La figura di Bonifacio VIII, di cui il 12 ottobre di quest’anno è ricorso il settecentesimo anniversario della morte, è legata nella memoria al famoso “schiaffo di Anagni”, avvenuto, nella notte del 7 settembre 1303. Questo gesto, di cui è stata contestata la storicità, è comunque entrato nell’immaginario per segnare la fine del Medioevo cristiano e l’inizio di un processo storico plurisecolare che avrebbe portato all’era moderna.
Benedetto Caetani, Sommo Pontefice dal 1294 al 1303, nacque ad Anagni attorno al 1230, di nobili genitori. Uomo di vivo ingegno, si segnalò come eminente giurista e come perito diplomatico, tanto da meritare di essere creato cardinale nel 1281 da papa Martino IV. Ottenne la tiara pontificia nel 1294, in seguito alla rinunzia di Celestino V, l’eremita Pietro da Morrone, che Bonifacio non esitò a confortare e a sostenere nella sua tormentata scelta di abdicazione.
Gli scopi fondamentali del nuovo Papa furono quelli di restaurare la libertà della Chiesa e di pacificare il popolo cristiano. Il pontificato di Bonifacio conobbe tuttavia tragiche vicende soprattutto a causa della lotta con Filippo IV, il Bello, re di Francia. Dopo la pubblicazione della Bolla Unam Sanctam, del18 novembre 1302, con cui Bonifacio VIII riaffermava i diritti della Chiesa, Guglielmo di Nogaret giurista di Filippo il Bello, in una requisitoria letta al consiglio regale denunciò Bonifacio come usurpato re, eretico e simoniaco, chiedendo al re di far convocare un concilio per deporre il Pontefice. Bonifacio annunciò una bolla di scomunica, ma alla vigilia della sua promulgazione, lo stesso Nogaret e Sciarra Colonna assalirono con le loro milizie il castello papale ad Anagni ed oltraggiarono gravemente il capo della Chiesa che li ricevette solennemente rivestito dei sacri paramenti.
Liberato dal popolo di Anagni, il Papa riparò a Roma, dove morì un mese dopo.
Ancora oggi Bonifacio VIII è considerato da molti un uomo autoritario e cupido di governo, ultimo rappresentante di una concezione ierocratica della Chiesa che pretenderebbe una assoluta supremazia da parte del Papa nelle cose temporali. Il suo ultimo documento, la bolla Unam Sanctam ne sarebbe la testimonianza.
La bolla Unam Sanctam
La conclusione dogmatica della Unam Sanctam era la seguente: “Porro subisse Romano Pontifici, omni humanae creaturae declaramus, dicimus et definimus, omnino esse de necessitate salutis”: “Noi dichiariamo, diciamo, pronunciamo e definiamo che ogni creatura umana è in tutto e per tutto, per necessità di salvezza, sottomessa al Pontefice romano”. Ciò significa che ogni uomo, compresi i principi e i re cristiani, se vuole salvare la propria anima deve uniformare la sua condotta, pubblica e privata, alle leggi della Chiesa e alla autorità spirituale e morale del Sommo Pontefice. Il Papa, secondo Bonifacio, è per divina autorità al di sopra di tutti i Re e i regni, non perché eserciti su di essi un’autorità temporale assoluta, ma solo nel senso di godere di essere investito di quella superiorità relativa che conviene alle cose spirituali su quelle materiali, all’ordine soprannaturale e divino rispetto all’ordine puramente naturale e umano, secondo le parole di san Paolo: “Omnis anima potestatibus sublimioribus subdita est”. La concezione di Bonifacio VIII è la stessa espressa da Papa Gelasio (492-496) nella celebre formula dei “duo luminaria”, secondo cui “vi sono due poteri principali mediante i quali il mondo viene governato: l’autorità sacra dei pontefici e il potere regio” (Gelasio I, Epistula ad Anastasium Imperatorem, in Patrologia Latina, vol. LIX, col. 42). Tra il potere spirituale proprio della Chiesa e il potere civile simboleggiato dalla persona di Cesare, non vi è conflitto, ma distinzione, poiché il Signore comanda di dare “a Cesare quello che appartiene a Cesare e a Dio quello che appartiene a Dio” (Mt 22,21).
