Lo Stato deve aiutare le famiglie a esercitare il loro diritto-dovere di educare i figli conformemente ai propri principi e valori.
Il recente stanziamento di un contributo per ogni famiglia che manda i figli nelle scuole non statali ha suscitato proteste e manifestazioni.
Chiariamo subito che il contributo è irrisorio: 30 milioni di euro annui complessivi, cioè, dopo la ripartizione, circa 300 € a famiglia, quando lo Stato spende annualmente per l’istruzione circa 54.000 (cinquantaquattromila) milioni di euro!
È bene sapere che in quasi tutta Europa la scuola non statale è finanziata, in vari modi, dallo Stato, che spesso copre il costo delle rette per intero, o quasi.
Insomma, il caso italiano è una grave anomalia, che sta falcidiando queste scuole, le quali sono costrette a sottopagare gli insegnanti e ciononostante vanno spesso in deficit e falliscono: erano 26.583 nel 1971 e si sono ridotte a 16.052 nel 2001, passando da 2.049.348 a 1.152.656 alunni.
Inoltre, il costo medio per lo Stato di un alunno di scuola superiore è di circa 5.900 €, mentre in una scuola non statale la retta è di circa 3.500 €, il che significa che ogni alunno delle scuole non statali fa risparmiare lo Stato. È quindi giusto che esso, perlomeno, restituisca quanto risparmia alle famiglie che iscrivono i figli in queste scuole, tanto più che queste famiglie pagano anche la scuola degli altri con le tasse.
Va detto, inoltre, che l’esistenza di scuole non statali garantisce un principio morale fondamentale e irrinunciabile: la libertà dei genitori di scegliere per i figli una scuola conforme alle loro convinzioni morali, culturali, religiose, ecc.
Infatti, i genitori, poiché hanno trasmesso la vita ai figli, hanno l’obbligo di educarli. A loro spetta il compito di creare in famiglia quell’ambiente che favorisce l’educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è la prima scuola di virtù sociali di cui necessitano tutte le società e il diritto-dovere educativo dei genitori è insostituibile: non può essere delegato né usurpato. Ciò è così evidente, che la stessa Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ne parla: “I genitori avranno il diritto a scegliere il tipo di educazione da dare ai propri figli”.
Tuttavia, i genitori da soli non possono riuscire a realizzare il compito educativo e debbono pertanto fare affidamento su altre agenzie educative, in primo luogo la scuola. Così, la scuola deve proseguire il diritto naturale dei genitori ad educare i propri figli, cioè i genitori devono essere aiutati dalla scuola nel compito educativo, senza delegarlo: la scuola che i genitori scelgono per i loro figli, esercitando un loro diritto inalienabile, è un complemento educativo della famiglia, mai un sostituto.
I genitori debbono prestare molta cura nella scelta della scuola, perché essa esercita una cospicua influenza nello sviluppo della persona. I genitori devono scegliere la scuola in cui sia garantita la continuità della loro attività educativa, una scuola che condivida i loro valori, obiettivi, metodi educativi, e ciò esige che lo Stato renda possibile una reale ed effettiva libertà di scelta, eliminando quegli impedimenti economici che ostacolano la possibilità, per i genitori, di iscrivere i figli negli istituti più confacenti alle loro convinzioni. Lo Stato deve garantire la possibilità che i genitori marxisti possano mandare i figli in scuole marxiste, quelli liberali in scuole liberali, quelli cattolici in scuole di ispirazione cattolica, ecc. Insomma, nel dibattito sulla scuola non statale ciò che è in gioco non è la tutela degli interessi dei cattolici, come si sente erroneamente dire, bensì la salvaguardia della libertà delle famiglie di educare i figli secondo i propri principi, quali che siano, purché non siano principi criminali.
Alcuni accusano la scuola non statale di parzialità, e preferiscono quella statale perché “neutrale”. In realtà la scuola statale è tutt’altro che “neutrale”, perché, salvo rare occasioni, gli insegnanti attuali appartengono ad una ben determinata area politico-culturale, che ha egemonizzato la cultura italiana.
