Banner_Il Sabato del Timone_14 dic 24_1920x280

11.12.2024

/
Roma imperiale: pluralismo contro relativismo
31 Gennaio 2014

Roma imperiale: pluralismo contro relativismo

 


L’impero di Roma aveva un sistema politico e culturale capace di accogliere e integrare le diversità. Mantenendosi comunque fedele alla propria identità. Un modello valido anche ai nostri giorni.

 
Il bel discorso del Presidente del Senato Marcello Pera al Meeting di Rimini del 21 agosto scorso e l’articolo di Giuliano Ferrara sul Foglio del 30 dello stesso mese a proposito di impero e meticciato mi inducono a riprendere un discorso che faccio ormai da molti anni sull’impero romano e la sua attualità: la retorica del periodo fascista ha screditato in Italia l’impero romano e ha contribuito a diffondere il luogo comune che fa di tale impero il sinonimo di un imperialismo fondato sulla guerra.
La realtà storica è molto diversa e non per caso Seneca (De Providentia, IV, 14) usa per la prima volta il concetto di pax romana come sinonimo di impero romano, inteso come «mondo abitato dall’umanità civile a cui l’impero assicura la pace». Nel passo di Seneca, come nei famosi versi dell’Eneide virgiliana sulla missione di Roma (VI, 851/2) «di reggere i popoli con l’Impero e imporre un costume alla pace», «[…] regere imperio populos […] pacisque imponere morem», pax e imperium appaiono indissolubili e la pace si presenta come vagheggiamento di un ordine fondato sul diritto e garantito da un’autorità: un ordine che comporta la convivenza pacifica di popoli diversi a cui l’impero assicura una progressiva integrazione nei diritti. Si può obiettare che si tratta di affermazioni dell’età augustea e postaugustea e che potrebbero essere giudicate il risultato di una propaganda di regime, affidata a scrittori di altissimo livello, ma io credo che la vocazione all’integrazione dei popoli e l’apertura intelligente al diverso nella fedeltà a una tradizione innovatrice e alla propria identità non possono essere attribuite alla propaganda cesariana e augustea, ma siano nel DNA di Roma, che fu cattolica (nel senso di universale) prima ancora di essere cristiana, e che deve proprio alla sua cattolicità l’incontro faticoso e sanguinoso, come era stata nei secoli l’integrazione dei popoli, ma saldo e duraturo con il cristianesimo.
Dante (De Monarchia, II, 3, 17) interpreta fedelmente la tradizione romana e, in particolare, Virgilio, quando addita nel mito di Enea proveniente dall’Asia ma discendente da Dardano, originario dell’etrusca Cortona – e quindi dall’Europa – e da Elettra, figlia dell’Africano Atlante, l’incontro dei tre continenti allora conosciuti e coglie «in quel triplice concorso del sangue da ogni parte del mondo in un solo uomo» una divina predestinazione all’impero universale: è la ripresa della profezia di Giove nel canto XII (v. 838) dell’Eneide con la promessa dell’Impero «alla stirpe che nascerà mescolata con sangue italico», «genus Auxonio mixtum quod sanguine surget» e delle parole del tribuno Canuleio in Livio (IV, 3,12/3) quando, propugnando i matrimoni fra patrizi e plebei osserva: «crebbe l’impero romano finché non ebbe ripugnanza per ogni stirpe nella quale brillasse la virtù», «crevit imperium Romanum dum nullum fastiditur genus in quo eniteret virtus». La discriminante è morale, non etnica e vale anche per gli schiavi liberati, a cui Roma concede, diversamente dalla democratica Atene, la cittadinanza al tempo della liberazione, introducendo limitazioni, al tempo di Augusto e di Tiberio, ma solo per quelli che si erano macchiati di reati.
Roma appare anche disposta ad assumere e a imitare dagli altri popoli ciò che ritiene migliore, come constata nel II secolo a.C. il
