È “veramente vera” la religione cristiana?
Nasce da Dio o dall’iniziativa umana?
E perché tanti cattolici non credono e non professano che Gesù è l’unico Salvatore?
Alcuni spunti da un editoriale di Civiltà Cattolica.
Nel 2000 venne pubblicata la dichiarazione Dominus Jesus nella quale la Congregazione per la Dottrina della Fede, allora guidata dal card. Joseph Ratzinger, ribadisce con fermezza che il pluralismo religioso non può indurre i cattolici a ritenere che tutte le religioni portino le persone e nello stesso modo alla salvezza eterna e a fornire risposte positive alla domanda sul significato della vita che gli uomini si pongono.
Una prospettiva del genere non si può conciliare con la religione cristiana la quale sostiene appunto che Gesù Cristo è uomo e Dio, figlio del Creatore del mondo, seconda persona della Trinità, Salvatore unico e universale. Il cristianesimo, infatti, è la religione in cui è Dio stesso a prendere l’iniziativa di manifestarsi agli uomini e di diventare come loro, tranne che nel peccato, misteriosamente incarnandosi; esso non è dunque, come accade nella maggioranza delle religioni, un tentativo umano di rispondere a un bisogno e a un desiderio di felicità e di assoluto che è presente in ogni essere umano.
Una pretesa del genere contrasta con la cultura dominante, impregnata di relativismo. Se oggi interrogate un giovane qualsiasi sulla pretesa cristiana di essere l’unica verità salvifica, quasi certamente risponderà scandalizzato e con astio, se è un giovane sufficientemente colto e già laicizzato dai più diffusi luoghi comuni anticristiani, oppure non capirà neppure la domanda. Alcuni decenni fa, quando la scena culturale era dominata dalla pretesa delle ideologie di “salvare” il mondo, le risposte sarebbero state diverse, magari altrettanto scandalizzate ma per motivi opposti.
Il problema maggiore è che questa consapevolezza manca anche fra i cattolici praticanti, spesso anche fra i membri del clero, assuefatti al relativismo che ci circonda, privi di una formazione catechistica adeguata, o perché non viene proposta dalle parrocchie o perché, se proposta, non viene accolta.
Il problema esiste dunque e La Civiltà Cattolica gli ha dedicato un’editoriale, nel quale vengono sinteticamente ed efficacemente riproposte le tre condizioni della vera religione e soprattutto l’origine divina di quella fondata da Cristo.
La nuova evangelizzazione deve tener conto di entrambi i fattori: non si può rinunciare alla pretesa cristiana, che è assolutamente vera in quanto la salvezza passa attraverso Gesù e attraverso la Chiesa cattolica da Lui fondata, anche quando la persona non viene incorporata esplicitamente nel corpo di Cristo. Ma non si può neppure dimenticare che la missione oggi si trova di fronte persone cresciute in questo tipo di cultura relativista, disamorate dal desiderio della ricerca della verità, “svuotate” dentro perché costantemente dissipate, cresciute spesso nella esclusiva ricerca del piacere, del divertimento, dell’evasione e così incapaci di silenzio, di rientrare in sé, come diceva sant’Agostino, a cercare (e trovare) quel Dio che ci aspetta nel segreto della nostra coscienza.
Per questo il Magistero parla di una nuova apologetica e di una nuova evangelizzazione che tengano conto delle caratteristiche della persona a cui oggi i cattolici si rivolgono.
Questa situazione comporta maggiore formazione, anche qualitativa, ma anche una conoscenza adeguata degli errori correnti. Il cattolico deve dunque sforzarsi di conoscere la cultura dominante per superarne le insidie, così come deve conoscere il più possibile le altre religioni, professate dalle persone che incontra sempre più frequentemente, a causa soprattutto dell’immigrazione in aumento nel nostro Paese.
Come il cattolico debba comportarsi in questi rapporti, ancora poco frequenti fino a pochi anni fa, è difficile da spiegare.
