Il culto alla Vergine Maria è antico come la storia della Chiesa. Lo prova anche l’archeologia, che mostra le tracce lasciate dai primi cristiani che pregavano la Madre di Dio.
Di teologie, cioè di “discorsi su Dio” ne esistono tante: c’è la “teologia della liberazione”, la “teologia nera”, la “teologia del lavoro, della storia”, ecc. E c’è anche una “teologia dell’archeologia”. Non è una battuta: ci sono dei luoghi che “parlano di Dio”, pietre su cui Dio ha lasciato delle tracce, luoghi che confermano quello che la fede cristiana ha sempre insegnato. Uno di questi è Nazareth.
Spesso si sente dire (anche da qualche teologo cattolico – forse per non dispiacere a chi cattolico non è) che la devozione e il culto alla Madre di Gesù sono entrati tardi nella Chiesa, dopo il Concilio di Efeso del 431 , e che prima di quella data non ci sono prove di questa devozione.
E invece le prove ci sono e come. Per limitarci solo all’archeologia -lasciando da parte i documenti scritti – è il caso di dire che anche qui l’archeologia è venuta in aiuto alla teologia.
Si sapeva che a Nazareth i parenti di Gesù avevano conservato gelosamente i luoghi in cui Maria, Gesù e Giuseppe erano vissuti. Uno di questi parenti, un certo Cono ne, al tempo dell’imperatore Decio (249-251) aveva pagato col sangue la sua fedeltà a Gesù. Arrestato e interrogato, afferma: «lo sono della città di Nazareth in Galilea, sono della parentela di Cristo a cui presto culto fin dai miei antenati».
Questi parenti e paesani di Gesù diventati cristiani si riuniscono a pregare proprio nella casa di Maria, la trasformano in una “sinagoga-chiesa”, l’abbelliscono con colonne, con intonaci, con mosaici sul pavimento, scavano una vasca per i battesimi, perché vogliono essere battezzati lì, accanto alla grotta di Maria. E come segno della loro devozione tracciano anche dei graffiti, delle iscrizioni che riportano i simboli caratteristici delle comunità giudeo-cristiane.
Poi, nel quinto secolo, in Terra Santa arrivano i Bizantini e sopra la grotta di Maria, sopra la “chiesa-sinagoga” costruiscono una basilica a tre navate con un piccolo monastero. Chiesa e monastero vengono distrutti dai Persiani nel 614.
Nel 1105, al momento delle Crociate, sulle rovine della chiesa bizantina, il principe Tancredi fa costruire una basilica sontuosa di cui restano ancora sessantaquattro capitelli istoriati.
Rasa al suolo nel 1263 dal sultano Baibars, la basilica viene sostituita nel 1730 da una modesta chiesetta, anch’essa costruita sulle rovine delle chiese precedenti.
È la chiesetta rimasta in piedi fino agli anni ’50, quando si decide di costruire l’attuale, grande basilica (opera dell’architetto italiano Giovanni Muzio e inaugurata nel 1969). Per compiere i lavori di fondazione della nuova basilica, negli anni 1955-59, viene portata a termine un’accuratissima e completa esplorazione archeologica di tutta la zona entro la quale si erano succedute le varie costruzioni, nell’intento di giungere, con uguale meticolosità, fino alla roccia.
Ed ecco la sorpresa, la scoperta: l’archeologo che dirige i lavori, padre Bellarmino Bagatti, uno dei maggiori archeologi biblici, scopre nell’intonaco di un muro utilizzato per sostenere il tetto della chiesa-sinagoga (la prima chiesa, molto anteriore alla chiesa bizantina) un graffito, un’iscrizione.
È in greco e porta scritte queste parole XE MAPIA, cioè Kh(air)e Maria: Ave Maria. La prima “Ave Maria” della storia. “L’Ave Maria” più antica della storia.
Quel pellegrino anonimo aveva voluto dimostrare così la sua devozione a Maria: scrivendo “Ave Maria”, proprio nel luogo dove era risuonata per la prima volta.
