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12.12.2024

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San Gennaro: il mistero del sangue
31 Gennaio 2014

San Gennaro: il mistero del sangue

 

 

Gli scettici tentano di dimostrare che la liquefazione del sangue del santo sarebbe un trucco. Ma nessuno ci è finora riuscito. Il miracolo stringe una città intorno al suo santo protettore.
Segno di una fede che attraversa i secoli e resiste ad ogni avversità.



 

 

Per Alessandro Dumas «San Gennaro non sarebbe esistito senza Napoli e Napoli non potrebbe esistere senza San Gennaro», eppure c’è chi mette in dubbio i suoi natali partenopei, anzi addirittura campani. L’ultimo in ordine di tempo è don Bruno Sodaro, rettore del santuario della Madonna delle Grazie, di Torre Ruggiero (Catanzaro) che nel volume Santi e beati in Calabria sostiene che San Gennaro nacque in provincia di Vibo Valentia.
La (presunta) rivelazione non ha suscitato a Napoli la benché minima preoccupazione, perché dalle mie parti dire che San Gennaro non è napoletano è come dichiarare che il Vesuvio sorge nella baia di Tokio, o che la sfogliatella sia nata a Città del Capo. A onor del vero, non è che si conosca molto sul patrono di Napoli; tutto quanto sappiamo del suo aspetto, per esempio, si ricava dall’esame eseguito sulle ossa nei primi anni del 1900, esame che stabilì l’età approssimativa della morte (trentacinque anni) e la corporatura del martire (si trattava di uomo molto alto). Così si fissò al 270 d.C. la data della nascita.
Ma dove nacque? «A Napoli, naturalmente!», risponde ogni buon partenopeo, sostenuto – tra l’altro – dal nome napoletanissimo del santo, che se avesse fatto Esposito di cognome avrebbe fugato qualsiasi dubbio sulla provenienza. In realtà, il vero nome del santo pare fosse Procolo, discendente – secondo tradizione – da una nobile famiglia beneventana, la Gens Januaria, sacra al dio bifronte Giano.
Eppure, se imbocchiamo via San Gregorio Armeno (la famosa strada dei pastorari) da Spaccanapoli, fatti pochi passi troviamo alla nostra sinistra un vecchio edificio, nel cui androne è una lapide con incise le parole “In questa casa nacque San Gennaro”.
Beneventano o napoletano che sia, la fama del santo è legata al miracoloso scioglimento del sangue, che si opera (almeno) da sei secoli. Ma riassumiamo i fatti storici. Gennaro, vescovo di Benevento (III secolo), avendo saputo che il diacono Sossio, suo amico, era in prigione a Pozzuoli, andò a fargli visita. A sua volta fu incarcerato e quindi decapitato non lontano la Solfatara. Era il tempo delle feroci persecuzioni di Diocleziano. La tradizione narra che una pia donna di nome Eusebia raccolse in un’ampollina il sangue, che con ogni probabilità si sciolse già qualche anno dopo. Tuttavia bisogna aspettare il 1389 per avere una dichiarazione “ufficiale” del miracolo, allorquando si legge in un documento anonimo (il Chronicum siculum) che «Quello che era nell’ampolla si è liquefatto come fosse uscito quello stesso giorno dal corpo del beato Gennaro».
I napoletani videro nello scioglimento del sangue una metafora della propria esistenza; lessero quel miracoloso evento come un invito di San Gennaro a non abbattersi, a non considerare le carestie, le epidemie, le calamità naturali (invero assai generose nella mia città: eruzioni del Vesuvio, terremoti, maremoti, e altri guai neri) come un segno della collera di Dio ma come la possibilità offerta di potersi redimere attraverso le sofferenze, l’opportunità di invocare con più fervore santi e madonne, l’oc-casione per mettere a nudo l’anima e rinascere (come il sangue raggrumato ridiventa fluido) a nuova vita spirituale.
D’altronde, il binomio Napoli-sangue è sempre stato strettissimo, come testimonia un cronista di nome Jean Jacques Bouchard (sec. XVII) che definì Partenope urbs sanguinum (“città dei sangui”). In quel tempo, infatti, si conservavano in chiese e conventi del centro antico non meno di tremila reliquie, e fino a qualche anno fa scioglievano il proprio sangue (oltre a San Gennaro) Santo Stefano, San Luigi Gonzaga, San Pantaleone, Sant’Alfonso Maria de Liguori, San Lorenzo, San Giovanni Battista, Santa Patrizia (che liquefa il sangue il 25 agosto, ma anche ogni martedì, se pregata con particolare intensità!) e altri.
