Pellegrini speciali, in armi
Se queste furono le premesse e gli scopi fondamentali delle crociate, quale fu il mezzo adottato per conseguirli? La crociata come strumento pratico derivò dalla fusione di due elementi: il pellegrinaggio penitenziale e il corretto uso delle armi.
I crociati partivano verso la Terrasanta pungolati dalla coscienza di essere peccatori, di necessitare del perdono divino per ottenere la salvezza eterna. E i pontefici misero a loro disposizione un premio straordinario: l’indulgenza plenaria per i peccati che avessero confessato «di bocca e di cuore». In altri termini, il viaggio – le sue difficoltà materiali e psicologiche, gli altissimi rischi – serviva come espiazione delle colpe commesse e debitamente confessate. Chi poi fosse morto durante l’impresa avrebbe ottenuto il Paradiso, sempre alle stesse condizioni. E si ricordi che a quell’epoca indulgenze di questo tipo erano piuttosto rare, non come oggigiorno.
Dunque la crociata era una «guerra santa» nel senso che chi vi partecipava correttamente si santificava grazie ad essa. Il crociato caduto lungo l’iter ierosolimitanum, il «cammino di Gerusalemme», era quindi considerato un martire. Ma i crociati non avevano affatto lo scopo di convertire gli infedeli, scopo missionario che rimase ben distinto, a parte qualche travisante eccesso di zelo.
Per riconquistare Gerusalemme e la Terrasanta i crociati dovevano necessariamente usare le armi. Per questo gli appelli principali vennero rivolti agli uomini d’arme e in particolare ai cavalieri, ovvero agli specialisti militari del tempo, anche se la partecipazione del clero e del popolo inerme, donne comprese, fu quantitativamente superiore. Su questo piano la crociata rappresentava un’«occasione di salvezza» – l’espressione è di san Bernardo – per nobili e semplici fedeli che esercitavano abitualmente la professione militare e che dunque erano particolarmente esposti al peccato. In effetti, proprio nell’XI secolo la Chiesa combatté in Europa una battaglia di civiltà volta a limitare le violenze private e gratuite esercitate da non pochi detentori della forza militare, cercando di proteggere con leggi e contromisure varie (politiche, ma anche militari) i deboli e gli inermi (donne, vecchi, bambini, i chierici stessi) e di porre un freno alle guerre locali. In siffatto quadro la crociata venne presentata come una possibilità di redenzione proprio per chi deteneva il gladius materialis, la «spada materiale», ovvero la forza militare. Quale causa migliore infatti della difesa di Gerusalemme e dei cristiani in pericolo?
Per mostrare pubblicamente la nuova tipologia di pellegrini in armi si scelse un simbolo tanto semplice quanto efficace: una piccola croce di stoffa, cucita sugli abiti. Cruce signati, «segnati con la croce», crociati appunto, sulla scorta di un passo evangelico: «Chi vuol venire dietro di me… prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24 e paralleli). E per favorire la partecipazione dei singoli si previdero varie agevolazioni economiche e fiscali oltre alla garanzia della protezione apostolica, ovvero la tutela dei propri interessi in patria garantita dalla Chiesa.
In pratica chi avesse allungato le mani sui beni e sulla famiglia dei crociati (si pensi a tante mogli rimaste a casa…) sarebbe stato scomunicato, con le gravi conseguenze del caso (esclusione dai sacramenti, rottura dei vincoli feudali, perdita dei diritti civili…).
Interessi, errori ed eccessi
Per armarsi, equipaggiarsi e pagarsi i costi del viaggio i crociati affrontavano spese enormi, per le quali dovevano vendere o ipotecare beni mobili e immobili. Sostenere quindi, come spesso viene fatto, che i crociati partissero per arricchirsi significa pensare che un viaggio (senza garanzia di ritorno…) per la Palestina di allora costasse poche centinaia di euro… Viceversa, andare in crociata era altamente rischioso dal punto di vista sia personale sia economico. È però vero che alcuni occidentali fecero fortuna in Oriente, per le ricchezze sottratte ai musulmani o per quelle generate grazie alla propria iniziativa. Si pensi per esempio alle città marinare italiane (Genova, Pisa, Venezia…) che realizzarono profitti da capogiro, in almeno un caso anche con grave danno per la Cristianità intera, e mi riferisco alla drammatica conclusione della Quarta Crociata, nel 1204, che conquistò Costantinopoli anziché occuparsi di Gerusalemme.
Si trattò di qualcosa di giocoforza connaturato con imprese così vaste, complesse e complicate come le crociate. Armare e lanciare interi eserciti e, nella loro scia, uomini e donne di tutte le condizioni sociali (mercanti e banchieri, contadini e artigiani, lavandaie e prostitute, monaci ed eremiti…) non poteva che generare tutta una serie di contese anche economiche sia con i nemici sia tra i crociati stessi. Né poterono mancare gli eccessi dettati dalla foga guerriera o dal calcolo politico. E si pensi ad alcuni episodi di massacri che vanno condannati: come quello seguito alla riconquista di Gerusalemme nel 1099 che, se pure non fu così «totale» come di solito si ripete, fu comunque tragico; e quello di Acri nell’agosto del 1191, quando il re inglese Riccardo Cuor di Leone – per molti altri versi un eroe crociato – si spazientì per l’atteggiamento ingannevole di Saladino e fece eliminare circa 2.000 prigionieri musulmani.
Si potrebbero ricordare almeno altrettante violenze subite dai cristiani per mano islamica. Ma il problema non è quello di una luttuosa contabilità dei morti e dei torti. Il fatto è che la crociata, fondata sulla guerra giusta e santa, necessariamente armata per le ragioni che si sono dette, non poteva che produrre anche guasti di questo genere.
Quel che resta di quello spirito
Pur con i limiti indicati, lo spirito fondamentale che sostenne le crociate – e non in teoria, bensì proprio nel loro concreto realizzarsi e nell’esperienza di moltissimi partecipanti – fu la rinunzia a sé, l’obbedienza a un compito superiore indicato dalla Chiesa e percepito come derivante in ultima istanza da Dio, e infine l’enorme sacrificio compiuto nel nome di Cristo. Come ha ben detto l’accademico di Francia Jean Richard, questo «spirito di crociata» non sarà mai «desueto».
La Terza Crociata (1189-1192)
La Quarta Crociata (1202-1204)
Dossier: La Crociata, un atto d’amore
IL TIMONE – N. 52 – ANNO VIII – Aprile 2006 – pag. 39 – 41
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