Succede spesso, a intervalli regolari. Dunque, mi pare che valga la pena di mettere in guardia almeno i cattolici. Capita spesso, cioè, l’ennesima riproposta – su reti televisive nazionali e magari in prima serata – di un film nato in America in un anno di guerra, nel 1943, ma da allora mai dimenticato. Un ever green, alla pari – che so – del Don Camillo. Anche perché ottenne non solo un successo mondiale di pubblico (da noi giunse, ovviamente, solo nel dopoguerra) ma suscitò anche l’apprezzamento entusiastico della critica: ben 4 Oscar. Tra i quali, uno alla regia (Henry King) e uno all’interpete principale, la celebre Jennifer Jones, nel ruolo della protagonista, tal suor Marie Bernard, religiosa in un convento di Nevers. Così, il film fu presentato da noi, semplicemente, come Bernadette, mentre in America era The song (il canto) of Bernadette, tratto dall’omonimo libro, in tedesco, di Franz Werfel. Il quale, come molti sanno, era un importante scrittore austriaco, ebreo e al contempo attratto – per tutta la vita, ma non sino al battesimo, come Bergson volle morire israelita – dal cristianesimo e dalla sua spiritualità, in cui vedeva lo sbocco della voce dei profeti. Quando, nel 1938, Hitler invase l’Austria, anche Werfel, come tanti altri della grande comunità israelitica viennese, dovette riparare all’estero. Si rifugiò in Francia ma, due anni dopo, SS e Gestapo arrivarono pure lì. Con mezzi di fortuna raggiunse, assieme alla moglie, Lourdes, da dove varcò a piedi i Pirenei, chiedendo asilo alla Spagna di quel Franco che era probabilmente di origine ebraica e che, in ogni caso, non fu mai antisemita, anzi accolse sempre generosamente i perseguitati che fuggivano dal razzismo. Dalla Spagna, infine, Werfel raggiunse gli Stati Uniti, stabilendosi in California, a Los Angeles, dunque nella mecca del cinema. Qui, attirò l’attenzione di produttori e sceneggiatori, con quel saggio e insieme romanzo, Das Lied von Bernadette – tradotto subito in inglese e poi in molte altre lingue – che scrisse appena arrivato per sciogliere un voto. A Lourdes, in effetti, aveva trovato molti altri ebrei in fuga che trovavano presso il Santuario fraterna ospitalità, in attesa di essere condotti al di là dei Pirenei da una rete clandestina di guide locali. La rete era organizzata dai preti della diocesi di Tarbes cui il santuario era stato concesso in affitto dal Comune, visto che all’inizio del secolo gli anticlericali della Terza Repubblica, braccio secolare della massoneria, avevano cacciato i religiosi e confiscato sia il terreno che gli edifici, chiese comprese. Ma i Francesi sembrano avere bisogno di disastri per scoprire (o riscoprire) Lourdes: il pellegrinaggio nazionale di ogni anno (che dura tuttora) fu organizzato la prima volta – con la sfilata delle bandiere di tutti i dipartimenti, in testa l’Alsazia e la Lorena appena annesse dai Prussiani trionfanti – dopo la disfatta del 1870 e la terribile guerra civile della Comune. Il Paese, umiliato e immiserito, ricorreva alla misericordia della Madre per ritrovare vita e fiducia. Nel 1940, ecco la seconda, umiliante disfatta da parte dei tedeschi: il nuovo capo del governo, il Maresciallo di Francia Philippe Pétain, dopo quarant’anni di confisca di ogni bene ecclesiale, per la prima volta fece una eccezione per Lourdes, e per essa soltanto. Il Comandante Supremo della Prima Guerra Mondiale venne di persona al Santuario nel 1941 e, solennemente, riconsegnò al vescovo di Tarbes la piena proprietà di quanto era stato suo ed era stato sequestrato per la legge voluta dal solito ex-seminarista, quella volta Emile Combes. Con un seguito significativo: De Gaulle, che pure non esitò a fare condannare a morte Pétain e abrogò tutto quanto era stato deciso dal suo governo collaborazionista, fece egli pure una eccezione per la Grotta e non revocò la “restituzione” alla Chiesa. Ma, in fondo, anche ora la Francia pare chiedere a Lourdes un riscatto dopo una catastrofe: negli anni dopo il Concilio, una delle Chiese più prestigiose della cristianità, anzi “la figlia primogenita della Chiesa”, è sembrata implodere, con statistiche in continua discesa, anzi in crollo numerico: seminaristi, sacerdoti, religiose, praticanti, istituti, scuole. Tutto in caduta libera, nella dimensione ecclesiale, con una sola eccezione: l’affluenza ai santuari, in particolare mariani e in modo ancor più particolare a Lourdes, non solo non ha avuto flessioni ma ha continuato ad aumentare. Ancora una volta, dunque, la Grotta di Massabielle come un segno di riscatto e di speranza? Sembrerebbe che anche le gerarchie della Chiesa ne abbiamo preso atto, con realismo. In effetti, da alcuni anni, la Conferenza Episcopale Francese è proprio a Lourdes che tiene la sua assemblea generale, come se fosse consapevole che è dalle rive del Gave che potrà venire un rilancio del cattolicesimo.
