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15.12.2024

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Quello spirito che non muore
31 Gennaio 2014

Quello spirito che non muore


«Amore» per l’onore di Cristo offeso e da vendicare, «amore» per i luoghi dove il figlio di Dio aveva vissuto e «amore» per i fratelli orientali in difficoltà.
Questo era lo spirito essenziale del movimento crociato.

«Dio ha organizzato un torneo tra Inferno e Paradiso ed esorta tutti i suoi amici affinché non vengano meno». Con queste parole un anonimo poeta della metà del XII secolo invitava i suoi contemporanei a partire per la Seconda Crociata, organizzata dal re di Francia e da papa Eugenio III tra il 1145 e il 1148, predicata da quel santo immenso che fu Bernardo di Clairvaux e destinata a un misero fallimento. Ma il poeta e i suoi ascoltatori non potevano saperlo, mentre si preparavano per il «torneo tra Inferno e Paradiso».
La canzone iniziava così: «Cavalieri, siete molto privilegiati poiché Dio ha sporto querela presso di voi contro i turchi che gli hanno recato così gravi oltraggi. A torto si sono impadroniti delle sue terre e noi dobbiamo giustamente provarne dolore perché là Dio fu per la prima volta adorato e riconosciuto come Signore». Questo testo scritto da un laico mostra come i fedeli cristiani intendevano la crociata nel Medioevo: uno scontro a fondo con il nemico musulmano che aveva invaso la Terrasanta. Lo scopo della crociata era dunque il recupero dell’«eredità di Cristo» – recuperatio avrebbero detto gli esperti di diritto canonico – e la vendetta del Signore offeso per quell’attacco ingiustamente subito – vindicta injuriae Crucifixi avrebbero chiosato i chierici.
A questa ragione essenzialmente giuridica, volta a restaurare un diritto leso a livello religioso e di geopolitica internazionale, si sommava poi un altro elemento: la difesa dei fratelli nella fede oppressi dagli infedeli. Papa Eugenio III l’aveva detto con chiarezza nella sua bolla di crociata: i crociati dovevano essere «infiammati dall’ardore della carità». E Jonathan Riley-Smith, storico di Cambridge, ha dimostrato che i cristiani di quel tempo concepivano la crociata come un «atto d’amore» nei riguardi del Signore e dei loro fratelli.
Lo stesso Urbano II, il pontefice della Prima Crociata (1095-1099), l’aveva spiegato in una lettera ai fiamminghi nel 1095: «La rabbia dei barbari ha devastato le Chiese di Dio che sono in Oriente, opprimendole miserevolmente e impadronendosi della Città Santa. Esse vanno liberate». Il papa non si riferiva solo ai luoghi fisici ma pure ai fedeli in carne e ossa, anche perché varie richieste di aiuto erano giunte in quei decenni dall’Oriente. In particolare dalla cristiana Costantinopoli, capitale dell’Impero romano d’Oriente, le cui terre erano state nuovamente attaccate dai turchi negli anni ’70 dell’XI secolo.
L’«amore» era dunque al centro dei pensieri crociati. Ne era certo anche il nostro anonimo poeta: «Là saranno redenti i peccatori, coloro che per amore Suo andranno a servirLo in questo gran bisogno, per procurare la vendetta di Dio». Il cristiano doveva rispondere alla generosità con cui Dio aveva inviato Suo Figlio per la redenzione dei suoi fedeli, e «rimettere le cose a posto».
Recupero di un bene importantissimo, la Terrasanta; vendetta, nel senso di giusta punizione nei confronti degli usurpatori musulmani; difesa caritatevole dei cristiani oppressi: furono queste le motivazioni di fondo delle crociate, anche se oggi si sente più facilmente dire che esse furono il frutto dell’espansionismo e della «volontà di potenza» dell’Occidente cristiano. Ovviamente a danno dei musulmani, che in quest’ottica passerebbero per le vittime di un’aggressione. Non è così: i cristiani d’Occidente che si mossero verso Oriente per vari secoli (dall’XI a oltre il XIII) rivendicavano un diritto superiore e antico. Infatti Gerusalemme era stata sottratta ai cristiani nel 638 d.C. e per secoli gli imperatori di Costantinopoli avevano tentato di recuperarla, anche utilizzando guerrieri occidentali.
Dunque la Prima Crociata, che riconquistò Gerusalemme il 15 luglio 1099, fu il coronamento di una contesa aperta dai musulmani. E non il contrario.

