Era seminarista e aveva solo 14 anni. Alla vigilia della Liberazione fu vittima dell’odio per la Chiesa di alcuni precisi settori partigiani, quelli comunisti. Eroica testimonianza di fede che ora lo porta sugli altari
Quando, nel luglio 2001, sono salito la prima volta a San Valentino, nell’Appennino reggiano, dove Rolando Rivi ha vissuto e dove, nell’antica pieve, è sepolto e venerato, sono rimasto colpito da un fatto: era un ragazzo innamorato di Gesù, da questo amore era stato trasformato, su questo amore aveva impostato la vita e, per l’intensità di questo amore – poiché pubblicamente proclamava di essere tutto e solo di Gesù – era stato sequestrato, torturato e ucciso da uomini malvagi. Rolando amava Gesù e il suo grande Amico era la ragione per cui si alzava la mattina (il primo gesto della giornata era inginocchiarsi sui gradini di casa e pregare), la ragione per cui mangiava, studiava, viveva l’amicizia, aggregava gli altri ragazzi, organizzava i giochi e poi portava tutti in chiesa. L’amore per Gesù rendeva autorevole, era un leader che suscitava il desiderio di imparare da lui a seguire Cristo.
Ma per chi vagheggiava il progetto di costruire un mondo senza Dio e senza misericordia, per chi voleva fare del dopoguerra l’inizio di una rivoluzione per instaurare in Italia la dittatura del proletariato, per i gruppi partigiani in cui si era affermata l’ideologia comunista, Rolando era un nemico da eliminare. Quando mi sono imbattuto in questo martire, ho pensato che la sua bella storia dovesse essere raccontata: così mi sono messo a scriverla, e sono nati due libri. Poi con altri ho costituito il Comitato Amici di Rolando Rivi, che ha dato il via alla causa di beatificazione. Cammino iniziato nel 2005 con la domanda all’allora arcivescovo di Modena, Benito Cocchi, e che ora giunge a compimento. Infatti, mercoledì 27 marzo Papa Francesco ha autorizzato la Congregazione per le Cause dei Santi a promulgare il decreto sul martirio del Servo di Dio Rolando Rivi ucciso, in odio alla fede, il pomeriggio del 13 aprile 1945 a Piane di Monchio (Modena).
«Voglio essere sacerdote e missionario»
La fede del piccolo seminarista era maturata in un preciso contesto storico (gli anni del Concordato e delle encicliche di Pio XI Quadragesimo anno, di natura sociale, e Non abbiamo bisogno, critica verso il fascismo), e in un ambiente contadino ancora radicato nella tradizione. Ma quelli dopo il 1930 sono anche gli anni di una terribile sfida in cui progressivamente si affermarono le grandi ideologie del male, l’esaltazione della razza e il collettivismo comunista, che dettero vita a Stati totalitari, accentratori e illiberali, che pretesero di occupare tutti gli ambiti e gli spazi pubblici, compresi quelli educativi, relegando l’esperienza cristiana a fatto solo intimistico o spiritualistico.
Rolando nacque il 7 gennaio 1931 in una famiglia cristiana nella casa del Poggiolo. Una fede semplice, poi cresciuta nell’incontro con un grande sacerdote, don Olinto Marzocchini. Il desiderio di farsi prete è maturato proprio guardando a don Olinto, pastore dalla «ricchissima vita interiore», attento alle cose che veramente contano, con sempre indosso l’abito talare, grande educatore appassionato al destino degli adolescenti. La canonica sempre aperta, fervente di attività, era il cuore vitale del paese, dove si tenevano incontri sulle sfide culturali del tempo, ma anche corsi di agricoltura o apicoltura. Attento ai bisogni dei poveri, fu don Olinto a fondare il locale caseificio per offrire occasioni di lavoro. In lui Rolando vide un uomo che donava tutto di sé a Cristo, e imitando Cristo donava tutto di sé agli altri. Nel futuro beato la vocazione al sacerdozio è nata come una scelta libera. «Nessuno in famiglia», ha raccontato il fratello Guido, «l’ha mai spinto a questo passo. Non ho mai sentito mio padre dirgli: mi piacerebbe se ti facessi prete ». Rolando, pur così giovane, ha avuto subito la consapevolezza di essere stato scelto, chiamato per un compito, per rendere testimonianza a Cristo (fino al dono della vita). Diceva: «Voglio essere sacerdote e missionario». Mi ha colpito sentire il racconto di don Raimondo Zanelli, compagno di camerata nel seminario di Marola, dove Rolando entrò nel 1942 a soli 11 anni, quando mi ha detto quali erano le letture preferite dal giovane seminarista. «In camerata Rolando amava leggere la vita di sacerdoti missionari come quella, avventurosa e affascinante, di padre Michele Agostino Pro, gesuita, morto martire in Messico nella persecuzione contro la Chiesa».
