Le profezie
Il profeta è colui che parla per incarico di Dio, a cui Dio suggerisce ciò che deve dire: è quindi evidente che il vero profeta può anche annunciare le cose future, poiché Dio, al quale ogni momento della storia è contemporaneamente presente, gliele manifesta. È chiaro dunque che solo la religione in cui vi sono vere profezie è una Rivelazione soprannaturale.
Ora è noto che gli scritti degli antichi profeti ebraici ritraggono con secoli di anticipo la figura del futuro Messia e ne predicono gli effetti su Israele e sul mondo.
Parliamo infatti anzitutto di profezie personali, cioè dei segni che caratterizzano la nascita, la vita, la morte e la glorificazione dell’Inviato di Dio. La testimonianza evangelica ci mostra come questi annunci si compiano in Gesù di Nazareth, che, ad esempio, nasce da una Vergine (secondo la profezia di Isaia 7,14), a Betlemme di Giudea (Michea 5,2); opera guarigioni e prodigi (Isaia 35,4); è flagellato e coperto di sputi (Isaia 50,6), trafitto nelle mani e nei piedi (Salmo 22,17) e infine crocifisso (Zaccaria 12,10); ma la sua carne non conoscerà la corruzione del sepolcro (Salmo 15,10). Non meno significative sono le profezie epocali, cioè i mutamenti radicali che la sua venuta comporta per la storia di Israele, e, di conseguenza, dell’umanità: non vi è dubbio che la storia di quel popolo abbia proprio nel secolo di Gesù il crinale che separa due epoche: fino a Gesù c’è il regno di Israele, dal tempo di Gesù in poi comincia la diaspora di Israele; è il tempo in cui muore Gerusalemme, simbolo dell’identità ebraica, il tempio viene profanato e distrutto, e si interrompe l’esercizio del culto pubblico e la trasmissione del sacerdozio. Ma tutto questo era stato predetto. Gli oracoli dei profeti, infatti, annunciavano che l’epoca del Messia sarebbe stata segnata da una serie di trasformazioni radicali: si estinguerà il ruolo dei capi religiosi (Ezechiele 34) e quello dei capi politici (Genesi 49,10); si produrrà un mutamento nell’animo religioso dei popoli (Geremia 31,31), e anche ai pagani sarà aperto l’accesso all’unico vero Dio (Isaia 66,18) così che si avveri la promessa di Dio ad Abramo, che diviene padre di una moltitudine di popoli (Genesi 13,16).
Il valore dell’argomento profetico si basa su tre elementi:
1) occorre anzitutto verificare che i testi profetici siano davvero cronologicamente anteriori al loro adempimento in Gesù di Nazareth, poiché è chiaro che non ci può essere vera profezia se non quando precede l’evento preannunciato;
2) occorre poi dimostrare che gli episodi narrati dai Vangeli in cui si adempiono le antiche profezie sono davvero accaduti e nella forma esposta: si tratta cioè di garantire la credibilità storica del Nuovo Testamento;
3) infine è necessario escludere che l’insieme delle antiche profezie possa essere applicato a qualcuno che non sia Gesù di Nazareth, poiché in questo caso l’identificazione del Messia risulterebbe polivalente e quindi ambigua.
Pur dovendo rimandare ad altro luogo l’esposizione delle prove, possiamo affermare senza alcun dubbio che le tre condizioni sopra richieste sono pienamente adempiute dall’apologetica cattolica, per cui si può agevolmente dimostrare che in Gesù di Nazareth il ritratto veterotestamentario del Messia si compie inequivocabilmente: in lui e solo in lui (ecco la convergenza che dà vigore all’argomento profetico) si danno appuntamento tutti gli oracoli dei profeti, ed egli viene ad essere la chiave di lettura per comprendere l’Antico Testamento, chiave senza la quale invano gli scribi scrutano le Scritture (Gv 5, 39).