San Gennaro opera il miracolo tre volte l’anno: il 19 settembre (giorno anniversario del martirio, avvenuto nel 305), il sabato che precede la prima domenica di maggio (questa data ricorda la prima traslazione del corpo nelle catacombe che dal santo prendono nome) e il 16 dicembre (in ricordo della terribile eruzione del 1631, fermata dal santo portato in processione). Ho detto “opera”, dovrei dire “dovrebbe operare”; infatti non sempre lo scioglimento del sangue si compie, e quando non si compie Napoli trema, paventando chi sa quali disgrazie.
Il busto del patrono, conservato nella “Cappella del Tesoro” (un insieme incredibile di opere d’arte e preziosi) è chiamato dai fe-deli “faccia gialla”, per via della lega di colore brunito. Un tempo, le cosiddette “parenti” levavano alte le preghiere di impetrazione, scongiurando il santo di fare il miracolo.
Le parenti erano presunte discendenti di Eusebia, e come tali godevano del permesso di dare il “tu” a San Gennaro, e di prendersi pure qualche licenza (di troppo). All’inizio erano tutti complimenti: «San Gennà, e quanto sì bello!» «Tu sì ‘o primmo prutettóre ‘e sta città!», però se il miracolo tardava, il tono (e le parole) cambiava: “Oh! e quanto ce miétte, stammatìna, a facce ‘a grazia!»; «Jamme belle, Gennà, nun durmì, scétate!»; «Ma staie ‘ncavolato? E che t’avìmmo fatto? Si tu nun vuò essere cchiù ‘o prutettóre nuósto, dincéllo, ca nuie ce pigliàmmo a sant’Antuono».
Ma il miracolo si compie. Uno sventolio di fazzoletto sull’altare (da parte di un componente la cosiddetta Deputazione) annuncia lo scioglimento del sangue, e un boato scuote le volte della Cattedrale. Sono grida di gioia, canti, preghiere e tante lacrime. Napoli è ancora una volta salva.
Ma non tutti credono nel miracolo. Non ci credeva il padre del poeta Goethe, secondo cui la liquefazione era «un puro sacro inganno»; De Brosses, che definì il miracolo «un graziosissimo capitolo di chimica»; il marchese De Sade, che parlò di “sciocca insulsaggine»; Montesquieu, che indicò nel calore emesso dalla folla, e in quello sprigionato dalle candele, la causa della liquefazione. Nei secoli, vari sono stati i tentativi di riprodurre il fenomeno in laboratorio. Il primo fu il principe di Sansevero (sec. XVIII) che riuscì a far passare dallo stato solido a quello liquido un composto di oro, mercurio e cinabro; quindi ci provarono Salverete, Weedal, Punzo, Albini (usò perfino il cioccolato), Giaccio; fino agli anni Novanta del Novecento, con gli scienziati Della Scala, Ramaccini e Garlaschelli.
Una buona parte di questi esperimenti fallì, altri riuscirono a condizione di scuotere la provetta contenente le sostanze. Il punto è che il sangue di San Gennaro non è agitato sempre, e se agitato non sempre si liquefa. Inoltre alcune ipotesi appaiono ridicole: chi parla di cioccolato sa benissimo che il cacao giunse in Europa molto tempo dopo il primo miracolo documentato di San Gennaro.
Il quale mostra nei confronti degli scettici (e dei calunniatori) tanta pazienza, e così pure fanno i napoletani, infastiditi, certo, da tante insinuazioni, ma solidali col Santo al punto da scrivere sotto una Sua statua le seguenti parole: «San Gennà, futtaténne!».

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«E poniamo pure che si tratti di un falso, un falso cinese di seicento anni fa. Miracolo sarebbe lo stesso. Miracolo di una città stretta da secoli attorno al suo santo, miracolo di una fede incrollabile, miracolo di un popolo tacciato di superstizione e idolatria che scrolla le spalle e fissa lo sguardo su chi la ama da sempre, da sempre la protegge e la salva: San Gennaro».
(Marcello D’Orta)

Bibliografia

M. Straniero, Indagine su San Gennaro. Miracoli, fede, scienza, Bompiani, 1991.
S. Rizzelli, I segreti del sacro. Viaggio nell’Italia dei miracoli e dei misteri, dalla Sacra Sindone a Padre Pio, dalla Madonna di Civitavecchia a San Gennaro, Newton & Compton, 1999.
M. Niola, Il corpo mirabile. Miracolo, sangue, estasi nella Napoli barocca, Meltemi, 1997.

IL TIMONE – N.61 – ANNO IX – Marzo 2007 pag. 50-51

 

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