Il Rock & Roll compie cinquant’anni. Diamo un giudizio a partire da quel che diceva Louis Amstrong: “Conosco solo due generi di musica: la bella musica e la brutta musica… io faccio quella bella”.
E così quest’anno il rock & roll compie cinquant’anni! La notizia di per sé non è sconvolgente, ma poiché molti celebreranno questo avvenimento (quando non accade niente per molto tempo qualsiasi cosa diventa un avvenimento o un evento), non sarebbe male conoscere meglio il tema.
Il vocabolario dice che la parola “rock” deriva da “rock and roll” (dondola e rotola), locuzione di origine sessuale che descrive l’impulso a muovere il corpo a tempo di musica. Genere di musica leggera bianca di matrice afro-aricana, festosa e ballabile di Elvis Presley, Buddy Holly, Bill Haley, nata nel 1954 per reazione alla dolciastra canzone melodica.
Siccome il numero degli esperti di rock nel nostro paese è inferiore solo a quello degli allenatori di calcio che si trovano nei bar o nelle botteghe dei barbieri della penisola, qualcuno, anche solo su questi primi tre nomi, avrà storto il naso, ma non è mia intenzione fare una storia del rock and roll quanto piuttosto considerare il fenomeno, perché proprio di un fenomeno si tratta.
Il successo del rock è legato a doppio filo all’affermarsi dei media – radio, televisione, cinema – e costituisce il primo prodotto immediatamente fruibile, leggero, transitorio ed intercambiabile. E’ un successo travolgente e inarrestabile e rende, rende moltissimo, più del cinema di cui si nutre e che nutre; l’industria del disco, che proprio in questi anni cambia supporto passando dal 78 giri al 33 e al 45, conosce i suoi anni migliori, i suoi anni d’oro: i nomi da fare sarebbero tanti, ma soprattutto bisognerebbe ascoltare, perché non si può parlare di musica senza ascoltare.
Il rock fin dai suoi primi tempi comincia a diventare un contenitore in cui può stare dentro tutto e il suo contrario: la musica “americana” invade e colonializza prima l’Europa, da cui in parte viene, e poi tutto il mondo. Apparentemente il rock è trasgressione, ma in realtà è una merce industriale in mano alla cultura dominante: nella società americana e inglese il rock è perfettamente funzionale al sistema.
Cominciano gli oceanici festival-raduni, Woodstock, Wight, replicati e scimmiottati in ogni paese e che hanno un profondo impatto sulla società e sui modelli di vita e il rock diventa come il megafono della ribellione giovanile.
Grandi concerti, grandi raduni, grandi gruppi e grandi cantanti e autori affollano le scene: dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, dove sono le radici più profonde del rock, questo fenomeno si diffonde in tutto il mondo e si sostituisce alle musiche generate dalle varie culture facendo piazza pulita delle tradizioni e delle identità: dove queste sono forti si stabilisce una sorta di convivenza, negli altri casi viene cancellata ogni forma musicale.
I giovani sono i più esposti alla malia e al fascino di questa musica e del mondo che c’è dietro e dentro e, essendo i più vulnerabili, rinunciano nella stragrande maggioranza ad una parte importante della canzone: le parole. Le parole diventano un suono, spesso appena articolato e incomprensibile ai più che lo ingoiano con la musica e finiscono per non chiedersi cosa vuoi dire una canzone: il risultato sconvolgente, ma logico, è che nemmeno nelle canzoni in lingua madre le parole vengono ascoltate più con gusto e senso critico, ma siccome sono precotte e predigerite vengono espulse e sostituite in fretta essendo il linguaggio e le immagini letterarie di un livello prima adolescenziale, poi pre-adolescenziale quando non addirittura infantile.
Mentre fino a tutti gli anni 70 sono gli artisti (Bob Dylan, Jimi Hendrix, Frank Zappa, Janis Joplin, Yardbirds, Beatles, Rolling Stones, Pink Floyd, Led Zeppelin, Animals e mi duole dire ecc.) che fanno “grande” il genere, dagli anni 80 in poi è il genere musicale praticato che rende “grandi” gli artisti.
Il concetto è che se non è rock non è musica per i giovani perché ai giovani piace solo se è rock: così si vedono autori ed interpreti pronti a rinunciare alla loro identità e alla loro originalità pur di cavalcare la tigre rock con risultati spesso al limite del ridicolo: si pensi solamente al fenomeno dei preti-rock nel nostro paese che una volta si chiamava “il paese del bel canto”, a tutta la storia della nostra canzone napoletana buttata a mare, alla nostra canzone italiana, al melodramma imbalsamato sotto vetro.
Eppure il rock and roll ci ha regalato delle canzoni belle e grandi, evidentemente, però, ovunque ci sono cose belle e brutte che convivono approfittando della incapacità di ascolto (o di silenzio) che si è diffusa come un gas soporifero che non si dissolve.
Gli ultimi decenni del rock non hanno visto grandi novità realmente musicali, ma nuovi strumenti tecnologici e soprattutto la nascita dei video clip che sono funzionali ad una musica non più da ascolto, ma da assuefazione.
Numerosi sottogeneri sono nati nell’albero del rock (dal punk alle contaminazioni con il folclore dei vari paesi che ci hanno regalato, tranne pochi rari casi isolati, delle schifezze assolute spacciate per world music), ma la musica rock di questi ultimi anni è diventata sempre più povera, banale e ripetitiva… tanto è vero che chi ha ancora un minimo di sensibilità e di udito va a riascoltare i primi, i grandi o cerca nel Jazz e nel Blues qualcosa di bello.
Il Rap, la House Music, la musica da discoteca, fatta di campionamenti della fatica di altri, stanno rendendo la musica sempre più guardabile e ballabile, ma anche inascoltabile. La vera trasgressione oggi non è il sesso, ma il Sacro.
Fare musica ed ascoltare musica deve aiutare a vivere: non è la ragione e il fine della vita.
Quando una goccia della Bellezza e della Verità dell’Infinito, anche solo come un grido, brillano in un pezzo rock allora il rock è grande.
Allora buon compleanno rock! Aveva, anzi, ha ragione Amstrong.
IL TIMONE – N. 35 – ANNO VI – Luglio/Agosto 2004 – pag. 52 – 53