È certo che deve avere una profonda consapevolezza della verità del cristianesimo come salvezza portata da Dio sulla terra, frutto di una iniziativa divina che comincia con la creazione e continua con la vocazione di Abramo, culmina nell’Incarnazione, morte e resurrezione di Gesù e prosegue nella storia della Chiesa; deve sapere che il Dio che redime è Pluralismo religioso e verità cristiana lo stesso che ha creato, entrando così nella dimensione misteriosa (in quanto superiore alla nostra ragione ma non in contrasto con essa) della Trinità.
Contemporaneamente deve saper cogliere nelle altre religioni quelle parti di verità e soprattutto quella dimensione di religione naturale che sono presenti in esse; da queste verità parziali è bene partire nelle conversazioni, nel dialogo, per mostrare ai fedeli delle altre religioni come nella persona di Gesù Cristo si compia perfettamente tutto quanto di positivo è presente nella religione che professano.
Diverso e più complesso è il dialogo con chi invece non professa alcuna religione, perché si è staccato da ogni credenza a causa delle diverse forme di relativismo che dominano la cultura oggi oppure perché caduto in quella forma di materialismo pratico diffusa nel mondo occidentale, che ha spento la domanda religiosa cercando di farla dimenticare attraverso il consumo dell’effimero. Ne tratteremo forse un’altra volta.
RICORDA
«Il perenne annuncio missionario della Chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso, non solo de facto ma anche de iure (o di principio). Di conseguenza, si ritengono superate verità come, ad esempio, il carattere definitivo e completo della rivelazione di Gesù Cristo, la natura della fede cristiana rispetto alla credenza nelle altre religioni, il carattere ispirato dei libri della Sacra Scrittura, l’unità personale tra il Verbo eterno e Gesù di Nazareth, l’unità dell’economia del Verbo incarnato e dello Spirito Santo, l’unicità e l’universalità salvifica del mistero di Gesù Cristo, la mediazione salvifica universale della Chiesa, l’inseparabilità, pur nella distinzione, tra il Regno di Dio, Regno di Cristo e la Chiesa, la sussistenza nella Chiesa cattolica dell’unica Chiesa di Cristo.
Le radici di queste affermazioni sono da ricercarsi in alcuni presupposti, di natura sia filosofica, sia teologica, che ostacolano l’intelligenza e l’accoglienza della verità rivelata. Se ne possono segnalare alcuni: la convinzione della inafferrabilità e inesprimibilità della verità divina, nemmeno da parte della rivelazione cristiana; l’atteggiamento relativistico nei confronti della verità, per cui ciò che è vero per alcuni non lo sarebbe per altri; la contrapposizione radicale che si pone tra mentalità logica occidentale e mentalità simbolica orientale; il soggettivismo di chi, considerando la ragione come unica fonte di conoscenza, diventa “incapace di sollevare lo sguardo verso l’alto per osare di raggiungere la verità dell’essere”; la difficoltà a comprendere e ad accogliere la presenza di eventi definitivi ed escatologici nella storia; lo svuotamento metafisico dell’evento dell’incarnazione storica del Logos eterno, ridotto a mero apparire di Dio nella storia; l’eclettismo di chi, nella ricerca teologica, assume idee derivate da differenti contesti filosofici e religiosi, senza badare né alla loro coerenza e connessione sistematica, né alla loro compatibilità con la verità cristiana; la tendenza, infine, a leggere e interpretare la Sacra Scrittura fuori dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa».
(Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Jesus circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, 6 agosto 2000, n. 4).
BIBLIOGRAFIA
Queste riflessioni mi sono state suggerite dalla lettura del prezioso editoriale de La Civiltà Cattolica del 6 maggio 2006, intitolato Il pluralismo religioso. Una sfida al cristianesimo. Tutte le religioni sono uguali?
IL TIMONE – N. 55 – ANNO VIII – Luglio/Agosto 2006 – pag. 58 – 59