Cinque anni fa la pubblicazione dell’enciclica Fides et ratio. Discuterne è urgente, nel vivo del dibattito sulle radici cristiane dell’Europa. Vediamo perché.
Nel 1998 Giovanni Paolo II pubblicava la Fides et ratio, enciclica circa i rapporti tra fede e ragione, come recita il sottotitolo. Essa si inserisce nella tradizione cristiana, in particolare cattolica, che ha sempre difeso sia l’esaltazione dei contenuti di fede che la dignità della ricerca razionale, la parresìa (libertà, franchezza) della fede come anche l’audacia della ragione, secondo le note espressioni usate dall’enciclica al paragrafo 48.
Il rapporto tra fede e ragione viene affrontato dall’enciclica pontificia nel solco di una tradizione che lo ha sempre considerato positivamente: le due dimensioni devono procedere insieme, e da ciò – si noti – trae giovamento innanzitutto la ragione naturale alle prese con l’impervia e mai compiuta ricerca della verità. Essa viene particolarmente apprezzata dall’enciclica, tanto da aver fatto dire ad alcuni che nel tempo attuale il Magistero cattolico pare svolgere la più convinta e autorevole difesa della ragione contro il dilagare di svariate forme di scetticismo e di relativismo. Queste infatti la svalutano, e di conseguenza smarriscono un aspetto costitutivo della dignità dell’uomo: se egli non è in grado di camminare verso la verità nell’esercizio della ragione, la scelta di questa o quella posizione sia teoretica che pratica è affidata all’istinto anziché costituire il frutto di una decisione libera e responsabile. Perciò la Chiesa difende la ragione, che la fede non annulla ma anzi aiuta a realizzarsi secondo la sua propria natura. È in tal senso noto l’adagio medioevale fatto proprio da san Tommaso d’Aquino e dalla stessa enciclica, gratia non destruit naturam sed perficit: la grazia non annulla la natura delle cose (la quale quindi viene garantita nella sua autonomia e libertà) ma la porta a compimento (consente alla natura – incrinata dal peccato – di raggiungere la propria pienezza). E solo così si spiega l’eccezionale funzione culturale e civilizzatrice svolta dal cristianesimo e dalla Chiesa lungo la storia, e ciò nonostante essa non abbia mai teso come proprio fine a creare e a diffondere né cultura né civiltà.
Ma perché la fede stimola la ragione al suo perfezionamento? E perché mostra tanto interesse nei suoi confronti? Non sarebbe più naturale dal punto di vista religioso sottometterla all’autorità assoluta del dogma e della dottrina della fede? La risposta si può evincere ricordando l’opera di san Tommaso d’Aquino, filosofo e teologo tra i massimi della storia del pensiero, e punto di riferimento esplicito per il Magistero cattolico in generale e per la Fides et ratio in particolare. Egli scrisse – siamo nel XIII secolo – una grande opera, la Summa contra Gentiles, col preciso intento di rivalutare quanto i non cristiani hanno in comune con i cristiani. ossia la sapienza naturale e le conquiste irrinunciabili della filosofia greca pre-cristiana. Un’opera come quella (della quale non a caso pare che il titolo originale fosse piuttosto Liber de veritate catholicae fidei: non contro qualcuno, ma in difesa delle ragioni della fede) mostra l’apprezzamento che il cristiano dovrebbe avere per la ragione naturale, poiché essa costituisce terreno d’intesa con chi non ha ancora ricevuto il buon annuncio oppure non vi ha ancora prestato fede, spesso per pregiudizi o per equivoci dovuti al cattivo uso della ragione naturale. Tutto ciò significa che la fede, non essendo assurda ma ragionevole, non può venire privata del suo necessario supporto razionale, delle sue “ragioni” insomma. Essa necessita di quel supporto razjonaie che sostiene l’assenso alla Rivelazione (supporto detto non a caso preambulum fidei e fatto proprio dal Magistero) e che conseguentemente costituisce anche la base per la sua difesa (apologia). Il Papa ha scritto infatti che” è illusorio pensare che la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a mito o superstizione” (Fides et ratio, n. 48). ‘ Allo stesso modo, prosegue Giovanni Paolo II nel passo appena citato, “una ragione che non abbia dinanzi una fede adulta non è provocata a puntare lo sguardo sulla novità e radicalità dell’essere”. La ragione ha conosciuto difatti notevoli progressi nella sua ricerca della verità proprio grazie al fondamentale apporto della fede cristiana.
