Benedetto XVI intende pubblicare un «Motu proprio» per liberalizzare l’uso del messale preconciliare usato fino all’entrata in vigore della riforma liturgica del 1969. La notizia, pubblicata dai quotidiani italiani «Il Giornale» e «La Stampa», e dall’inglese «The Times» (che però erroneamente considerava il documento papale già firmato), è stata confermata da autorevoli fonti vaticane e dal Sir, l’agenzia dei settimanali cattolici della Conferenza episcopale italiana. Com’è noto il permesso di celebrare secondo l’antico rito esiste già per quei fedeli che ne facciano richiesta: è il famoso «indulto» concesso da Giovanni Paolo II attraverso la Congregazione del culto divino nel 1984 (Quattuor abhinc annos) e allargato nel 1988 con il «Motu proprio» Ecclesia Dei afflicta, dopo il mini-scisma messo in atto dal vescovo Marcel Lefebvre con le ordinazioni illecite di quattro nuovi vescovi avvenute in Svizzera. Papa Wojtyla, nel secondo testo, oltre a cancellare alcune condizioni restrittive, affermava di voler venire incontro alle esigenze dei fedeli rimasti attaccati alla vecchia messa e invitava i vescovi ad essere «generosi» nel concederla. Purtroppo in molti casi ciò non è avvenuto. Molti presuli, di fronte alle petizioni dei tradizionalisti, hanno opposto un rifiuto spesso immotivato o motivato da non meglio precisate «motivazioni pastorali». Di fatto, dunque, la volontà di Giovanni Paolo II non si è potuta attuare a causa delle resistenze degli episcopati: in effetti l’indulto poneva come condizione essenziale il beneplacito del vescovo per la concessione e dunque di fronte al diniego per i fedeli tradizionalisti non c’era nulla da fare.
Non è una novità che più volte, da cardinale, Joseph Ratzinger abbia criticato questo atteggiamento. «Nel corso della sua storia la Chiesa non ha mai abolito o proibito forme ortodosse di liturgia, perché ciò sarebbe estraneo allo spirito stesso della Chiesa», aveva detto il 24 ottobre 1998, commemorando il decennale. «Per una retta presa di coscienza in materia liturgica», aveva detto nel libro Dio e il mondo (Edizioni San Paolo, 2001, p. 380), «è importante che venga meno l’atteggiamento di sufficienza per la forma liturgica in vigore fino al 1970. Chi oggi sostiene la continuazione di questa liturgia o partecipa direttamente a celebrazioni di questa natura, viene messo all’indice; ogni tolleranza viene meno a questo riguardo. Nella storia non è mai accaduto niente del genere; così è l’intero passato della Chiesa a essere disprezzato. Come si può confidare nel suo presente se le cose stanno così? Non capisco nemmeno, ad essere franco, perché tanta soggezione, da parte di molti confratelli vescovi, nei confronti di questa intolleranza, che pare essere un tributo obbligato allo spirito dei tempi, e che pare contrastare, senza un motivo comprensibile, il processo di necessaria riconciliazione all'interno della Chiesa».
Si comprende dunque perché, qualche mese dopo l’elezione, anche in seguito all’incontro avuto con monsignor Bernard Fellay, superiore della Fraternità San Pio X, avvenuto a Castelgandolfo nell’agosto 2005, Benedetto XVI abbia deciso di mettere in cantiere un documento che possa superare le difficoltà esistenti, estendendo la concessione dell’antico messale e di fatto lo liberalizzi, togliendo dunque potere discrezionale ai vescovi. Questi ultimi saranno ovviamente coinvolti nel regolamentare e armonizzare le celebrazioni secondo il rito di San Pio V con quelle secondo il nuovo rito, ma non potranno più rifiutarsi di concedere la messa preconciliare.
Il «Motu proprio» documento «riabiliterà» dunque la messa detta di San Pio V, celebrata nella Chiesa cattolica latina fino al 1969 e mai dichiarata decaduta. Del resto, già nel 1986, una commissione cardinalizia costituita da Giovanni Paolo II per studiare l’argomento, lo aveva riaffermato. Papa Wojtyla pose ai nove porporati (Joseph Ratzinger, Augustin Mayer, Silvio Oddi, Alfons Stickler, Agostino Casaroli, Bernardin Gantin, Antonio Innocenti, Pietro Palazzini e Jozef Tomko) due quesiti. Il primo: «Il papa Paolo VI o un’altra competente autorità poteva proibire legalmente l’universale celebrazione della Messa tridentina?». Il secondo: «Può un vescovo proibire ad un prete di celebrare la Messa tridentina?». Le risposte date dai nove cardinali, ha rivelato uno di loro, Alfons Stikler, furono: «No la Messa di San Pio V non è stata mai soppressa» e «nessun vescovo può proibire ad un prete cattolico di dire la Messa tridentina». Dopo un lungo e approfondito studio teologico e giuridico, svolto dalla Pontificia commissione «Ecclesia Dei» guidata dal cardinale colombiano Dario Castrillón Hoyos (il quale ha appena lasciato l’incarico di Prefetto della Congregazione del clero ma mantiene quello di presidente della commissione che si occupa dei tradizionalisti), dal Pontificio consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi, guidato dal cardinale Julián Herranz Casado, e dalla Congregazione del culto divino, si è arrivati a definire l’antica messa come rito universale «straordinario», a fianco del rito romano «ordinario» che è quello post-conciliare. In questo modo, la vecchia messa tornerà ad avere piena cittadinanza, così come ce l’hanno altri riti cattolici, quali ad esempio quelli bizantino, mozarabico o siro-antiocheno. E i vescovi non si potranno più rifiutare di concederla.