Il grande storico di diritto canonico e di sociologia religiosa, Gabriel Le Bras, nell’ultima conferenza tenuta poco prima di morire, in un convegno ad Anagni (1967), si disse fiero di essere il difensore risoluto di Bonifacio VIII, il più calunniato tra i quattro Papi anagnini (Innocenzo III, Gregorio IX. Alessandro IV, Bonifacio VIII). La visione di Bonifacio, secondo lo studioso francese, era coerente con quella gelasiana, fondata sul dualismo delle due potestà distinte, quella del Papa e quella del Re. Esse devono collaborare per ottenere il bene sia spirituale sia temporale degli uomini sottomessi ai due poteri, ma sono distinte e indipendenti tra di loro. Le parole di teocrazia e ierocrazia – concludeva Le Bras – sono da mettere nel magazzino delle antichità non venerabili”.
Il cardinale Alfonso Stickler, in un’altrettanto memorabile conferenza pubblicata nel 1977, ebbe a ricordare le parole dello stesso Bonifacio di fronte all’accusa a lui fatta da Filippo il Bello, di essersi voluto intromettere nel campo temporale: “Quarant’anni sono – esclamava il Pontefice – che siamo esperti in diritto e sappiamo che due sono le potestà ordinate da Dio; chi ha dunque dovuto e potuto pensare che sia stata o sia tanta fatuità e insipienza nella nostra testa” da credere cioè che il Pontefice possa comandare al re in cose non sue, quali quelle dello Stato (Card. Alfonso Stickler, Il Giubileo di Bonifacio VIII. Aspetti giuridico-pastorali, Edizioni dell’Elefante, Roma 1977, p. 39).
Lo schiaffo di Anagni capovolge simbolicamente l’atto fondante della civiltà cristiana: quella notte di Natale dell’anno 800 in cui in San Pietro Carlo Magno rende omaggio a san Leone III e riceve da lui la corona imperiale. Il gesto di Sciarra Colonna contiene tutto l’itinerario di secolarizzazione che nel corso dei secoli avrebbe condotto da Marsilio da Padova a Machiavelli, da Machiavelli a Hobbes e a Rousseau e da questi a Marx e al totalitarismo del secolo XX. Questo itinerario nega la distinzione tra i due poteri caratteristica della tradizione occidentale e cristiana per assorbire la sfera spirituale e morale in quella politica, attraverso la sacralizzazione della volontà popolare e della categoria di Rivoluzione.
Il Giubileo dell’anno 1300
L’indizione del Giubileo del 1300, il primo giubileo cristiano della storia, nasce dalla volontà pacificatrice di Bonifacio VIII e dimostra come le scelte politiche furono in lui sempre sottomesse alle esigenze di ordine spirituale e temporale. È ampiamente documentato dal racconto del cardinale Jacopo Stefaneschi (1270 ca-1343), cronista del primo giubileo (De centesimo seu jubileo anno liber), come da altre testimonianze contemporanee, che l’idea del Giubileo non nacque nella mente del Pontefice e dei suoi consiglieri, ma li colse anzi di sorpresa. Il fatto unico della retroattività del disposto della Bolla di Indizione (dal 16-22 febbraio 1300 al 24-25 dicembre 1299) conferma che non fu il Papa a suscitare il movimento del giubileo ma che, al contrario, egli si adeguò ai desideri e alle aspettative del popolo cristiano, dimostrando una sensibilità pastorale che smentisce quell’immagine di uomo autoritario ed altero, animato solo dal culto del potere, che ci è stata tramandata dall’oleografia storica.
Il Giubileo del 1300 rappresentò l’apogeo della Chiesa medioevale. Dopo l’attentato di Anagni e la morte di Bonifacio VIII si aprì una delle epoche più drammatiche per la Chiesa, che conobbe il trasferimento del Papato ad Avignone e il grande scisma di Occidente, ma anche per l’Europa cristiana, sconvolta dalla guerra dei cent’anni e da un succedersi di sciagure che ne minarono il patrimonio demografico. La cristianità, che contava settanta milioni di abitanti nell’anno del Giubileo, dopo un secolo di guerre, epidemie e carestie, era ridotta a circa quaranta milioni. L’età moderna albeggiava sulle “tenebre” del Medioevo.
“Nello spazio di cinque secoli, fino a Bonifacio VIII, i Papi esercitarono una influenza straordinaria sulla società. La cristianità è guidata da due governi: l’auctoritas sacrata dei Pontefici, o Ecclesia, e la regalis potestas dei sovrani, o Imoerium. Il Papa e l’Imperatore sono i due monarchi supremi – l’uno religioso l’altro temporale – della società cristiana medievale. Essi esercitano entrambi una plena potestas che deriva, sia all’uno che all’altro, direttamente o indirettamente, da Dio”.
(Roberto de Mattei, Quale Papa dopo il Papa, Piemme, Casale Mon.to 2002, p. 52).
IL TIMONE N. 28 – ANNO V – Novembre/Dicembre 2003 – pag. 24 – 25