pena in galera. La storiografia non ha ancora pronunciato una parola definitiva sull’autenticità di quei documenti, ma libri come quelli di Ubaldo Giuliani Balestrino (Il Carteggio Churchill-Mussolini alla luce del processo Guareschi, Settimo Sigillo, 2010) sollevano pesanti interrogativi nei confronti dell’uomo politico trentino, di cui è in corso la causa di beatificazione.
Le riserve di Pio XII nei confronti di De Gasperi e della nascente Democrazia Cristiana sono peraltro storicamente documentate. L’esito dell’“operazione Sturzo” contribuì a fare definitivamente svanire la fiducia del Papa in De Gasperi, giudicato dal Pontefice non più capace di resistere alla avanzata del comunismo. Nel giugno 1952, a poche settimane da questo episodio, il Papa rifiutò di ricevere De Gasperi in udienza, in occasione del suo trentesimo di matrimonio e della professione perpetua della figlia suor Lucia. Maria Romana Catti De Gasperi ha raccontato l’amarezza che tale rifiuto provocò al padre, il quale dichiarò all’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede che se come cristiano accettava l’umiliazione, come presidente del consiglio protestava e chiedeva spiegazioni.
Pio XII fu poi irritato dal discorso pronunziato da De Gasperi il 20 marzo 1954 al Consiglio Nazionale della DC, in cui egli ribadiva che la DC non era «un partito confessionale, emanazione dell’autorità ecclesiastica», e ricordava la sua costante sollecitudine di associare al governo forze di altra ispirazione, unico mezzo per consolidare la nascente democrazia italiana, e criticava i Comitati Civici, che, «per quanto benemeriti per la loro efficace opera di mobilitazione, non hanno mai preteso a funzioni di rappresentanza e responsabilità politica ». Pio XII ordinò alla “Civiltà Cattolica” di scrivere un articolo contro De Gasperi, precisando quella che a suo avviso era la vera dottrina della Chiesa. Nello stesso periodo diminuì anche l’influenza all’interno del Vaticano di mons. Giovanni Battista Montini, che fece ogni sforzo per far recedere Pio XII dalla decisione di non ricevere De Gasperi. Nel novembre 1954 mons. Montini fu allontanato dalla Curia con la nomina ad arcivescovo di Milano, senza però essere creato cardinale da Pio XII. Alcide De Gasperi era morto il 19 agosto 1954. Sturzo, che nel novembre del 1953 era stato fatto senatore a vita dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi, scomparve l’8 agosto 1959. Ma fu solo la fine di Pio XII, il 9 ottobre del 1958, a chiudere l’epoca storica, a cui solo Luigi Gedda sopravvisse in silenzio, tornando a Dio il 26 settembre 2000.
Oggi si può dire che il fallimento dell’operazione Sturzo, ricordato sempre con amarezza da Luigi Gedda, aprì la strada verso il centro-sinistra e il compromesso storico. Un percorso in cui gli eredi di De Gasperi non “tradirono” l’uomo politico trentino, come spesso si crede, ma ne continuarono con coerenza la politica di “secolarizzazione” della società.


IL TIMONE N. 117 – ANNO XIV – Novembre 2012 – pag. 22 – 24

Hollywood ha riscoperto Biancaneve con due film, uno del 2011 con Julia Roberts nella parte della regina cattiva e un’azzeccatissima adolescente (di cui è più noto il padre, il musicista e cantante pop Phil Collins) a fare da protagonista, con tanto di canzone finale e danza collettiva. L’altro, in testa alle classifiche d’incasso estivo nelle sale del 2012, è più cupo e vede la bellissima Charlize Theron come antagonista di Biancaneve (e l’attore già segnalatosi come il «Thor» del fumetto cinematografico nei panni del buon cacciatore).
In verità, da quel primissimo lungometraggio animato di Walt Disney degli anni Trenta (il primo cartoon della storia a conseguire un Oscar), il cinema non ha mai smesso di visitare il personaggio creato dai fratelli Grimm: lo ha fatto, via, via, in chiave horror, grottesca, perfino erotica. Ma Biancaneve è più che un personaggio letterario, è un mito universale ed eterno, quasi un archetipo, e per questo non ha mai cessato di intrigare e affascinare. Si può dire che gli stessi Grimm non l’abbiano inventato, ma trovato già pronto in fiabe e leggende popolari antiche come il tempo.
