Il Sessantotto ha rappresentato il tentativo di separare il popolo italiano dalle sue radici. La resistenza della Chiesa cattolica, custode della tradizione, e l’impulso missionario di Giovanni Paolo II.
L’aggressione contro la tradizione cattolica italiana.
Il fenomeno della scristianizzazione nel nostro paese ha assunto, dopo il 1968, un ritmo travolgente e una fisionomia devastante.
Si è trattato di quella “espropriazione” della tradizione cattolica del popolo italiano di cui aveva, in qualche modo, “profeticamente” parlato anche Pier Paolo Pasolini, in tempi non sospetti.
La tradizione cattolica è stata indiscutibilmente all’origine della cultura e della società italiana, nella sua straordinaria e multiforme forza di espressione: culturale, caritativa, sociale, artistica e politica.
La civiltà italiana è stata per secoli geneticamente “prodotta” dalla tradizione cattolica, creduta e praticata dal popolo, nelle sue varie forme.
Questo stesso popolo è stato espropriato della sua “mens” cattolica, non innanzitutto attraverso i pur grandi rivolgimenti sociali e politici che gli sono stati sostanzialmente imposti (Risorgimento e Fascismo), ma attraverso due grandi canali e strumenti: la scuola e, in modo radicalmente più efficace e pervasivo, i mezzi della comunicazione sociale.
Non si tratta di nostalgia della tradizione (la quale aveva saputo riformarsi e rivivere in forme anche rigorosamente innovative), ma di osservare, con occhio obiettivamente storico, che noi viviamo le estreme espressioni cronologiche e sociali di un processo di sostituzione a una tradizione culturale e popolare di forme, differenziate ma ultimamente convergenti, di una ideologia nichilista, consumista e tecnocratica.
La Chiesa custode della tradizione
La Chiesa in Italia ha difeso e custodito, anche operativamente, la tradizione cattolica del popolo. Si può forse dire, con maggior precisione, che la Chiesa italiana è stata, di generazione in generazione, la presenza della tradizione.
Di fronte alla società in cui si sono successivamente formate l’egemonia antidemocratica e antipopolare del liberalismo borghese, che è continuata nel regime dittatoriale fascista, la Chiesa ha “custodito” la tradizione cattolica del popolo, ha difeso ed educato tale libertà, che ha rappresentato una reale alternativa, culturale e sociale, a tutti i regimi.
Non si può comprendere certo la nascita della democrazia in Italia, alla fine della seconda guerra mondiale, se non si considera l’azione educativa che, lungo tutti gli anni del regime fascista, la Chiesa cattolica, in forme e modi articolati ma ultimamente convergenti, ha svolto per educare la coscienza del popolo italiano a non perdere mai il senso della propria personale libertà e della propria responsabilità storica.
Le difficoltà dopo il Concilio Vaticano II
Dal Concilio Vaticano II in poi, una inesatta comprensione del valore del Concilio, che rimane l’evento epocale della Chiesa nell’età contemporanea, e soprattutto una sua non pertinente attuazione culturale e pastorale, hanno determinato nella Chiesa italiana fattori di difficoltà se non di crisi.
Alla missione, come presenza e annunzio della Chiesa a tutto campo nel vivo della società, si è rischiato di sostituire una serie di iniziative di “strategia“.
Tale strategia si caratterizza di volta in volta, o come difesa rigida di certi valori della tradizione, soprattutto quelli di carattere morale, o con iniziative di “dialogo” con le ideologie mondane, che finiscono troppo spesso per annullare la cultura cattolica nell’assunzione acritica delle stesse.
A questo deve aggiungersi una separazione astratta ma rovinosa, nel corpo della Chiesa, fra un livello intellettuale, composto soprattutto dai teologi, protesi a un dialogo a tutti i costi con il mondo, e una realtà di popolo troppe volte lasciata senza una reale possibilità di educazione della fede a divenire criterio di giudizio e di comportamento, nella vita personale e sociale.