I miracoli
Il miracolo è un fenomeno sensibile che si realizza in maniera straordinaria, cioè non riconducibile a cause naturali, e che si spiega solo con l’intervento diretto di Dio; un intervento che si compie nella natura, ma fuori dalle leggi della natura. È chiaro che non contraddice l’ordine impresso da Dio al mondo, ma ne sospende gli effetti in un caso specifico.
Gesù dà un valore decisivo ai suoi miracoli come argomento per credere in lui (Mt 11,3): sono le “opere” che egli compie nel nome del Padre suo (Gv 5,36), i “segni” della sua santità e divinità (Gv 10,37); per questo coloro che lo rifiutano sono inescusabili (Gv 15,24). Miracolo per eccellenza è la risurrezione di Gesù, mediante la quale Dio pone il suo inequivocabile sigillo su tutto ciò che ha detto e operato il suo Figlio fatto uomo. Anche nella Chiesa di Gesù, erede e prolungamento della sua missione, Dio continua ad autenticare la predicazione della verità con i prodigi della sua potenza.
I miracoli che Dio ha operato e opera in Gesù e nella Chiesa sono prove formidabili della verità della nostra fede. E per quanto i negatori del soprannaturale si affannino a tentare di screditarli, i miracoli resistono a qualunque attacco.
Si è detto, ad esempio, che i resoconti che se ne hanno non sono attendibili. In realtà i prodigi compiuti da Gesù sono autenticati da testimoni oculari e sono riferiti da Scritti di cui, come si diceva, si può ampiamente dimostrare l’attendibilità; i prodigi avvenuti nella storia della Chiesa, anche recente, sono spesso scrupolosamente documentati da esperti di chiara fama, anche non credenti, come nel caso di Lourdes.
Si è detto ancora: sono abili trucchi con cui si ingannano facilmente i semplici. Eppure ai miracoli di Gesù erano presenti i più dotti del suo tempo, gli scribi e i dottori della legge, e non certo ben disposti nei suoi confronti; allo stesso modo molti miracoli nella Chiesa sono certificati dalla testimonianza di personaggi di alto profilo, come nel caso del miracolo di Calanda, in Spagna, nel 1640.
Si dice anche: sono frutto di autosuggestione dei presenti. Ma è facile replicare che l’auto suggestione è conseguenza estrema della voglia di credere, mentre ai miracoli di Gesù sono presenti anche molti nemici di Gesù, ebrei e romani, che non hanno nessuna voglia di credere; allo stesso modo in questi 2000 anni di storia cristiana l’autorità della Chiesa non ha avuto paura a sottoporre i fatti prodigiosi al vaglio dell’indagine critica, anzi spesso ostile, di tanti non credenti, e nella maggior parte dei casi nessuno ha potuto fornire neppure un tentativo di spiegazione naturale. Infine, quale ultimo rifugio, si dice che in fondo ciò che fino ad oggi risulta inspiegabile può essere domani spiegato dai progressi della scienza e che quindi dichiarare che un fatto è prodigioso corrisponde sempre ad una definizione provvisoria. In realtà, la relazione tra il fatto prodigioso e il tempo in cui si colloca è elemento fondamentale nel giudizio su di esso: è miracolo proprio ciò che è umanamente inspiegabile nell’epoca in cui si realizza: ciò che avviene in un dato tempo, ma non è proporzionato alle conoscenze e alle capacità di quel tempo, non ha in quel contesto una spiegazione scientifica plausibile della propria esistenza. Ma ancor più questa obiezione è sbagliata nel suo presupposto di partenza: il miracolo,
specialmente di guarigione, può essere definito tale solo quando è istantaneo, e questo è l’esatto contrario di ciò che opera la scienza, la quale agisce sempre con gradualità, e questo è il suo carattere metodologico intrinseco, cioè vale per la scienza di ogni tempo, indipendentemente dal grado di progresso raggiunto.
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