Pellegrini speciali, in armi
Se queste furono le premesse e gli scopi fondamentali delle crociate, quale fu il mezzo adottato per conseguirli? La crociata come strumento pratico derivò dalla fusione di due elementi: il pellegrinaggio penitenziale e il corretto uso delle armi.
I crociati partivano verso la Terrasanta pungolati dalla coscienza di essere peccatori, di necessitare del perdono divino per ottenere la salvezza eterna. E i pontefici misero a loro disposizione un premio straordinario: l’indulgenza plenaria per i peccati che avessero confessato «di bocca e di cuore». In altri termini, il viaggio – le sue difficoltà materiali e psicologiche, gli altissimi rischi – serviva come espiazione delle colpe commesse e debitamente confessate. Chi poi fosse morto durante l’impresa avrebbe ottenuto il Paradiso, sempre alle stesse condizioni. E si ricordi che a quell’epoca indulgenze di questo tipo erano piuttosto rare, non come oggigiorno.
Dunque la crociata era una «guerra santa» nel senso che chi vi partecipava correttamente si santificava grazie ad essa. Il crociato caduto lungo l’iter ierosolimitanum, il «cammino di Gerusalemme», era quindi considerato un martire. Ma i crociati non avevano affatto lo scopo di convertire gli infedeli, scopo missionario che rimase ben distinto, a parte qualche travisante eccesso di zelo.
Per riconquistare Gerusalemme e la Terrasanta i crociati dovevano necessariamente usare le armi. Per questo gli appelli principali vennero rivolti agli uomini d’arme e in particolare ai cavalieri, ovvero agli specialisti militari del tempo, anche se la partecipazione del clero e del popolo inerme, donne comprese, fu quantitativamente superiore. Su questo piano la crociata rappresentava un’«occasione di salvezza» – l’espressione è di san Bernardo – per nobili e semplici fedeli che esercitavano abitualmente la professione militare e che dunque erano particolarmente esposti al peccato. In effetti, proprio nell’XI secolo la Chiesa combatté in Europa una battaglia di civiltà volta a limitare le violenze private e gratuite esercitate da non pochi detentori della forza militare, cercando di proteggere con leggi e contromisure varie (politiche, ma anche militari) i deboli e gli inermi (donne, vecchi, bambini, i chierici stessi) e di porre un freno alle guerre locali. In siffatto quadro la crociata venne presentata come una possibilità di redenzione proprio per chi deteneva il gladius materialis, la «spada materiale», ovvero la forza militare. Quale causa migliore infatti della difesa di Gerusalemme e dei cristiani in pericolo?
Per mostrare pubblicamente la nuova tipologia di pellegrini in armi si scelse un simbolo tanto semplice quanto efficace: una piccola croce di stoffa, cucita sugli abiti. Cruce signati, «segnati con la croce», crociati appunto, sulla scorta di un passo evangelico: «Chi vuol venire dietro di me… prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24 e paralleli). E per favorire la partecipazione dei singoli si previdero varie agevolazioni economiche e fiscali oltre alla garanzia della protezione apostolica, ovvero la tutela dei propri interessi in patria garantita dalla Chiesa.
In pratica chi avesse allungato le mani sui beni e sulla famiglia dei crociati (si pensi a tante mogli rimaste a casa…) sarebbe stato scomunicato, con le gravi conseguenze del caso (esclusione dai sacramenti, rottura dei vincoli feudali, perdita dei diritti civili…).