Su un’altra colonna ecco un’altra iscrizione: “In questo santo luogo di M(aria) ho scritto”. E ancora nell’intonaco di un’altra pietra, che contiene molti graffiti, ce n’è uno in lingua armena nel quale si legge la parola “keganuisch” che significa “Vergine bella”, un titolo che gli Armeni sono soliti dare a Maria.
Quindi è certo: fin dall’inizio, questa grotta di Nazareth è stata custodita, venerata dagli abitanti di Nazareth. Lo provano le varie chiese che vi sono state edificate.
Non è vero allora – come sostenevano in di versi – che in quel luogo c’erano delle tombe, e che quindi – per ragioni di purità legale – non ci potevano essere delle abitazioni. In realtà di tombe non se n’è trovata traccia. C’erano invece delle abitazioni, e una di queste era proprio quella di Maria, come diceva la tradizione. E come provano le varie chiese costruite nei secoli.
E allora: si può ancora sostenere che la devozione a Maria è una devozione entrata tardi nella Chiesa, una devozione sconosciuta nei primi secoli del cristianesimo? I graffiti di Nazareth dimostrano proprio il contrario.
Lasciamo la parola a Padre Bagatti: «Non pochi studiosi, in passato, misero fuori la teoria che in quei secoli i capi della Chiesa non permettevano il culto mariano… La scoperta di Nazareth ha invece documentato che la realtà era ben diversa. Nella stessa casa di Maria si praticava il culto di lei fin dalle origini della Chiesa, perché lì essa era stata scelta a Madre di Cristo. Il piccone, che è galantuomo, è venuto a rimettere a posto le cose».
Ma – si sa – c’è sempre qualcuno che chiude gli occhi anche davanti all’evidenza. Lo dice anche il proverbio che non c’è peggior sordo di chi non vuoi sentire, o meglio – in questo caso – non c’è peggior cieco di chi non vuoi vedere.
RICORDA
«La pietà della Chiesa verso la Vergine Maria è elemento intrinseco del culto cristiano. (…) Tale culto alla Vergine ha radici profonde nella parola rivelata e insieme solidi fondamenti dogmatici: la singolare dignità di Maria, Madre del Figlio di Dio e, perciò, figlia prediletta del Padre e tempio dello Spirito Santo; per Il quale dono di grazia straordinaria precede di gran lunga tutte le altre creature, celesti e terrestri; la sua cooperazione nei momenti decisivi dell’opera della salvezza, compiuta dal Figlio; la sua santità, già piena nella concezione immacolata e pur crescente via via che ella aderiva alla volontà del Padre e percorreva la via della sofferenza (cfr Lc 2,34-35; 2,41-52; GV19,25-21), progredendo costantemente nella fede, nella speranza e nella carità; la sua missione e condizione unica nel Popolo di Dio, del quale è insieme membro eccellentissimo, modello chiarissimo e Madre amorosissima; la sua incessante ed efficace intercessione per la quale, pur assunta in cielo, è vicinissima ai fedeli che la supplicano ed anche a coloro che ignorano di esserne figli; la sua gloria, che nobilita tutto il genere umano, come mirabilmente espresse il poeta Dante: Tu se’ colei che l’umana natura / nobilitasti sì, ch’el suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura. Maria, infatti, è detta nostra stirpe, vera figlia di Eva, benché esente dalla colpa di questa madre, e vera nostra sorella, la quale ha condiviso pienamente, donna umile e povera, la nostra condizione.
Aggiungiamo che il culto alla Beata Vergine ha la sua ragione ultima nell’insondabile e libera volontà di Dio, Il quale, essendo eterna e divina carità (cfr 1 Gv 4,7-8. 16), tutto compie secondo un disegno di amore: egli l’amò ed In lei operò grandi cose (cfr Lc 1,49); l’amò per se stesso e l’amò anche per noi; la donò a se stesso e la donò anche a noi».
(Paolo VI, Esortazione apostolica Marialis cultus, 2 febbraio 1974, n. 56).
IL TIMONE – N. 54 – ANNO VIII – Giugno 2006 – pag. 50 – 51