Ma torniamo al fuggiasco Franz Werfel, intenzionato a varcare nascostamente i Pirenei: mentre, con la consorte, attendeva il suo turno, il suo gruppo con la necessaria guida locale, ospitato nella Casa dei Cappellani proprio accanto alla Grotta, scoperse la storia delle apparizioni, ne fu commosso e conquistato e promise a Bernadette (proclamata santa 7 anni prima) che avrebbe scritto un libro su Lourdes se avesse interceduto per lui, permettendogli di porsi in salvo.
Gli sceneggiatori americani si impadroniranno subito di quest’opera, scritta da Werfel con autentico spirito religioso e la manipolarono secondo il semplicistico schema yankee: buoni da una parte, cattivi dall’altra, impegnati in una lotta che, dopo molte traversie, porta alla fine all’happy end, al trionfo dei buoni. In questo caso, l’innocente ma coraggiosa Bernadette prima contro le autorità, laiche o religiose che siano, che non solo non vogliono crederle ma addirittura la perseguitano. E qui, c’è un primo happy end: dopo anni di inquisizione, i gerarchi clericali devono arrendersi e riconoscere la verità delle apparizioni. Ma un’altra lotta comincia: quella delle sadiche suore che hanno accolto Bernadette nel convento di Nevers, una sorta di campo di concentramento, dove la novizia e poi religiosa viene sottoposta a prove durissime, addirittura crudeli. Ma qui, pure, dopo tanto soffrire, il lieto fine: la piccola, tenace suora sarà riconosciuta dalla Chiesa come santa .
Come mi disse una volta l’abbé Laurentin: «È un film che ha avuto una accoglienza benevola, talora addirittura entusiastica, anche nel mondo cattolico, dove ci sono cinema parrocchiali che ancora lo proiettano. Ma in realtà è un film dannoso, inesatto e gravemente ingiusto non solo verso le autorità di Lourdes che fecero il loro dovere, ma ingiusto anche, forse soprattutto, verso le suore di Nevers. Le quali non erano affatto della aguzzine ma, esse pure, fecero in buona fede quello che consideravano il loro dovere che coincideva, per loro, con l’interesse spirituale della loro consorella, piccola per il mondo e preziosa per il Cielo». Misero, cioè, al primo posto l’impegno per salvaguardare dalla vanità quella novizia dallo straordinario destino, la mortificarono a fin di bene, per tenerla nell’umiltà, lontana da ogni orgoglio. Come del resto aveva fatto a Lourdes anche il parroco Peyramale che, dopo la diffidenza iniziale, aveva per Bernadette una paterna predilezione e proprio per questo si faceva un dovere trattarla come una qualunque ragazzina ignorante, privilegiata da una grazia del tutto immeritata. La piccola, in realtà, non correva alcun pericolo di vanagloria ma tant’è: la spiritualità ottocentesca consigliava sempre e comunque la mortificazione. Tra l’altro, seguendo la spiritualità del Fondatore, a Nevers si metteva l’umiltà al primo posto tra le virtù: da qui, il moltiplicarsi delle attenzioni perché la novizia non presumesse di sé. Il guaio è che il film diretto da Henry King non ha solo dato al pubblico mondiale una visione inesatta delle cose, ignorando le motivazioni delle religiose, ma ha influenzato altri film e anche tanti libri.
Sorprende che pure Ruth Harris, la docente ebrea dell’università di Oxford che ci ha dato di recente un bello studio storico su Lourdes, sembri ricalcare il cliché scrivendo: «La Signora aveva promesso alla piccola di non renderla felice in questa vita ma nell’altra. Ebbene, la gente di Chiesa si incaricò di realizzare quella profezia ». Tormentando, cioè, la suora cascata nelle loro mani. Insomma, una santa Marie Bernard non solo “vergine” ma anche “martire”?
In realtà, il problema della vita religiosa di Bernadette esiste e va esaminato. Lo faremo. Ma la sua vera “infelicità” (se tale è, in una prospettiva di fede) nasce dai tormenti del corpo malato e che l’accompagnarono sin da piccola, col colera e l’asma e si aggiunsero l’uno all’altro sino a farle dire sul letto di morte: «Sono macinata come un chicco di grano». La sua “infelicità” nasce dal non avere potuto assistere i malati, come desiderava, ridotta ad essere assistita ella stessa, divenendo, come diceva, «un pilastro della infermeria». Ebbene, di fronte a questo martirio del corpo le sue suore “disumane” si comportarono in modo tale da farla ripetere più volte da quella chapelle blanche come chiamava il letto col candido baldacchino: «Sono curata come neanche una principessa».
