Fin dalle origini, la Chiesa ha annoverato tra i santi anche coloro che hanno preso le armi. Sono i santi militari. Di alcuni diamo qualche cenno biografico
Il cristianesimo, anche prima di Costantino, si mosse al passo delle legioni romane, perché erano soprattutto i soldati che lo portavano fin nelle più remote province. Infatti, a lungo le due religioni “militari” furono il cristianesimo e il mitraismo.
I cristiani soldati nei primi secoli
Dopo gli imperatori Costantino e Teodosio, già dal IV secolo chi difendeva l’Impero romano dai barbari erano i cristiani. È quasi impossibile enumerare tutti i santi canonizzati che di mestiere facevano il soldato. I più noti sono Martino, Sebastiano, Maurizio, Giorgio. Meno noti sono quelli che, a Oriente, si batterono contro i Persiani mazdaici e sono venerati dalle chiese ortodossa e armena. Negli anni della babele post-conciliare ci fu chi sostenne la bufala dell’obiezione di coscienza dei cristiani alla leva militare nell’Impero romano, cosa che ne avrebbe cagionato il martirio. Ma poterono addurre un solo esempio: Massimiliano, della XII Legione “Fulminata”. Arruolato perché figlio di un veterano, conobbe il cristianesimo nella versione eretica dei montanisti, che rifiutavano obbedienza allo Stato e si esibivano in atti di fanatismo inutilmente provocatori. I suoi colleghi cristiani, però, presero le distanze da lui e a quel punto il giudice lo condannò per diserzione. La Chiesa tenne sempre ferma la posizione evangelica di Gesù (che elogiò il centurione di Cafarnao), di Giovanni Battista (che ai soldati chiese solo onestà), di Cornelio, centurione della coorte Italica e primo pagano battezzato (personalmente da san Pietro).
Nel Medio Evo
L’epoca medievale conosce addirittura i Re santi, e non pochi di loro dovettero passare la vita con la spada in pugno. Il più famoso di essi, san Luigi IX re di Francia, guidò ben due crociate. A quei tempi un condottiero non poteva starsene su un’altura a dare ordini, semmai in prima linea con il braccio e l’esempio. Come è santa Giovanna d’Arco. Ci sono addirittura nazioni che hanno un santo militare come eroe nazionale. È il caso, per esempio, del Patrono della Svizzera san Nicola di Flüe (1417-1487), o del portoghese san Nuño Alvarez Pereira (1360-1431). Nei secoli cristiani la Chiesa riuscì a umanizzare perfino la guerra, imponendo la distinzione tra combattenti e civili, le tregue “di Dio”, il diritto d’asilo nei luoghi consacrati, la cerimonia sacralizzata della vestizione del cavaliere, addirittura gli ordini monastici militari. Lanciando le Crociate riuscì per secoli a tenere a bada l’aggressività islamica, e fu sempre lei a salvare l’Europa nei secoli seguenti organizzando leghe cristiane e costringendo i politici ad attivarsi per la difesa dei valori occidentali. Lei, vera domatrice di popoli, evangelizzò e dunque civilizzò bestie umane capaci solo di massacro e devastazione. Qui daremo conto di tutto questo attraverso figure poco note di santi, zigzagando tra le epoche per ristrettezza di spazio.
Un gran numero di santi militari
Cominciamo dal Re della Norvegia sant’Olaf (995-1030), che nell’XI secolo di mestiere faceva il pirata vikingo. A furia di saccheggiare monasteri sulla costa inglese, si incuriosì del Cristo lì adorato. Durante il ritorno da una di queste spedizioni, fece una scommessa con il fratello Harald, una corsa di drakkar (le navi vikinghe): Magnus avrebbe invocato Odino, lui quel Cristo degli inglesi. Vinse lui e cominciò a riflettere. Un giorno, nel bel mezzo di una battaglia navale, si sedette sul ponte mentre le frecce gli fioccavano tutt’attorno e si mise a pregare. La sua fu una conversione sincera e, quando divenne re, si prodigò per evangelizzare il regno. Morì in battaglia.
Il beato Carlo di Blois (1318/9-1364), duca di Bretagna, figlio di Guido di Châtillon e di Margherita di Valois (sorella del re di Francia, Filippo IV). Nel 1337 gli fu data in sposa Giovanna di Penthièvre, erede del duca Giovanni III di Bretagna. Si ritrovò coinvolto nella Guerra dei Cent’Anni. Nel 1341 morì il duca di Bretagna, il cui fratellastro, Giovanni di Montfort, scese in guerra contro la nipote per rivendicare il ducato. L’eredità spettava alla moglie di Carlo e il consiglio dei baroni decise di far rispettare il diritto. La Francia appoggiò Carlo, signore legittimo, e l’Inghilterra il pretendente Montfort. Il pio duca così ebbe a scrivere: «Sarebbe stato meglio che io fossi frate minore, perché il popolo di Bretagna non può avere pace a causa dei nostri contrasti e tuttavia io non posso farci nulla senza il consiglio dei baroni». Carlo di Blois dovette porsi alla testa delle truppe, che guidò alla vittoria per sette anni. Ma nel 1347, nella battaglia di Roche-Derrien, cadde in mano agli inglesi che lo tennero prigioniero a Londra fino al 1356. Liberato in seguito ad arbitraggi, si dedicò a beneficare i francescani. Ma nel 1363 la guerra riprese e l’anno dopo, nella battaglia di Auray, Carlo fu ucciso. Fu sepolto con l’abito francescano.
