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Povertà , meno male che la Chiesa c’è
3 Giugno 2014

Povertà , meno male che la Chiesa c’è

Quattro milioni di poveri in Italia, in tragico aumento: un dramma almeno attenuato solo dalla presenza capillare delle organizzazioni cattoliche, che raccolgono e distribuiscono cibo, e danno ospitalità. L’esperienza dei Banchi

 

L’ultimo dato del Censis è rimbombato tra le organizzazioni no profit come un colpo di mortaio: in appena tre anni, dal 2010 al 2013 il dato dei poveri alimentari in Italia è salito di un milione di unità: da tre milioni a quattro milioni di persone. Non si tratta solo di indigenti cronici, ma anche di persone che sono scese sotto la soglia di povertà da quando la crisi economica ha reciso loro il legame con il mondo del lavoro. L’allarme è sentito dal volontariato sociale che ha cercato di attrezzarsi rimboccandosi le maniche, spesso nel disinteresse dello Stato e della politica. Che però senza queste vere iniezioni di carità sussidiaria correrebbe seriamente il rischio di default, dovendosi accollare un peso che ad oggi per lo Stato sarebbe ingestibile. Il Banco Alimentare ad esempio, nato dal carisma di don Luigi Giussani, ha organizzato per il 14 giugno una raccolta straordinaria nei supermercati di tutt’Italia che aderiscono all’iniziativa andando così ad iniettare un sostegno per le oltre 8.800 strutture caritative convenzionate, la gran parte cattoliche (www.bancoalimentare. it). Tra queste soprattutto la Caritas che, attraverso i suoi 814 centri d’ascolto dislocati nelle 128 diocesi italiane, distribuisce pasti gratuiti a poveri e senza tetto in costante aumento a favore di circa 300mila persone assistite.

 

La carità in Italia ha dunque una forte impronta cattolica. È nella Chiesa che si è sviluppata quella concezione sussidiaria della solidarietà senza la quale questi interventi ricadrebbero in toto in mano al settore pubblico statale o locale, con un aumento dei costi spaventoso di cui sarebbero vittime i contribuenti in forma di nuove tasse. Sussidiarietà dunque, ma a volte vera e propria supplenza. È il caso del Banco Alimentare che svolge un compito che non ha eguali nel settore statale né delle amministrazioni locali. Senza questo, numericamente parlando, lo Stato dovrebbe corrispondere un valore economico di poco più di 200 milioni all’anno per sostenere pasti gratuiti ad un bacino di quasi 1 milione e 900 mila persone. «Dei 4 milioni stimati dal Censis – spiega Andrea Giussani, manager in pensione e presidente del Banco Alimentare – noi riusciamo a raggiungerne quasi la metà. Significa che la nostra rete di oltre 1.700 volontari supplisce ad un vuoto assistenziale che lo Stato non copre».

Per capire dunque che cosa accadrebbe se improvvisamente queste realtà smettessero di raccogliere cibo, è bene fare qualche numero: «25mila organizzazioni no profit (la stragrande maggioranza cattoliche) e 900mila volontari impegnati quotidianamente – spiega Marco Malinverno, presidente del Banco Farmaceutico, che distribuisce medicinali a oltre 1.500 enti assistenziali in Italia assicurando assistenza medica a 680mila bisognosi –: se scomparissero le realtà di secondo livello come la nostra, l’esercizio della carità sarebbe più debole perché le organizzazioni no profit non avrebbero beni primari disponibili da fornire ai propri assistiti». E così dovrebbero chiudere in una spirale negativa che trasformerebbe l’Italia in un Paese ancora più divaricato di ora nel rapporto tra i tanti poveri e i pochi ricchi. Eppure la politica sembra non accorgersene: «Da quando dirigo il Banco Farmaceutico non ho mai ricevuto una sola richiesta di incontro o nessuna telefonata da nessun rappresentante di partito. Qualcuno apprezza, ma questo non si traduce in un appoggio da parte delle istituzioni».

