Una delle più belle caratteristiche della Civitas christiana medievale: l’impegno straordinario dei laici. Che si associavano per coltivare una fede viva, pregando e operando a favore di tanti bisognosi
«E ognuno dia al massaro un denaro; e questi denari il massaro distribuirà tra i fratelli e le sorelle povere e soprattutto tra gli infermi, poi tra gli altri poveri; con gli stessi denari farà un’offerta alla chiesa in cui hanno celebrato la Messa».
L’esortazione dell’antico Statuto di una confraternita laicale d’area ravennate, databile agli inizi del XIII secolo, congiunge due elementi essenziali della vita confraternale: la carità attiva e la preghiera.
Sono queste le caratteristiche proprie e costanti del mondo articolato in forme di associazione diverse, individuate da denominazioni differenti (schola, societas, fraternitas, consortium), che, a partire dall’epoca carolingia, si svilupparono nei diversi paesi d’Europa soprattutto nel corso dei secoli XIII-XV e, in molti casi, prolungarono la propria esistenza sino all’epoca moderna.
Ispiratori fecondi e sostenitori autorevoli di questa intensa stagione di associazionismo laicale furono gli Ordini mendicanti, in particolare i Frati Minori, che soprattutto negli ambiti cittadini seppero creare, dove si insediarono e fondarono conventi, una fitta rete di relazioni. Confraternite nacquero nelle chiese francescane dopo la canonizzazione di Francesco d’Assisi (1228).La prima attestazione certa di una confraternita in suo onore è del 1248; nel concedere un’indulgenza di quaranta giorni, l’arcivescovo minorita Leone da Perego stabilì che i confratelli e le consorelle di questa schola milanese si recassero quattro volte all’anno nella chiesa di San Francesco: il primo lunedì dopo Natale, il lunedì dopo Pasqua, dopo la festa dei santi Pietro e Paolo e dopo la festa di san Francesco. Lo stesso arcivescovo concedette il 2 febbraio 1255 quaranta giorni d’indulgenza a coloro che militavano a sostegno della fede cattolica (ad fomentum catholicae fidei), ogni volta che si fossero confessati e comunicati e quindi riuniti nelle loro sedi. Poco dopo, mentre è ministro generale Bonaventura da Bagnorea, nascono e ricevono conferme e privilegi papali numerose confraternite dedicate alla Beata Vergine e a San Francesco e diffuse in molte città italiane.
Alla ben documentata influenza dei Minori sul mondo laicale si aggiungeva l’efficace impegno dei Frati Predicatori, come si verifica nel caso delle confraternite legate alla figura di san Pietro martire (a Rieti dal 1268, e verso la metà del Trecento a Milano e a Monza). A Bergamo la confraternita della Misericordia Maggiore, fondata dal domenicano Pinamonte da Brembate, si impegnava a sostegno dei pauperes, con particolare riguardo alle donne più emarginate, tra cui si annoverano eretiche, prostitute, fattucchiere.
Testimonia Bonvesin della Riva (appartenente egli stesso al Terz’Ordine degli Umiliati) che a Milano, alla fine del XIII secolo, erano settecento circa le persone, coniugate e non, appartenenti a gruppi sorti a opera degli Ordini mendicanti, ma anche presso le domus umiliate o semplicemente legate a forme di vita penitenziale e devota. Si tratta di una élite, numericamente non irrilevante e connotata da un profondo bisogno di religiosità vissuta, di forte conversione, sulla scorta del passo evangelico: «Fate penitenza, il Regno di Dio è vicino» (Mt 4,17).
La diffusione in Italia e in Europa
Come nella città ambrosiana, le associazioni confraternali sono presenti in molte città e nelle campagne dell’intera Europa occidentale. Sono scholae devozionali, legate a un edificio sacro – spesso di modeste dimensioni – o anche solo a un altare, organizzate su base viciniale o accomunate dall’esercizio di una stessa professione; aggregazioni laicali che si assumono la gestione di un santuario; consorzi che si qualificano per molteplici forme di mutua assistenza.
Durante le riunioni periodiche, i confratelli recitano preghiere (spesso in lingua volgare), confessano le colpe, ascoltano la predica; partecipano inoltre a Messe, processioni, funerali per i defunti (tale obbligo era talvolta allargato a tutti i componenti della famiglia dell’associato). Se le pratiche religiose e le modalità di viverle risultano similari, negli Statuti si documenta al contrario una variegata difformità di scopi e di impegni caritativi: dalla distribuzione di viveri ai poveri, all’assistenza ai carcerati e ai condannati a morte (in particolare le scholae di San Giovanni Decollato), al servizio funebre esteso all’intera collettività. Noti sono tra gli altri gli esempi di Lonate Pozzolo, dove gli “scolari” provvedevano coi frutti ricavati dalla gestione dei beni della confraternita a una distribuzione di elemosina in cereali nel giorno dell’Ascensione; di Gallarate, dove tra gli impegni della locale confraternita c’era anche quello di riscattare i compagni eventualmente imprigionati da comuni delinquenti (malefactoribus seu predonibus); oppure della Santissima Concezione di San Lorenzo in Damaso a Roma, il sodalizio impegnato a predisporre doti per fanciulle povere; o ancora delle Societates iuvenum (vere confraternite di mestieri e attività artigianali) che alla fine dell’età medievale in Milano e in Firenze diedero vita a scuole per la preparazione professionale e l’educazione dei giovani.
