L’azione della Gran Bretagna contro il Regno delle Due Sicilie. Interessi commerciali, contrapposizioni ideologiche, il ricordo della Riforma protestante alla base di un’intensa azione di “guerra psicologica”. Una pagina del Risorgimento poco studiata
«La presenza dei due legni da guerra Inglesi influì alquanto sulla determinazione dei comandanti de’ legni nemici, naturalmente impazienti di fulminarci, e ciò diede tempo ad ultimare lo sbarco nostro: […] ed io, beniamino di cotesti Signori degli Oceani, fui per la centesima volta il loro protetto». Con questa espressione di compiacimento, affidata alle proprie Memorie, Giuseppe Garibaldi riassume in modo eloquente i termini del contributo britannico all’unificazione politica italiana.
L’interesse della Gran Bretagna verso la Penisola era di antica data e dovuto a diversi fattori, di natura sia economica sia geopolitica, cui faceva da collante un pregiudizio ideologico. Gli anglosassoni, infatti, sognavano da tempo una rivincita rispetto alla sconfitta che gli italiani avevano inflitto alla Riforma nel secolo XVI e l’immagine dello Stato Pontificio risvegliava — in quanto sede del Papato — gli atteggiamenti anticattolici di quelle popolazioni, per le quali il protestantesimo rappresentava un elemento fondante del giudizio sul Risorgimento. Le vicende della Repubblica Romana, nel 1849, che fanno svanire nei britannici le speranze di una riforma religiosa dell’Italia, sia nella versione moderata di una trasformazione del cattolicesimo in senso “evangelico”, sia in quella più rivoluzionaria della distruzione del Papato, alimentano un odio violento contro il “papismo” e un grande entusiasmo verso Garibaldi, presentato come spada divina contro il Pontefice. «Mazzini, Garibaldi ed i patrioti italiani in genere, che combattono contro il papa – scriveva anni fa lo storico valdese Giorgio Spini – non fanno altro che attuare, agli occhi dei protestanti inglesi, americani e talvolta anche svizzeri, il disegno provvidenziale della distruzione di Babilonia-Roma. Sono dunque lo strumento eletto da Dio per il compimento delle Scritture».
A ciò si aggiungevano gli interessi commerciali della Gran Bretagna nel Mar Mediterraneo, via via cresciuti a seguito dell’occupazione di Gibilterra nel 1704 e dell’isola di Malta nel 1800. Dopo l’occupazione del Regno di Napoli da parte degli eserciti di Napoleone Bonaparte, nel 1806, i britannici instaurano per circa un decennio una sorta di protettorato politico-militare sulla Sicilia, sfuggita all’invasione, consolidando la forte presenza economica stabilita nell’isola alla fine del secolo XVIII. Ne ricavano olio d’oliva, agrumi e il liquoroso vino Marsala, ma soprattutto hanno l’esclusiva, dietro pagamento di modiche cifre, della commercializzazione dello zolfo siciliano, che copriva il 90 per cento della richiesta mondiale.
Il tentativo, nel 1840, di por fine a quel monopolio costa caro a Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, che ha a cuore l’indipendenza del reame ma deve fare marcia indietro sotto la pressione delle cannoniere britanniche, inimicandosi per sempre quella grande potenza. Dopo il fallimento delle rivoluzioni del 1848- 1849, la Gran Bretagna dà il via a una capillare ed efficace propaganda mirante a denigrare dinanzi all’Europa lo Stato Pontificio e soprattutto il regno borbonico, che il motto del liberale lord William Ewart Gladstone bolla nel 1851 come «la negazione di Dio eretta a sistema di governo». «Con quel motto – commenterà sarcastico lo storico napoletano Giacinto de’ Sivo – Napoli, le Sicilie, il re, la magistratura, l’amministrazione, l’esercito, il clero, la nobiltà e gl’ingegni nostri furono immorali ed atei giudicati. Nove milioni d’abitanti vivean col pensiero negativo della Divinità».