Interessi, errori ed eccessi
Per armarsi, equipaggiarsi e pagarsi i costi del viaggio i crociati affrontavano spese enormi, per le quali dovevano vendere o ipotecare beni mobili e immobili. Sostenere quindi, come spesso viene fatto, che i crociati partissero per arricchirsi significa pensare che un viaggio (senza garanzia di ritorno…) per la Palestina di allora costasse poche centinaia di euro… Viceversa, andare in crociata era altamente rischioso dal punto di vista sia personale sia economico. È però vero che alcuni occidentali fecero fortuna in Oriente, per le ricchezze sottratte ai musulmani o per quelle generate grazie alla propria iniziativa. Si pensi per esempio alle città marinare italiane (Genova, Pisa, Venezia…) che realizzarono profitti da capogiro, in almeno un caso anche con grave danno per la Cristianità intera, e mi riferisco alla drammatica conclusione della Quarta Crociata, nel 1204, che conquistò Costantinopoli anziché occuparsi di Gerusalemme.
Si trattò di qualcosa di giocoforza connaturato con imprese così vaste, complesse e complicate come le crociate. Armare e lanciare interi eserciti e, nella loro scia, uomini e donne di tutte le condizioni sociali (mercanti e banchieri, contadini e artigiani, lavandaie e prostitute, monaci ed eremiti…) non poteva che generare tutta una serie di contese anche economiche sia con i nemici sia tra i crociati stessi. Né poterono mancare gli eccessi dettati dalla foga guerriera o dal calcolo politico. E si pensi ad alcuni episodi di massacri che vanno condannati: come quello seguito alla riconquista di Gerusalemme nel 1099 che, se pure non fu così «totale» come di solito si ripete, fu comunque tragico; e quello di Acri nell’agosto del 1191, quando il re inglese Riccardo Cuor di Leone – per molti altri versi un eroe crociato – si spazientì per l’atteggiamento ingannevole di Saladino e fece eliminare circa 2.000 prigionieri musulmani.
Si potrebbero ricordare almeno altrettante violenze subite dai cristiani per mano islamica. Ma il problema non è quello di una luttuosa contabilità dei morti e dei torti. Il fatto è che la crociata, fondata sulla guerra giusta e santa, necessariamente armata per le ragioni che si sono dette, non poteva che produrre anche guasti di questo genere.

Quel che resta di quello spirito
Pur con i limiti indicati, lo spirito fondamentale che sostenne le crociate – e non in teoria, bensì proprio nel loro concreto realizzarsi e nell’esperienza di moltissimi partecipanti – fu la rinunzia a sé, l’obbedienza a un compito superiore indicato dalla Chiesa e percepito come derivante in ultima istanza da Dio, e infine l’enorme sacrificio compiuto nel nome di Cristo. Come ha ben detto l’accademico di Francia Jean Richard, questo «spirito di crociata» non sarà mai «desueto».

La Terza Crociata (1189-1192)

1187. Saladino conquista Gerusalemme. Alla predicazione della crociata dell’arcivescovo di Tiro, rispondono l’imperatore Federico Barbarossa, il re di Francia Filippo Augusto e il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone.
1190. Barbarossa muore annegato dopo aver conquistato Konia.
1193. Muore Saladino, che aveva conquistato tutto il territorio dei Franchi tranne Tripoli, Tiro e Antiochia.

La Quarta Crociata (1202-1204)

Inizia condotta da Bonifacio II di Monferrato e da Baldovino di Fiandra e termina con il saccheggio di Costantinopoli da parte dei crociati.
La Quinta Crociata (1217-1221)
Guidata da Giovanni di Brienne, re di Gerusalemme, e da Andrea II, re di Ungheria, riesce nella conquista di Damietta (1218-1219) ma si conclude con la spedizione disastrosa verso il Cairo (1221) e la perdita della stessa Damietta.
La Sesta Crociata (1228-1229)
1229. L’imperatore Federico II diventa re di Gerusalemme in seguito al matrimonio con Isabella di Brienne e a un trattato con il sultano d’Egitto.
I turchi riconquistano la città santa solo dopo 5 anni.

Dossier: La Crociata, un atto d’amore

IL TIMONE – N. 52 – ANNO VIII – Aprile 2006 – pag. 39 – 41

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