C’è qui, dunque, una sorta di leggenda nera che gli storici autentici hanno sfatato da tempo e che va chiarita non solo per amore della giustizia verso le Suore della Carità e dell’Istruzione cristiana (questo il nome ufficiale dell’Istituto), ma anche per la prospettiva che più ci interessa. Quella, cioè, della verità di Lourdes e, dunque, della veracità dell’unica testimone. Dicono: per 13 anni – da quando ne aveva 22 sino ai 35 delle morte – le suore di Nevers l’hanno avuta in casa, come novizia e poi come professa, eppure hanno atteso ben 28 anni dopo la sua morte prima di iniziare un processo di canonizzazione. Perché questo ritardo, se la sua reputazione di santità fosse stata evidente? I soliti dietrologi e complottardi hanno ipotizzato l’esistenza di “archivi segreti” in cui ci sarebbero chissà quali verità nascoste o sul sadismo delle religiose o sulle insufficienze mentali e morali di suor Marie Bernard, come fu chiamata da religiosa. Bernadette era davvero quella religiosa esemplare che hanno voluto farci credere o c’è qualcosa di equivoco, di celato dietro la reticenza delle consorelle nell’affrontare i severi esami canonici? Alla fine, seppure solo nel 1933, la glorificazione è giunta, ma non ci sarà qui il calcolo cinico delle gerarchie romane, ben attente a non rovinare il big business di Lourdes rivelando ciò che era nascosto sulla “vera” suora di Nevers? Naturalmente, non è così, non ci sono i mitici dossier segreti, come hanno dimostrato in modo irrefutabile le ricerche di oltre un secolo, dal gesuita padre Léonard Cros nell’Ottocento sino all’abbé Laurentin, passando poi per una schiera di altri studiosi. Neanche tra gli storici più ostili, nessuno ha mai avanzato, né avrebbe potuto, il sospetto di “archivi nascosti” su quei 13 anni in convento. Anni dei quali sappiamo tutto, giorno per giorno, grazie anche al Diario della Comunità. Del resto, durante il duplice processo (beatificazione e canonizzazione), questo periodo è stato investigato per anni sino alle minuzie, interrogando centinaia di testimoni proprio perché ne andava della “buona fama” della candidata agli altari.
Ma allora, perché le prime mosse per aprire il processo sono state fatte dalla Congregazione cui Bernadette aveva appartenuto soltanto nel 1907, mentre la candidata santa aveva lasciato la terra nel 1879? Per un motivo, innanzitutto: Madre Marie Thérèse Vauzou, la prestigiosa quanto autoritaria maestra delle novizie per decenni e poi superiora generale della Congregazione, la persona che meglio conobbe Bernadette e alla quale si appoggiano i cultori della “leggenda nera”; madre Vauzou, dunque, davanti alla insistenze, dentro e fuori la sua famiglia religiosa, per iniziare l’iter verso la canonizzazione della veggente aveva sentenziato, con il suo proverbiale tono tranchant: «Aspettate che io sia morta». La morte sopravvenne, appunto, nel 1907 e le pratiche, finalmente, poterono iniziare subito dopo. Ma perché questa richiesta di soprassedere? Soprattutto per una ragione che molti storici trascurano o addirittura ignorano. La Congregazione che mère Vauzou amò sempre, per tutta la sua lunga vita, con fedeltà, rigore, sacrificio, era stata fondata tra la fine dei Seicento e l’inizio del Settecento da un benedettino, il padre Jean Baptiste de Laveyne. Una serie di difficoltà iniziali e poi la Rivoluzione che dissolse l’istituto come tutti gli altri aveva impedito l’apertura dei processi canonici per la glorificazione. Dopo la bufera, prima giacobina e poi napoleonica, la ricostruzione era stata faticosa, anche se premiata da un’espansione straordinaria che Bernadette stessa conoscerà: quando giungerà a Nevers, il grande edificio era stato inaugurato soltanto da una decina d’anni ma le novizie erano 132, le postulanti 30 e, pur avendo dovuto ricominciare da capo dopo la tempesta, le case erano ben 260. Dappertutto, ordine, lavoro senza risparmio e talvolta eroico con i rifiuti della società, una puntigliosa fedeltà alla Regola e obbedienza reverente, perinde ac cadaver, alle Superiore. Il carisma, dunque, era solido e vitalissimo, i buoni frutti – secondo l’ammonimento evangelico – testimoniavano della bontà dell’albero, la devozione verso il Servo di Dio de Laveyne era diffusa tra il popolo, eppure la causa fu introdotta a Roma solo nel 1938 e non è ancora conclusa. Pare che il motivo di tanto ritardo sia nel sospetto (peraltro abusivo, come alcuni storici hanno dimostrato) di giansenismo e, forse, di gallicanesimo. Comunque, per il venerato Padre Fondatore gli onori degli altari erano ancora solo un desiderio in quella seconda metà dell’Ottocento e la cosa amareggiava molte delle sue figlie, ma soprattutto la mère Vauzou, gelosa del prestigio di quella sua famiglia religiosa circondata, giustamente, dalla stima generale per la straordinaria opera sociale a favore degli ultimi. Per questo replicava a chi le parlava di suor Marie Bernard sugli altari: «Non è giusto e non è bello che una figlia passi davanti al padre». Le energie della congregazione, dunque, dovevano concentrarsi per fare rispettare questa successione di tempi che la Madre Generale considerava indispensabile. Prima il Fondatore, poi la sua suora, anche se la Madonna l’aveva scelta come messaggera.