Inoltre una scuola “neutrale” non è per nulla fattibile, né auspicabile.
Non è fattibile perché qualsiasi resoconto, anche solo di un avvenimento (o di un argomento), non può esserne una riproduzione perfettamente ed integralmente fedele: per passare da un avvenimento al suo racconto è necessaria una presa di posizione su quali sono i suoi elementi essenziali, gli aspetti più rilevanti, i significati: in una parola, è necessaria una sintesi, e questa comporta una selezione, che sarà sempre parziale e frutto di scelte derivanti dall’applicazione di criteri di pertinenza e di rilevanza.
Non è auspicabile perché, per poter educare, una scuola deve costituirsi come un raggruppamento che possieda, in parte, le caratteristiche dei gruppi amicali, cioè dev’essere una comunità di ideali etici, condivisi in un clima di reciproca amicizia. Un modello·di scuola “neutrale”, che si limita a fare una rassegna della varie forme di vita è inadeguato, perché le varie forme di vita non possono essere pienamente comprese senza un’iniziazione pratica, cioè senza praticarle; ma l’alunno non può e non deve essere iniziato a tutti progetti possibili di vita, compresi quelli sbagliati. Infatti, così come compiendo atti buoni diventiamo buoni, allo stesso modo compiendo atti malvagi diventiamo malvagi: gli atti umani comportano una trasformazione in chi li compie. Dunque, se un uomo mette in pratica un progetto di vita sbagliato, non solo diventa malvagio, ma gli risulta anche molto più difficile modificare poi la propria vita. In altri termini, l’uomo non può passare da un progetto di vita ad un altro con la stessa facilità con cui si cambia d’abito.
Ciò non vuoi dire che un insegnante debba conculcare le proprie convinzioni agli alunni, occultandone le debolezze, censurando o indebolendo le tesi avverse.
Una scuola deve sviluppare il senso critico e l’autonomia di giudizio degli alunni, abilitandoli a valutare criticamente ciò che imparano.
Tuttavia, poiché la trasmissione culturale è una trasmissione della verità, una scuola deve presentare principalmente, anche se non esclusivamente, quelle tesi e quelle dottrine che essa e i genitori che l’hanno scelta considerano appunto vere.
Quanto a chi contesta la possibilità di individuare un progetto di vita buona, bisogna ribattere che ciò, di fatto, significa lasciarsi imporre i progetti di vita promossi da mass-media, gruppi di pressione, lobbies, ecc., invece che sceglierseli liberamente.
A chi, infine, accusa le scuole non statali di essere scuole per ricchi, bisogna rispondere sia che in alcune di esse vengono erogate delle borse di studio, che consentono l’iscrizione a qualsiasi famiglia, sia che molte scuole non statali sono frequentate, in prevalenza, dai figli delle famiglie benestanti proprio perché lo Stato non sostiene economicamente le famiglie meno abbienti, che vorrebbero poter scegliere queste scuole per i loro figli, ma non possono farlo proprio per ragioni economiche. È proprio la mancanza di un sostegno economico dello Stato che impedisce a molte famiglie di iscrivere i propri figli in queste scuole, e impedisce a molti ragazzi desiderosi di frequentarle di studiarvi: il recente stanzia mento è un primo piccolo passo, ma dev’essere necessariamente e urgentemente incrementato.
RICORDA
“Il compito educativo, come spetta primariamente alla famiglia, così richiede l’aiuto di tutta la società. Perciò, oltre i diritti dei genitori e di quelli a cui essi affidano una parte del loro compito educativo, ci sono determinati diritti e doveri che spettano alla società civile, poichè questa deve disporre quanto è necessario al bene comune temporale”.
(Concilio Vaticano II, Dichiarazione Gravissimum Educationis, n.3).
BIBLIOGRAFIA
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IL TIMONE N. 28 – ANNO V – Novembre/Dicembre 2003 – pag. 46