Il beato Thomas Percy (1528-1572). Suo padre, il sesto conte di Northumberland, era stato giustiziato nel 1537 come cattolico. Lui e il fratello erano stati sottratti alla madre, privata della nobiltà a causa del marito condannato per tradimento. Salita al trono la cattolica Maria Tudor, Thomas, primogenito, riacquistò il titolo e un alto grado militare. Distintosi nella riconquista del castello di Scarborough, fu insignito dell’Ordine della Giarrettiera, la più alta onorificenza d’Inghilterra. Ma il partito protestante riuscì a portare sul trono Elisabetta, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena; Maria Stuart di Scozia, sorellastra della regina e cattolica, sconfitta sul campo a Langside dovette fuggire nel Nord. Il Percy la seguì e, dopo aver chiesto consiglio per lettera al papa san Pio V, si unì all’insurrezione del conte di Westmoreland (1569). Gli insorti marciarono su Durham e la presero, restaurandovi il culto cattolico. Vi resistettero un mese, poi furono sconfitti dalle truppe del conte di Sussex; che fece passare per le armi tutti quelli che trovò. Percy si rifugiò in Scozia, nel castello di Lochleven. Ma nel 1572 il reggente, conte di Mar, lo vendette per duemila sterline agli ufficiali della regina. Rinchiuso nelle carceri di York, fu vanamente invitato a farsi protestante in cambio della libertà. Fu giustiziato lo stesso anno.
San Bernardo da Corleone (1605-1667). Si chiamava Filippo ed era nato a Corleone, vicino Palermo, dal conciapelli Leonardo Latini e da Francesca Sciascia. Fu avviato al mestiere di calzolaio, ma alla prima occasione preferì quello delle armi, specialmente la spada, che a diciott’anni gli fruttò il titolo di «prima lama della Sicilia». Una volta si trovò a difendere una ragazza che un gruppo di soldati spagnoli voleva oltraggiare. Li sbaragliò tutti, da solo, ma da quel momento non ebbe più pace. Come nei film western, gli sfidanti arrivavano uno dietro l’altro e lo provocavano al solo scopo di togliergli il “titolo”. L’ultimo duello fu fatale: i parenti della vittima gli diedero una caccia spietata ed egli fu costretto a invocare il diritto d’asilo nel locale convento dei cappuccini. Nel 1631 entrò nell’ordine e prese a rivolgere il suo carattere combattivo contro se stesso, tanto che i superiori dovettero intervenire a mitigarne le penitenze. Progredì nella via mistica e il demonio in persona intervenne a bastonarlo. Cominciarono i miracoli, ma anche le persecuzioni da parte di confratelli invidiosi che lo accusarono di impostura. Fra Bernardo (il nome che aveva assunto in religione) tutto sopportò con pazienza. Morì a Palermo nel 1667.
San Emmanuel Nguyễn Văn Triệu (1756 circa-1798). Vietnamita, nato nella comunità cristiana di Tho-Duc, figlio di un mandarino del re Nguyen. Il padre comandava le guardie reali, e Triêu, cresciuto, vi fu ammesso. Militò in quel corpo scelto finché una rivolta non costrinse il re alla fuga. L’esercito si disperse e nel paese, senza guida, subentrò una grave carestia. Morto suo padre, Triêu fu costretto a emigrare nel Tonchino orientale per cercare lavoro, lasciando la madre a Tho-Duc. Strinse amicizia con il vicario apostolico, che lo incoraggiò nella sua decisione, nel frattempo maturata, di farsi sacerdote. Nel 1779 tornò a Tho-Duc perché la vecchia madre era rimasta priva anche del necessario. Costruì una piccola casa per la madre e le nipoti, poi si dedicò al suo ministero. Ma nel 1798 fu emanato l’editto contro i cristiani e i soldati si presentarono al villaggio. Per salvare le donne, Triêu si consegnò. Fu gettato in prigione e sottoposto a maltrattamenti, sia perché prete cristiano sia per l’invidia della soldataglia che lo sapeva di stirpe mandarina. Condannato a essere calpestato dagli elefanti, fu invece decapitato appunto perché nobile.
San Joszef Kalinowski (1835-1907). Nacque nel 1835 a Vilnius, in Lituania, ed entrò nell’Accademia militare di Pietroburgo uscendone nel 1857 con il grado di tenente del Genio. L’anno dopo diresse i lavori per la costruzione della linea ferroviaria Kursk-Kiev-Odessa, poi fu trasferito nella fortezza di Brest-Litovsk e nel 1862 promosso capitano di Stato Maggiore. Fervente cattolico, usava quasi tutta la sua paga per una scuola di ragazzi poveri che aveva fondato e nella quale egli stesso insegnava, provvedendo nel contempo ai numerosi figli nati dai tre matrimoni che lo avevano lasciato ogni volta vedovo. Nel 1863 scoppiò l’insurrezione polacca contro i russi; lui si dimise e raggiunse gli insorti. Posto a capo del movimento insurrezionale per la Lituania, l’anno dopo fu arrestato e condannato a morte. Ma la pena venne commutata in dieci anni di carcere per non farne un martire. Finì in Siberia, nelle miniere, e ci rimase fino al 1873. In quel periodo fu per lui determinante l’incontro con gli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio. Da quel momento fu l’angelo consolatore dei compagni di prigionia, che addirittura aggiunsero alle preghiere l’invocazione: «Per le preghiere di Joszef Kalinowski, liberaci o Signore». Liberato, partì per la Francia dove si impiegò come precettore, poi entrò nei carmelitani di Graz con il nome religioso di Raffaele di San Giuseppe. Divenuto superiore e poi vicario provinciale, pregò ed esortò a pregare per la conversione della Russia. Morì consunto dalle malattie nel 1907, in Polonia, a Wadovice, dove tredici anni dopo sarebbe nato Karol Woytyla, il futuro Pontefice che lo canonizzerà nel 1991.
IL TIMONE N. 125 – ANNO XV – Luglio/Agosto 2013 – pag. 39 – 41
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