L’isolamento morale del regno diventa anche diplomatico in seguito all’atteggiamento filorusso assunto da Ferdinando II durante la Guerra di Crimea (1853- 1856), che sancisce la fine della Santa Alleanza. Al sovrano non piaceva affatto quel singolare rovesciamento di posizioni che portava un esercito cristiano, quello anglo-francese, ad allearsi con i turchi ottomani e a marciare contro un altro esercito cristiano, quello russo, per sostenere la causa dell’imperialismo islamico. Tuttavia, la resistenza del re alle brutali pressioni diplomatiche messe in atto dalla Francia e dal Regno Unito è inaspettatamente energica: le intimazioni sono respinte in nome della sovranità del regno e le richieste di un’amnistia per i reati politici non vengono accolte, precisando anzi che la pressione straniera rendeva impossibile l’attuazione dei provvedimenti allo studio. Il risultato è la rinuncia dei due Stati alla minacciata dimostrazione navale nel Golfo di Napoli e la limitazione della protesta alleata al ritiro delle loro rappresentanze, considerata da tutti un netto successo per il governo di Ferdinando II e un’umiliazione per le due grandi potenze. Da allora la Francia e la Gran Bretagna, in disaccordo sull’opportunità dell’unificazione politica della Penisola, saranno invece d’accordo sulla necessità di abbattere la dinastia borbonica.
Napoleone III vuol costruire una grande zona d’influenza nella Pianura Padana in funzione antiasburgica e per questo motivo è disposto a tollerare la nascita di una media potenza, cioè di un regno sabaudo che comprenda il Lombardo-Veneto e i ducati padani. Per il resto, pensa a una federazione di Stati italiani in cui il Pontefice abbia la funzione di arbitro e il proprio impero la supremazia politica, grazie anche all’assegnazione del Granducato di Toscana e del Regno delle Due Sicilie a esponenti della famiglia imperiale francese. Quest’idea naufraga per l’abile politica del conte di Cavour nell’Italia Centrale, ma anche per la fiera opposizione degli ambienti politico-diplomatici, militari e finanziari britannici, che sostengono con forza l’idea dell’unità italiana.
Nell’ottobre 1859, il generale napoletano Carlo Filangieri, principe di Satriano, ammonisce il nuovo sovrano, Francesco II di Borbone, su «gli scandalosi intrighi degli inglesi, che fomentavano i disordini ed il malcontento per promuovervi un’esplosione, come quella del 1848, tendente alla separazione dell’isola dal Reame di Napoli, nel che riuscendo manovrerebbero in modo da farla cadere sotto il protettorato o almeno sotto l’esclusiva loro influenza». Nel 1860, il primo ministro Lord Henry John Temple, visconte di Palmerston, con la brutalità che lo caratterizzava nei confronti dei più deboli, investe più volte i rappresentanti napoletani con parole e modi tali da provocare il successivo richiamo di due di essi e auspica pubblicamente la fine della dinastia borbonica. I diplomatici britannici diffondono la tesi dell’inferiorità della «massa corrotta e codarda di quei degradati napoletani» – aprendo di fatto la Questione Meridionale – ed estendono il disprezzo alla figura dello stesso Francesco II, che Palmerston non esita a insolentire nei suoi colloqui con i diplomatici napoletani e che il liberale lord John Russell, ministro degli Esteri, giudica «crudelissimo, falso e bigotto», con accenti che imitavano quelli del Times, sul quale il giovane sovrano veniva paragonato addirittura all’imperatore romano Caligola. La Gran Bretagna passa quindi all’azione, proteggendo con tutti i mezzi e senza pudore la spedizione dei Mille, cioè un’operazione di pirateria internazionale, e favorendo la creazione di uno Stato unitario italiano. In questo modo mette un freno alle ambizioni mediterranee dell’impero napoleonico, che fra l’altro proprio in quegli anni stava avviando la costruzione del canale di Suez; favorisce la nascita di «un piccolo regno di second’ordine » – per usare le parole dello scrittore russo Fëdor Michajlovic Dostoevskij –, alleato dell’impero britannico e per di più laicista e pronto a dissolvere anche con la forza l’aborrito Stato Pontificio; estromette dalla Penisola la dinastia borbonica e cancella per sempre un reame che aveva dato un contributo di speciale rilievo alla storia militare e alla cultura cattolica italiana ed europea.
Per saperne di più…
Roberto Martucci, L’invenzione dell’Italia unita. 1855-1864, Sansoni 1999.
Angela Pellicciari, I panni sporchi dei Mille. L’invasione del Regno delle Due Sicilie nelle testimonianze di Giuseppe la Farina, Carlo Persano e Pier Carlo Boggio, Liberal 2003.
Gigi Di Fiore, I vinti del Risorgimento. Storia e storie di chi combatté per i Borboni di Napoli, UTET, 2004.
Eugenio Di Rienzo, Il Regno delle Due Sicilie e le potenze europee. 1830-1861, Rubbettino 2012.
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