Non va dimenticato inoltre, che lo stesso Joseph Ratzinger in passato (ma anche, in linea di principio, nell’importante discorso alla Curia romana pronunciato nel dicembre 2005) aveva detto che in materia liturgica si è verificata una vera e propria rottura con il passato e la riforma seguita al Vaticano II non soltanto è andata ben oltre la lettera del Concilio stesso, ma è stata ed è tutt’oggi applicata male in molti Paesi, dove esistono numerosi abusi liturgici che finiscono per ridurre la messa ad uno show. Così, si tollera ormai quasi di tutto sull’altare, ma si chiudono le porte a quei fedeli che, anche a causa di questi abusi, sono rimasti attaccati o hanno riscoperto l’antico rito. «Purtroppo da noi» aveva affermato qualche anno fa il cardinale Ratzinger nel libro intervista Il Sale della terra «c’è una tolleranza quasi illimitata per le modifiche spettacolari e avventurose, mentre praticamente non ce n’è per l’antica liturgia. Così siamo sicuramente su una strada sbagliata».
Dopo aver consultato i cardinali della curia romana e aver posto la questione anche al concistoro dello scorso febbraio, affermando come la teologia della Messa tridentina non possa essere definita «riduttiva», Benedetto XVI ha incaricato il cardinale Darío Castrillón Hoyos, di procedere. È stata quindi elaborata una prima bozza di testo, che il Papa ha poi girato alla Congregazione del Culto divino. Qui il cammino del decreto, a causa di alcune resistenze interne al dicastero, è stato reso più difficile: si è pensato di porre un tetto minimo di fedeli richiedenti fissato inizialmente in cento e poi abbassato a trenta, e sono stati eliminati dalla bozza tutti i riferimenti agli abusi liturgici. Il testo è quindi ritornato al Pontefice e all’«Ecclesia Dei».
Non bisogna dimenticare, infine, che il «Motu proprio» per liberalizzare il nuovo messale, dovrebbe facilitare anche il raggiungimento della piena comunione con i lefebvriani della Fraternità San Pio X, che si sono sempre battuti per questo. Le trattative sono in corso e c’è un moderato ottimismo. Proprio la liberalizzazione del messale antico era stata infatti posta come condizione dai seguaci di Lefebvre. Ovviamente, se il Papa firmerà come sembra intenzionato a fare, ciò non significa che dall’oggi al domani il semplice fedele si ritroverà in parrocchia la messa celebrata alla vecchia maniera. Sarà necessario infatti armonizzare le istanze dei fedeli tradizionalisti con quelle degli altri parrocchiani. Nelle ultime settimane, contro il documento papale in preparazione, è stato innalzato una specie di fuoco di sbarramento. Molti vescovi francesi si sono pronunciati contro la sua promulgazione, Bisogna però ricordare che la liberalizzazione rappresenterebbe il compimento della volontà di Giovanni Paolo II e dovrebbe essere considerata come un atto di liberalità e di riconciliazione, non un traumatico ritorno al passato. Il Segretario della Congregazione del Culto divino, l’arcivescovo Malcolm Ranjith, stretto collaboratore e amico di Papa Ratzinger, ha dichiarato al mensile «30Giorni» che l’antica messa non è «una proprietà privata dei lefebvriani», ma «un tesoro della Chiesa e di tutti noi» e che «in modo inequivocabile non può essere considerata come abolita».
RICORDA
«Personalmente ritengo che si dovrebbe essere più generosi nel consentire l'antico rito a coloro che lo desiderano. Non si vede proprio che cosa debba esserci di pericoloso o inaccettabile. Una comunità mette in questione se stessa, quando considera improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando ne fa sentire riprovevole il desiderio. Perché le si dovrebbe credere ancora? Non vieterà forse domani, ciò che oggi prescrive?».
(Cardinale Joseph Ratzinger, Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa Cattolica nella svolta del terzo millennio. Un colloquio con Peter Seewald, San Paolo, 1997).