Alcune fraternite, nelle quali era vivo l’aspetto antiereticale, intendevano educare cristiani militanti, in grado di contrastare l’influenza di fazioni filoereticali all’interno di organismi comunali o di diventare i collaboratori laici degli inquisitori (come accadde a Gallarate alla fine del XIV secolo o a Lecce verso la metà del XV).
Talvolta, le confraternite cittadine tendevano a trasformarsi in luoghi pii. Il più antico di questi in Milano è la schola dei Raccomandati di Maria Vergine (recomendatorum Beatae Mariae, attestati dal 1305), il cui altare in Duomo era chiamato dal popolo “delle quattro Marie”, perché vi si trovava una pala, sulla quale erano raffigurate le quattro feste, o misteri, della Madonna (natività, annunciazione, purificazione, assunzione). Sviluppata la primitiva vocazione al sostegno caritativo, il luogo pio aveva progressivamente ampliato il proprio raggio d’azione, realizzando distribuzioni di derrate alimentari, vestiti, legna da ardere, medicamenti, preparando doti matrimoniali per ragazze povere, destinando somme di denaro in particolare ai “poveri vergognosi” (cioè a persone appartenenti al ceto benestante, cadute in povertà per rovesci di fortuna, che si vergognavano a mostrare la propria condizione di indigenza).
Un àmbito privilegiato di intervento, comune a molti centri cittadini e rurali della penisola, è la fondazione di ospizi, destinati all’accoglienza degli indigenti e degli ammalati. Tra i più antichi sono quelli di Recanati (XII secolo) e di Bolzano (1271); nel XIV secolo, all’indomani del flagello della peste nera, sorsero istituzioni simili a Venezia e a Orvieto. A Piacenza il consorzio dello Spirito Santo, a netta prevalenza femminile, garantiva ospitalità e assistenza ai pellegrini in cammino lungo la via Francigena e il pericoloso passaggio sul Po. Durante il periodo avignonese, a Roma la confraternita del Salvatore diede vita a un nuovo tipo di assistenza ai malati che prevedeva anche una rudimentale cura medica.
Scuole di preghiera e di carità
Divenuta fondamentale nell’economia assistenziale dei grandi centri urbani, tra Quattro e Cinquecento l’estesa varietà della rete mutualistica e caritativa inventata dalle confraternite venne lentamente assorbita dal mondo cittadino, che in alcuni casi si adattò alle strutture confraternali (Genova e Bologna), talvolta le incorporò nel sistema di assistenza predisposto dalle magistrature cittadine (Bergamo, Treviso) o addirittura procedette all’esproprio degli ospizi e dei loro patrimoni (Modena).
Autentiche scuole di pratica religiosa e attività caritativa, le confraternite riflettono le contraddizioni di ogni consorzio umano: la tendenza ad assorbire tutte le pratiche religiose e a rispondere ai bisogni spirituali finiva per allentare i legami degli “scolari” con le chiese parrocchiali; lo spirito di indipendenza poteva costituire un pericoloso focolaio di rivolta all’autorità laica e religiosa; la festa annuale (in genere nella ricorrenza del santo patrono) era celebrata da solenni liturgie e da un banchetto comunitario, ben fornito e segno augurale di prosperità, ma spesso solo tollerato dalle autorità, che temevano gli eccessi e le ubriacature. Aderire a una fraternita poteva anche costituire un’interessata forma di assicurazione contro le malattie e la povertà: a Orvieto, trascorso il periodo di emergenza delle pestilenze trecentesche, si assiste a una massiccia espulsione dalle confraternite di molte persone che vi avevano aderito per convenienza più che per condivisione degli ideali che le animavano.
Ma, tenuto conto di questi elementi, il mondo confraternale resta una realtà di assoluta rilevanza. In una società in progressivo, talvolta vorticoso, sviluppo economico – come accadde a quella del mondo cittadino comunale e tardo medievale – in cui le strutture amministrative della communitas non potevano far fronte alle emergenti, diverse e diffuse forme di povertà, le confraternite laicali svolsero un fondamentale compito di sostegno economico e di contenimento del disagio sociale.
Attente alle loro cappelle e alle loro devozioni, preoccupate di tutelare il proprio patrimonio, a più riprese committenti di opere artistiche, pronte a scegliersi un clero preparato e consapevole, autentici nuclei di vita comunitaria, che stringevano a sé persone diverse e le loro famiglie, le scholae restano un esempio di una vita cristiana praticata e vissuta, forse la forma più originale con la quale il mondo dei laici nell’età medievale seppe coniugare l’esigenza di un’autentica vita religiosa a un impegno diretto e fattivo nell’ambito sociale.
Per saperne di più…
Gilles G. Meersseman, Ordo fraternitatis, I-III, Herder 1977.
I saggi di Giuseppina De Sandre Gasparini e Danilo Zardin in Storia della Chiesa in Europa tra ordinamento politico-amministrativo e strutture ecclesiastiche, a cura di L. Vaccaro, Brescia 2005.
IL TIMONE N. 123 – ANNO XV – Maggio 2013 – pag. 22 – 24
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