«L’eroe irlandese Cú Chulainn ha i capelli di tre colori: biondo, rosso e nero. Quante fanciulle dai capelli neri come un corvo, la pelle bianca come la neve e le labbra rosse come il sangue sono imprigionate nelle fiabe?». Così scrive Alessandra Tozzi, esperta di filologia germanica, nel suo libro Brunilde e Rosaspina. Mito e fiaba dagli indoeuropei ai fratelli Grimm (Il Cerchio, prefazione di Paolo Gulisano, pp. 392, € 25,00). Ma i tre colori simbolici di Biancaneve risalgono a molto prima del già antichissimo Cú Chulainn: «Ad ogni classe sociale in India è attribuita una qualità essenziale (guna): Sattva, Rajas e Tamas. Ad ogni qualità è legato un colore (varna): Sattva è bianco e ascendente, leggero e luminoso. Rajas è rosso ed espansivo, eccitante e mobile. Tamas è nero, pesante e oscuro». E anche ogni funzione sociale, nella tripartizione classica, ha il suo colore, uno di questi tre. «Il bianco alla prima e i sacerdoti (per quello che ne sappiamo soprattutto i druidi) indossano vesti bianche (…); il bianco è il colore sacerdotale per eccellenza perché rappresenta la somma di tutti i colori divini. Il rosso è guerriero, è il colore del sangue e del fuoco (…). Il nero è considerato un non-colore». Non a caso in Occidente è associato al lutto. In effetti, anche il Papa indossa vesti bianche, per ricordare la «tunica della pazzia» imposta a Cristo da Erode Antipa. Tuttavia, nella vicenda di Cristo nulla è casuale, non a caso J. R. R. Tolkien convertì l’amico C. S. Lewis facendogli notare che in Cristo «il mito si è fatto storia». Sì, perché, ambedue docenti a Oxford ed espertissimi di mitologia nordica e celtica, sapevano bene che Odino, il sommo dio di Asgard, per ottenere la sapienza aveva sacrificato se stesso a se stesso (non essendoci divinità più alta di lui) appendendosi all’Albero della Vita, l’asse del mondo, Yggdrasil. E Cristo era Dio che sacrificava se stesso al Padre (stesso Dio) appeso al Lignum Vitae, la Croce. Non è un caso, allora, che, per esempio, i vikinghi si siano convertiti al cristianesimo e vi abbiano perseverato. Si badi, dati i loro contatti con gli arabi, conoscevano benissimo l’islam, religione guerriera e apparentemente più nelle loro corde. Invece, preferirono il culto del Cristo, e con loro tutti i popoli celtici.
Tornando a Tolkien e Lewis, sia il primo (col Signore degli Anelli) che il secondo (con le Cronache di Narnia) sono – sempre non a caso – i più grandi favolisti del Novecento. L’abito nero dei preti cattolici (quando lo portavano) fu imposto dal b. Pio IX perché «si distinguessero dagli uomini del secolo », il XIX, «infettati dagli errori moderni». Però i missionari in Africa e in Oriente l’abito (quando lo portavano) dovevano metterselo bianco, proprio per essere compresi come uomini del divino.
Chi dice Biancaneve, poi, dice mela. E il mitico re Artù «possiede un mantello, con una mela appesa a ogni angolo, che rende invisibile chi vi si avvolge». Nei miti, «trovare delle mele d’oro o dell’albero della vita viene considerata prova impossibile o comunque molto ardua». Un re supplica Odino per avere un figlio; il dio gli manda una mela tramite la figlia del gigante Hrímnir, la regina la morde e subito si accorge di essere incinta. La dea Idhunn «conserva nel suo scrigno le mele che gli dèi devono mangiare allorché invecchiano, per ridiventare giovani». Ma anche i miti greci prevedono mele d’oro (una delle fatiche di Ercole, nel giardino delle Esperidi, le riguarda). La famosa bacchetta magica, poi, è antica come i druidi: essa porta incise delle particolari rune e deve essere immersa nell’idromele per funzionare; il legno preferito è il frassino (come l’albero Yggdrasil).
