II 19 gennaio 2001 è morto Gustave Thibon, cattolico, filosofo-contadino autodidatta. L’amore a Dio e la fede genuina furono i suoi strumenti per comprendere il reale.
Un autentico maestro.
Dialogando con Gustave Thibon nel suo volume Ausoir de ma vie. Mémoires recueillis et présentés par Daniele Masson, del 1993, una biografa ne sigilla così la vita e l’opera: “Thibon voleva riconciliare l’uomo con se stesso”, e questo fece militando per la causa del Signore della storia. Thibon – “filosofo-contadino” figlio e nipote di contadini, discepolo o amico di filosofi antichi e contemporanei – è scomparso il 19 gennaio scorso nel paesino di Saint-Marcel-d’Ardèche, nel Midi di Francia, dove nacque novantotto anni fa, il 2 settembre 1903. La cultura coincide solo con i libri esclusivamente in un’ottica di riduzionismo illuministico e di ciò Thibon, che oltre la carta stampata sapeva dialogare con gli autori e con le epoche storiche, è una testimonianza di primo piano: ex “ribelle” agnostico, autodidatta e agricoltore sin dall’adolescenza invece che studente, mise per iscritto e pubblicò le proprie prime riflessioni filosofiche su richiesta di Jacques Maritain, dopo aver riguadagnato la fede cattolica a venticinque anni. Quasi che il famoso filosofo neotomista trovasse sapide come mai e puntuali più di altre le intuizioni thiboniane sulla fede che converte anche l’intelletto. Il “filosofo-contadino” dell’Ardèche, l’uomo che ha fatto conoscere Simone Weil al mondo, è per certo stato, seppur piuttosto negletto, un grande campione del cattolicesimo contemporaneo francese (ammesso che, pur determinanti, le connotazioni geografiche siano, in questo ambito, discriminanti), capace di osservazioni incisive che, a partire dalla fede in Cristo, investono anche quella morale sociale che costituisce il campo d’insegnamento specifico della dottrina sociale della Chiesa cattolica. Per Thibon, infatti, la realtà possiede una norma oggettiva di verità che, istillata dal Creatore, ne determina l’ordine. Per questo motivo è possibile – il termine di paragone è il funzionamento dell’organismo umano governato da leggi che lo precedono ontologicamente – anche distinguerne e di esporne una fisiologia passibile di patologia. Innamorato dell’ordine del creato che anzitutto e soprattutto evoca e rivela il suo Creatore, quindi suo strenuo difensore nell’attuale grande battaglia apologetica per la cultura basata sulla verità, Thibon ha indefessamente predicato quel “ritorno al reale” (così il titolo di una sua importante opera uscita in versione integrale nel 1943 e ripubblicata, assieme ad altro, nel volume, a mia cura, Ritorno al reale. Prime e seconde diagnosi in tema di fisiologia sociale, trad. it. con una prefazione di Gabriel Marcel, Effedieffe, Milano 1998) capace di neutralizzare la lente distorcente dell’ideologia, figlia del gran rifiuto luciferino del giogo dolce del Padre celeste.
Nel corso della sua lunga esistenza, il “filosofo-contadino” ha pubblicato decine di volumi e di saggi traboccanti amore per il Dio incarnato e per la Sua creazione. Poco di suo è purtroppo disponibile oggi in lingua italiana, ma ritornare al reale oltre ogni prospettiva ideologica significa certamente anche riappropriarsi di Thibon. Infatti, come egli scrisse in Au soir de ma vie, ogni cattolico può ripetere: “Porto in me dei morti più viventi dei viventi. Il mio più grande desiderio è di reincontrarli”. Uno di loro è Gustave.
IL TIMONE N. 13 – ANNO III – Maggio/Giugno 2001 – pag. 11