Le monetine ai più piccoli
Ho un nitido ricordo personale. Un amico di allora, di poco più giovane di Rolando, mi ha raccontato sul sagrato della Pieve di San Valentino dei giochi scatenati, delle corse di Rolando, reggendo la veste talare, sul muretto che ancora circonda il sagrato, della sua passione per il canto e la musica, del suo servizio alla Chiesa, sempre a fianco di don Olinto: per il suo servizio liturgico il prete gli dava qualche moneta. «Vede», mi ha detto quell’amico, «Rolando non teneva queste somme per sé, ma siccome c’era molta miseria a causa della guerra le dava a noi più piccoli, raccomandandoci di usare quei soldi per qualche necessità, così da evitare di andare a rubare, come saremmo stati tentati di fare». Voleva che i suoi piccoli amici vivessero nella verità, nella giustizia, nell’attaccamento al bene, lontano dall’errore e dal peccato.
L’intero cammino di Rolando si radica nell’appartenenza a Gesù. Era un ragazzo di 14 anni, non ci ha lasciato scritti. Tutta la sua teologia si condensa nella testimonianza della sua vita e nel ricordo di alcune parole, le stesse che abbiamo inciso sulla cassetta di legno che contiene le reliquie: «Io sono di Gesù». Se amava la sua veste talare, se la amava fino a non spogliarsene mai, come racconta uno dei suoi insegnanti, era perché questa veste era segno visibile, tangibile dell’appartenenza al Signore, nell’appartenenza alla Chiesa.
«Io sono di Gesù»
In queste semplici quattro parole, che richiamano quelle di san Paolo nella seconda Lettera ai Corinzi, «L’amore del Cristo ci possiede » (2 Cor 5,14), Rivi offriva una sintesi mirabile del significato della vita ed esprimeva l’essenza stessa dell’essere cristiani.
Noi apparteniamo al Signore che ci ha creati e che ci ama e in Lui è la consistenza della nostra persona. L’essenza dell’io è appartenere a un Altro, a Dio che ci ama e ci crea, così come un bimbo appartiene al padre e alla madre. Varie volte ho cercato di immedesimarmi in quel momento, in quel venerdì pomeriggio, pochi giorni dopo la Domenica in Albis, quando i suoi persecutori l’hanno tirato fuori dalla porcilaia dove lo tenevano rinchiuso, per trascinarlo nel bosco dove l’avrebbero ucciso. Ho pensato a lui prigioniero insultato, percosso, schiaffeggiato, preso a cinghiate, spogliato a forza dell’abito talare che tanto amava. Ho pensato a lui tremante, assetato, che da tre giorni non mangiava e non aveva più lacrime per piangere. Ho pensato alla paura che come una lama si deve essere insinuata nel suo cuore di bambino, mentre inutilmente chiedeva pietà. Ho pensato al brivido di gelo che l’ha attraversato quando i partigiani comunisti hanno estratto il coltello per torturarlo brutalmente e poi la pistola per ucciderlo. Eppure anche in quel momento ha confermato a chi apparteneva la sua vita: ha chiesto di poter pregare. L’amore per Gesù è stato più forte della paura, del dolore, dell’umiliazione, delle percosse. In quel bosco dove i suoi persecutori erano certi di averlo cancellato per sempre dalla storia, Rolando è stato invece vittorioso, perché si è indissolubilmente legato a Colui che è la resurrezione e la vita. Nel 1951 la Corte di Assise di Lucca condanna gli autori dell’efferato omicidio, condanna confermata nel 1952 dalla Corte di Assise di Appello di Firenze e definitiva nel 1953 in Cassazione.
Un esempio da seguire
Dopo quasi 70 anni nessuno più ricorda gli assassini, mentre sempre più numerosi guardiamo a questo piccolo seminarista martire per essere aiutati a comprendere, per essere nuovamente guidati all’incontro con la grandezza e la bellezza dell’amore di Cristo. Le parole che ripeteva, «Io sono di Gesù», sono profetiche per il tempo presente. All’origine delle due grandi ideologie del male di oggi, il relativismo (tutto è uguale) e il nichilismo (nulla è reale), c’è infatti la negazione di questa appartenenza e la riduzione dell’io alla sua istintività come misura di tutte le cose. Rolando, invece, fa parte di quella economia di Dio che sceglie i piccoli per confondere gli intellettuali, i superbi, i potenti, i violenti. E provoca la nostra libertà perché anche nella nostra vita si rinnovi il sì a Cristo, che Rolando ha pronunciato con tanta semplice totalità.
Per saperne di più…
Emilio Bonicelli, Il sangue e l’amore, Jaca Book, 2012.
Emilio Bonicelli, Rolando Rivi seminarista martire, Shalom, 2010.
Paolo Risso, Rolando Rivi, Un ragazzo per Gesù, edizioni del noce, 2004.
IL TIMONE N. 123 – ANNO XV – Maggio 2013 – pag. 52 – 53
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