Il ruolo di papa Giovanni Paolo II
Giovanni Paolo II è apparso per tutta la Chiesa, e quindi per la Chiesa italiana, un fattore di radicale ripresa e di nuova attuazione della tradizione, secondo il grande programma “riforma nella tradizione”, che costituisce in qualche modo la linea portante dell’intero suo magistero.
La Chiesa non vive per determinare una strategia nei confronti del mondo ma per vivere incondizionatamente una presenza. La presenza ecclesiale è la testimonianza viva che i cristiani sono tenuti a dare oggi a Cristo, presente misteriosamente nell’unità ecclesiale, «Redentore dell’uomo, […], centro del cosmo e della storia” (Redemptor hominis, 1).
Bisogna dunque ripartire dal grande insegnamento conciliare: la Chiesa è un popolo, cosciente della novità della propria esperienza di fede e teso a comunicare questa novità a tutti gli uomini come unica possibilità di autentica verità e di effettiva umanizzazione. Nell’ambito di questa sua missione la Chiesa entra in contatto con tutte le altre forme di cultura e con tutte le versioni ideologiche ed interloquisce con esse, in forza della propria originalità culturale.
La presenza della Chiesa si connota quindi innanzitutto di una innegabile dimensione culturale. “Se la fede non diventa cultura, non è stata realmente accolta, pienamente vissuta, umanamente ripensata”, molte volte il Papa ha formulato tale indicazione culturale e pastorale.
La fede contiene dunque una concezione ultima dell’uomo e della realtà, che ha una sua irriducibile adeguatezza. L’uomo “fatto a immagine e somiglianza di Dio” è il soggetto unico e irripetibile della sua propria vita e della vita sociale; non può mai essere pensato come funzionale a un sistema che lo preceda e lo ecceda: l’uomo non può mai essere ridotto all’insieme delle sue condizioni fisiche o ai suoi condizionamenti sociali. Non può mai essere considerato, come del resto aveva ben indicato la Costituzione conciliare Gaudium et Spes, a “particella di materia” o “cittadino anonimo della città terrena”.
Nella fede cattolica è contenuta da duemila anni una forza culturale che riconsegna all’uomo il senso della sua personalità, della sua dignità, della sua ultima responsabilità.
Per questo, testimoniare in concreto la cultura che nasce dalla fede è, contestualmente e conseguentemente, imprimere nella società un movimento di autentica umanizzazione. E l’umanizzazione è sempre, pur nella varietà delle condizioni storiche, fattore di autentica civilizzazione.
Ma la fede indica anche all’uomo un ethos, definitivamente nuovo. E’ l’ethos della carità come tensione a condividere l’uomo in tutte le sue necessità e i suoi bisogni, per rendere la sua vita più dignitosa e prepararlo alla possibilità dell’incontro con Cristo. La carità è forma singolare e travolgente di evangelizzazione.
Indicando nel discorso rivolto alla Chiesa italiana a Loreto, nel 1985, il compito quasi di una nuova “implanctatio evangelica”, il Papa ha aperto davanti al cuore dei cristiani la via di un’autentica esperienza di verità e un autentico contributo all’umanità della società.
Mi sembra che all’inizio del terzo millennio non ci sia preoccupazione più cristiana e più utile all’uomo di questa nostra società.
IL PAPA E L’ITALIA
«E’ dunque necessario avere fiducia, non solo per quanto concerne la Chiesa ma anche per la vita della società, nella forza unitiva e riconciliatrice della verità che si realizza nell’amore. Vorrei dire qui, agli uomini e le donne di questa grande Nazione: non abbiate paura di Cristo, non temete il ruolo anche pubblico che il cristianesimo può svolgere per la promozione dell’uomo e per il bene dell’Italia…»
(Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al convegno ecclesiale a Loreto, n. 7)
Dossier: Italia, sei ancora un Paese cattolico?
IL TIMONE – N. 29 – ANNO VI – Gennaio 2004 – pag. 44 – 45