greco Polibio (VI, 25,11), e a rendere migliore, assimilandolo nella sua tradizione, come dice Cicerone (De Repubblica, II, 16,30), ciò che ha preso dagli altri.
Tornando ora al mito troiano, esso fu per i Romani non solo un grande mito di Syngheneia, atto a stabilire rapporti di parentela con popoli diversi, dagli Elimi della Sicilia occidentale agli Iliensi e ai Lampsaceni dell’Asia minore, ma anche il mito che racchiude in sé, in qualche modo, il loro progetto di sviluppo. Dietro il mito troiano si nasconde, a mio avviso – e ho cercato in vari lavori di dimostrarlo –, una precisa realtà storica, l’incontro delle origini con gli Etruschi, da cui Roma nacque come urbs e come civitas, come realtà urbanistica e come comunità civica: Sallustio, quando parla nella Catilinaria (VI,2) dell’incontro primigenio dei Troiani con gli Aborigeni del Lazio e dice che allora una multitudo diversa per sangue, per lingua, per costumi, diventò, grazie alla concordia, una civitas, coglie pienamente, al di là della leggenda, la realtà storica della grande Roma dei Tarquini, che si realizzò fra il VII e il VI secolo a.C., e la grande esperienza che si realizzò attraverso la conclusione della lotta fra patrizi e plebei, nel IV secolo a.C., dopo la catastrofe gallica, con l’intesa tra Roma e Cere.
Come la Roma dei Tarquini, di Servio Tullio-Mastarna, di Porsenna, anche la Roma dei Fabii e dei Licinii, la cui alleanza portò al primo consolato plebeo, rivelò quella formidabile capacità di integrazione sociale ed etnica che fornì le linee portanti della sua storia.
Quell’unità che per la Grecia del V e IV secolo veniva soprattutto dall’identità di sangue, viene per Roma dall’identità dei valori orali e politici, con la presa di coscienza di una tradizione innovatrice, che si appella ai maiores, alle proprie radici e alla propria storia, ma che non ha paura del nuovo, purché sia migliore. È proprio questo senso altissimo della propria identità che impedisce alla mescolanza etnica, che Roma attua con generose aperture innovatrici, di diventare un meticciato culturale e che fa dell’impero romano una patria di popoli diversi, come ricorda l’imperatore Claudio nel 48 d.C., sollecitando per i notabili galli l’ingresso nel Senato e affermando che «essi non cedono a noi nell’amore per questa patria» (Tacito, Annali, XI, 24,6) e come afferma, dopo la caduta di Roma nel 410 d.C., un altro Gallo, Rutilio Namaziano, quando scrive rivolgendosi a Roma: «hai dato una sola patria a popoli diversi… mentre offri ai vinti la partecipazione al tuo diritto, hai fatto una città di quello che prima era il mondo».
 
 
 
 
 
 
BIBLIOGRAFIA
 

M. Sordi, Passato e presente nella politica di Roma, in AA.VV, Aspetti e momenti del rapporto passato-presente nella storia della cultura, Milano (Istituto Lombardo di Scienze e Lettere) 1977.
Idem, Il mito troiano e l’eredità etrusca di Roma, Jaca Book, 1989.
Idem, Her. VIII, 144,3 – Sall. Cat. VI,2, Unità e alterità etnica nel modello greco e nel modello romano, in Euroal, Milano 2001 (ISU-Università Cattolica) 2002.

 

 

 

 

 
 
 
IL TIMONE – N. 47 – ANNO VII – Novembre 2005 – pag. 28 – 29
I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Per leggere l’articolo integrale, acquista il Timone

Acquista una copia de il Timone in formato cartaceo.
Acquista una copia de il Timone in formato digitale.

Acquista il Timone

Acquista la versione cartacea

Riceverai direttamente a casa tua il Timone

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Acquista la versione digitale

Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone

Resta sempre aggiornato, scarica la nostra App:

Abbonati alla rivista