È stato scritto che madre Vauzou tenesse (almeno apparentemente) le distanze con Bernadette, anche perché dubbiosa sulla verità delle apparizioni. Verrebbe subito da ricordare quanto pochi sanno: ormai vicino all’ottantina e dimessasi come Superiora Generale, per il suo ritiro negli ultimi anni di vita questa presunta “scettica” tra le ormai quasi 300 case che aveva a disposizione ne scelse una: il collegio di Lourdes presso il quale la veggente aveva trascorso anni, studiando e lavorando! Le sue ultime parole, morendo proprio lì, accanto alla Grotta, furono: «Nostra Signora di Lourdes, proteggete la mia agonia». Quando, nel 1866, aveva annunciato alle sue novizie che Bernadette sarebbe venuta tra loro disse: «Avremo il privilegio di ospitare la fanciulla scelta da Maria Immacolata ». Aggiunse poi, alla vigilia dell’arrivo: «Siete ben favorite dalla Vergine, perché vedrete gli occhi che l’hanno contemplata». Bernadette giunse a Nevers di sera, quando la casa già dormiva. Il mattino dopo, madre Vauzou radunò nella grande aula magna novizie, postulanti, professe, superiore di tutte le case della città e dei dintorni e chiese alla veggente di fare il racconto completo delle apparizioni. Dopo di che, ci fu l’ordine, rigorosamente osservato, di non parlare più di quanto successo a Lourdes, di considerare la nuova venuta una come le altre, di non farle domande. Vietato anche l’ingresso in noviziato delle molte pubblicazioni (libri, giornali, stampe varie) che cominciavano a diffondere non solo in Francia ma nella cristianità intera quegli eventi. Bernadette stessa non lesse nulla che la riguardasse, se non la relazione, secca e stringata, del vicario generale delle diocesi di Tarbes che spiegava il decreto constat de supernaturalite del 1862, dopo quattro anni di inchiesta. Dunque, il silenzio, a Nevers, fu imposto per quella preoccupazione che dicevamo: evitare ogni privilegio o, peggio, venerazione per la novizia e poi suora e, al contempo, assicurare la tranquillità dell’istituto. In effetti, le visite furono proibite e concesse solo in casi particolari (vescovi, cardinali, sacerdoti di particolare prestigio) direttamente dall’Ordinario del luogo.
Non è vero, dunque, che la Madre Generale che volle morire proprio accanto alla Grotta, invocando Nostra Signora di Lourdes, avesse dei dubbi sulla sincerità di Bernadette cui, anzi, chiese di narrare subito la sua vicenda alle consorelle alle quali aveva annunciato l’arrivo della nuova postulante con convinzione e commozione. Senza alcuna riserva e in piena accettazione del riconoscimento di verità da parte della Chiesa. L’apparente freddezza verso Bernadette era in parte una maschera che si imponeva per le ragioni che abbiamo detto di “salutare mortificazione”; in parte risaliva alla difficoltà della futura santa – dal carattere riflessivo, silenzioso, introverso – di aprirsi interamente a quella Maestra che, nelle sue novizie, apprezzava soprattutto la confidenza, sino alla intimità più profonda. Quel pudore era scambiato per mancanza di fiducia e certe indubbie spigolosità del carattere di Bernadette – che erano poi segno della forza che le aveva permesso di tenere testa alle autorità laiche e religiose riunite contro di lei – era preso per orgoglio, per amor proprio.
Tante altre cose (tutte interessanti, credo…) restano da dire. Dunque, Deo adnuente, alla prossima!
IL TIMONE N. 112 – ANNO XIV – Aprile 2012 – pag. 64 – 66
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