Concetti ormai irrinunciabili per la cultura moderna sono il frutto innegabile dell’influsso che la Rivelazione cristiana ha avuto sulla riflessione filosofica: dall’idea apparentemente più astratta del Dio unico e creatore di tutte le cose, a quelle conseguenti e più immediatamente chiare della libertà di Dio (Egli crea: è dunque libero di farlo) e dell’uomo (fatto a sua immagine), della storia che produce novità (l’uomo è libero di progredire), della natura non più divinizzata ma anzi sottomessa all’uomo, dell’idea dell’uomo quale persona, ossia non chiuso nella propria individualità ma teso a realizzarsi nella comunione con l’altro. Per la ricchezza che alla ragione deriva dal depositum fidei il Papa ha citato nella Fides et ratio alcuni filosofi cristiani, i quali hanno per messo alla filosofia di raggiungere progressi impensabili proprio grazie al rapporto vivificante con la Rivelazione.
A quelli dell’età moderna e contemporanea – i cattolici Newman, Rosmini, Gilson, Maritain, Edith Stein, e gli ortodossi Cadaaev, Solov’ ev, Florenskij e Vladimir Lossky – è stato dedicato un volume, Verità della Rivelazione. I filosofi moderni della “Fides et ratio” (Ares).
Da esso emerge che la verità, prima ancora di porsi quale oggetto della ricerca dell’uomo, è espressa dalla Rivelazione, la quale – così come la storia della cultura occidentale può documentare – ha fondato e stimolato, tra le altre, quelle importanti, definitive e imprescindibili acquisizioni del sapere appena esposte.
In un clima quale quello attuale, in cui è vivo il dibattito sulle radici cristiane dell’Europa, una riflessione più approfondita del rapporto tra fede e ragione può giovare al ristabilimento di una retta comprensione della posta in gioco. Razionalismi e fideismi – non a caso avversari storici del Magistero cattolico – si alimentano dell’assenza di reciprocità tra fede e ragione, e della sconsiderata convinzione di poter ridurre la loro compresenza all’esclusività dell’una o dell’altra. La storia dell’Europa – per riferirsi solo all’aspetto più pratico e visibile della loro negatività – è stata contristata dalla prepotenza dei razionalismi (si pensi solo a quello positivistico del dominio della scienza e della tecnica e a quello marxista) così come da quella dei fanatismi religiosi (le guerre di religione che hanno insanguinato l’età della Riforma protestante). L’unico antidoto a questi mali risiede in quella mutua relazione tra fede cristiana e ragione naturale che l’Europa in particolare e l’Occidente in generale non possono non riconoscere come propria indiscutibile radice.
DA NON PERDERE
“Già Platone e Aristotele lo sapevano: la ricerca della verità presuppone la verità. E’ una contraddizione o è l’unico possibile orizzonte del sapere? Non è la stessa condizione dell’uomo una permanente tensione tra la grandezza della propria dignità e la miseria del limite che, dall’inizio alla fine, ne avvolge l’esistenza? La verità si fonda e si compie nella Rivelazione e nel Cristo, poiché il dato rivelato precede non solo le risposte ma finanche le domande della riflessione filosofica. […] La complessità di un rapporto che tiene assieme autonomia e dipendenza, simbolo della stessa condizione umana, è l’oggetto di questo libro. Esso la indaga attraverso l’opera di quei pensatori che la Fides et ratio indica come esempi recenti di un’autentica filosofia cristiana: sono Rosmini, Newman, Maritain, Gilson, Stein, Solov’ëv, Florenskij, Caadàev e VI. Lossky. Testimoni di una modernità non necessariamente anticristiana, proprio per non essersi adeguati a certa moda razionalistica e scettica, essi sono davvero esempi di un percorso intellettuale e sapienziale orientato alla ricerca della verità, e quindi a un autentico servizio rivolto all’uomo d’oggi”.
(Roberto Di Ceglie [a cura di], Verità della Rivelazione. I filosofi moderni della “Fides et ratio”, Ares, Milano 2003, quarta di copertina).
BIBLIOGRAFIA
Jean Daniélou – H.Marrou, Nouvelle histoire de l’Église. I. Des origines a saint Grégoire le Grand, Éditions du Seuil, Paris 1963.
Marta Sordi, Il Cristianesimo e Roma, Cappelli, Roma 1965.
Marta Sordi, I cristiani e l’impero romano, Jaca Book, Milano 20042.
Storia della Chiesa, diretta da H. Jedin, Jaca Book, Milano 1992-19952.
Histoire de la Papauté, a cura di Y.-M. Hilaire, Tallandier, Paris 1996.
IL TIMONE – N.28 – ANNO V – Novembre-Dicembre 2003 pag. 58 – 59