Ma è impossibile, purtroppo, in un breve spazio dar conto delle mille suggestioni del libro della Tozzi, che parla anche delle fate attorno al letto della Bella Addormentata, della relazione tra la spina e il sonno, del significato della soglia (che la sposa non deve toccare), eccetera. Tuttavia, qualcosa sul capitolo riguardante le «pietre» bisognerà pur dirlo. Infatti, ci si imbatte in una nostra vecchia conoscenza, il diluvio. Innanzitutto, è bene sapere che i missionari cristiani, fin dai primi secoli, si sforzarono di combattere il culto pagano delle pietre, diffuso in tutto il mondo. Già: «nelle pietre è insita la forza della terra e i suoi segreti», esse sono simbolo di eternità «poiché sono tra le prime cose a nascere assieme al mondo» e «non si distruggono mai»; e sono pure simbolo di fertilità. Esiodo infatti narra che Zeus, irato contro gli uomini, scatena il diluvio universale; il solito Prometeo incita il figlio Deucalione a costruirsi un’arca, così da salvarsi con la moglie Pirra. Questa è figlia di Pandora, plasmata dalla terra. La vana curiosità di Pandora (che apre il famoso «vaso» incurante del divieto) trasforma il mondo in Valle di Lacrime. Mondo che era stato ripopolato da Deucalione e Pirra, a diluvio cessato, col gettarsi alle spalle delle pietre man mano che avanzavano: dalle pietre di lui nascevano uomini, da quelle di lei, donne.
La Tozzi fa notare che nella lingua greca si dice «lāos» per «pietra» e «laós» per «popolo ». Per noi è interessante notare come il tema del diluvio e dell’arca sia lo stesso anche nella Bibbia, così come quello della donna primordiale che provoca un disastro cosmico infrangendo un divieto divino. Come forse saprete, il racconto del diluvio è presente in tutte le religioni, anche quelle americane. A volte le somiglianze sono davvero impressionanti: per i cinesi, l’unico a scampare con la sua famiglia su un’arca si chiamava Nu-wah. «In Irlanda si trova il caso di Fintan mac Bochra: secondo il mito egli è uomo e druido primordiale, sopravvive alla prima invasione dell’Irlanda e al successivo diluvio universale».
Tornando alle pietre, forse è qui la spiegazione per i menhir, i dolmen, i cerchi cromlech e i cairn, diffusi in tutto il pianeta, perfino in Giappone. Val la pena di riportare il lamento della Tozzi sul più famoso raggruppamento di pietre arcaiche, quello di Stonehenge: «Durante l’anno il perimetrointerno di Stonehenge è rigorosamente inaccessibile e transennato da paletti e funi, con guardiani umani dallo sguardo di rottweiler. Ma alla vigilia del solstizio estivo l’English Heritage (l’ente britannico corrispondente al nostro Fai – Fondo Ambiente Italiano) permette incredibilmente ed esecrabilmente l’accesso all’interno della struttura litica di Stonehenge ad orde di improbabili druidi moderni, ciarlatani e invasati, che attendono l’alba del solstizio con svariati riti (mistici, esoterici, new age, wicca, ma anche con spropositate ubriacature e altro ancora). Il declino della nostra civiltà non ha mai fine!». Ma il Regno Unito ha deciso, e non da ieri, di porsi all’avanguardia della dissoluzione in ogni campo, dagli esperimenti sugli embrioni, all’eutanasia, alla pillola alle minorenni, le quali possono abortire senza dirlo ai genitori. L’avanguardia del politicamente corretto, colà, mette in difficoltà perfino i ciechi, i cui cani sono impunemente rifiutati sui bus e i taxi guidati da musulmani (per i quali il cane è l’animale impuro per eccellenza). La «tolleranza» multietnica politicamente corretta lega le mani alla polizia britannica. La quale, visto che siamo in tema, ha dovuto pure dotarsi di cappellani-druidi per i suoi poliziotti «pagani» (che pare siano un mezzo migliaio).
Diceva mio nonno, guardando i Beatles con la frangetta: «Dove andremo a finire!». Non aveva ancora visto niente.

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