La tradizione nella Chiesa si trasmette anche mediante le traduzioni dei testi liturgici nelle lingue parlate: tradurre è collegato a tradere, “consegnare”, ma anche al rischio di tradire. La formula di consacrazione del pane nel Messale di Paolo VI del 1970 include la frase appartenente, nel Messale di Giovanni XXIII del 1962, alla narrazione di ciò che fece Gesù nell’ultima cena e l’altra esplicativa del sacrificio, diventando: «Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi». È caduto però l’enim, “infatti” o “veramente”.
La formula di consacrazione del vino ha subito altre modifiche, diventando: «Prendete e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati. Fate questo in memoria di me». A parte l’estrapolazione dell’espressione mysterium fidei che si trovava all’interno di questa formula, per farne l’introduzione all’acclamazione seguente: “Annunciamo la tua morte…”, è la traduzione della perifrasi “pro multis”, diventata “per tutti”, a porre il problema, perché la consacrazione del pane e del vino è il momento della santa Messa dove in modo speciale emerge il legame tra sacra Liturgia e sacra Scrittura, tra la regola della preghiera e quella della fede (lex orandi-lex credendi).
Sull’argomento, prevenendo le possibili obiezioni, l’allora cardinale Ratzinger aveva fatto tre importanti osservazioni:
1. Gesù è morto per salvare tutti e negarlo non è un atteggiamento cristiano.
2. Dio amabilmente lascia l’uomo libero di rifiutare la salvezza e alcuni lo fanno.
3. «L’informazione secondo cui in ebraico l’espressione i molti sarebbe equivalente a tutti risulta qui del tutto marginale rispetto alla questione posta, per il fatto che in questo caso non era da tradurre alcun testo ebraico, ma uno in latino (quello della liturgia romana), che come suo riferimento diretto ha un testo greco (il Nuovo Testamento). I racconti neotestamentari dell’istituzione non sono affatto una semplice traduzione (né tanto meno una traduzione erronea) di Isaia, ma una fonte originale e autonoma» (cfr Il Dio vicino. L’eucaristia cuore della vita cristiana, Cinisello B., 2003, pp 30-36; anche p 34, nota 10). Il Signore patì per noi perché ne seguiamo le orme (cfr 1 Pt 2,21): «Con questa frase – osserva S. Agostino – sembra quasi che l’apostolo Pietro abbia voluto dire che Cristo patì solamente per coloro che seguono le sue orme, e che la passione di Cristo giova solo a coloro che lo seguono. I santi martiri lo hanno seguito fino all’effusione del sangue, fino a rassomigliargli nella passione. Lo hanno seguito i martiri, ma non essi soli» (S. Agostino, Disc.304,2; PL 38,1396).
Il martirio attinge al sacrificio di Cristo nella Messa, ma ciò non potrebbe essere se ordinariamente non ne attingessimo tutti. Se accade che non a tutti giovi, è per la nostra libertà: per questo egli, pur avendo invitato tutti a bere il suo sangue, ha detto che esso era versato “per molti” in remissione dei peccati: «Riconoscete nel pane – invita il vescovo d’Ippona – quello stesso corpo che pendette sulla croce e nel calice quello stesso sangue che sgorgò dal suo fianco» (Idem, Disc. 228 B,2).
Ad ulteriore comprensione del punto 2, richiamo il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica al n 66: «In che senso l’uomo è creato a “immagine di Dio”? Nel senso che è capace di conoscere e di amare, nella libertà, il proprio Creatore».
L’allora Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, cardinale Francis Arinze, inviò nel 2006 una lettera a tutti i vescovi, in cui chiedeva di catechizzare i fedeli per prepararli all’introduzione di una traduzione precisa in lingua nazionale della formula “pro multis” (per esempio, “for many”, “per molti”, ecc.) nella prossima traduzione del Messale romano che i vescovi e la Santa Sede approveranno per l’uso in quei Paesi. Anche per mettere in pratica l’Istruzione Liturgiam authenticam che domanda di fare «uno sforzo per essere più fedeli ai testi latini delle edizioni tipiche». L’indicazione è stata già recepita nel Messale francese (pour la multitude), inglese (for many) e latino-americano (por muchos). Si deve inoltre tener conto che le liturgie orientali, testimoni della tradizione apostolica, da sempre unanimemente usano “per molti”: ricordiamo, ad esempio, “ypèr pollōn” della liturgia bizantino-greca, o quella armena.
Si attende che ciò accada anche per il Messale italiano, a cui si rifanno non poche versioni nazionali; l’espressione pro multis non può non essere tradotta che “per molti”. Infatti, lo si deve fare non solo per la fedeltà al testo originale, ma anche per eliminare la cacofonia stilistica dell’attuale formula che, appena dopo «Prendete e bevetene tutti: Questo è il calice del mio sangue…», vede ripetere: «versato per voi e per tutti». E poi, se si lasciasse per tutti, non si dovrebbe eliminare “per voi” perché già incluso nel per tutti?
Ma c’è anche chi caldeggia sempre nuove traduzioni per cambiare altre parole della consacrazione, come il passare dal presente al futuro i participi “offerto” e “versato”. Così, il Messale invece di essere tipico è diventato a-tipico.
I preti che non hanno tempo usano sempre le stesse preghiere o, capendoci poco, trasformano a loro volta quelle già trasformate: siamo agli abusi stigmatizzati dall’Istruzione Redemptionis Sacramentum. Ormai il Messale non è un libro normativo, ma di esercitazioni. Ci si deve augurare, dunque, ragionevolezza e buon senso, anzi soprattutto il senso cattolico della liturgia che consiste specialmente nel trasmettere nelle diverse lingue l’unica fede.
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