È andata meglio invece ad Andrea Giussani che, con la Fondazione Banco Alimentare, nel 2003 si fece promotore di una legge che ha rivoluzionato la donazione del cibo in ambito assistenziale equiparando le organizzazioni come il Banco al consumatore finale: uno dei pochi casi riusciti in Italia di semplificazione burocratica: «È la cosiddetta legge del Buon samaritano (155/2003) che venne approvata dal Parlamento nel 2003 e ci ha consentito di estendere la nostra raccolta anche ai pasti caldi e a breve conservazione nelle mense scolastiche, ospedaliere o nelle caserme. Questa legge in dieci anni ha permesso di recuperare due milioni e 664mila porzioni di piatti pronti, 800mila chili di pane e 892mila chili di frutta. Attualmente 700mila porzioni all’anno».

E si badi: si parla di alimenti che sarebbero andati buttati e invece hanno sfamato migliaia di persone. Si fa strada dunque l’esigenza di essere sempre più capillari nel metodo di raccolta. Ad oggi il Banco Alimentare viene convocato come esperto dalle Commissioni parlamentari quando si tratta di affrontare tematiche legate alla logistica del cibo, alla sua conservazione e al suo stoccaggio. In 25 anni di esperienza, il Banco ha potuto infatti sviluppare una conoscenza sul campo in grado di interfacciarsi con le università italiane e di coprire gran parte dei fabbisogni di 9mila strutture caritative che così possono “scalare” gran parte dei costi delle spese per alimentazione. La mission del Banco è molto semplice: «La prima modalità è quella del recupero delle eccedenze alimentari». Sprechi? «Non solo: noi nasciamo quando l’intuizione caritativa cristiana del Gius incontrò la concretezza imprenditoriale di Danilo Fossati, fondatore della Star, la nota casa produttrice di piatti pronti e alimenti per la preparazione delle pietanze. Spesso un’eccedenza alimentare diventa tale non solo a causa di sprechi. Ad esempio: se ci sono confezioni di alimenti barrate con il 3×2, ma la promozione è scaduta, l’alimento diventa eccedente per esigenze di marketing, non più adatto alla commercializzazione. Quindi può essere raccolto e redistribuito. Oppure il caso dei prodotti prossimi alla data di scadenza e quelli invece che hanno confezioni danneggiate».

Una ricerca che il Banco ha commissionato al Politecnico di Milano ha evidenziato che solo in agricoltura esistono eccedenze alimentari di circa un milione di tonnellate l’anno: «Immaginate il valore commerciale della frutta che resta sugli alberi? Certo, recuperarla è più complicato che andare in un pastificio e ritirare un bancale di pasta con la confezione “fallata”, ma solo con il nostro sforzo, di quel milione noi riusciamo a recuperare prima che marcisca 62mila tonnellate. Immaginate se si potesse raccogliere tutta».

Il concetto di eccedenza alimentare è strettamente connesso con il tema della crescita esponenziale dei consumi delle società moderne. Il recupero delle eccedenze alimentari è un settore che dovrà sempre più essere monitorato, basti pensare a di quanto si ridurrebbero i rifiuti alimentari e i relativi costi di smaltimento a carico dei contribuenti. L’esperienza dei banchi (oltre a quello farmaceutico e alimentare, c’è anche il banco di solidarietà) fa capire il perché la carità è definita dalla Chiesa una virtù teologale in grado di animare tutto il nostro agire: perché dalla necessità di servire il povero dandogli da mangiare l’uomo possa sperimentare anche correttivi e miglioramenti nella vita anche degli altri, non solo dei poveri. La carità infatti da sola non basta se non è accompagnata dalla verità della ricerca di un bene comune che travalichi il mero bisogno materiale, ma si allarga fino a diventare anche un bisogno spirituale in grado di mettere davvero l’uomo in relazione con Dio. Come scriveva nella Caritas in Veritate Papa Benedetto XVI: «La solidarietà senza la sussidiarietà scade nell’assistenzialismo che umilia il portatore di bisogno».  

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