È possibile conciliare l’esistenza, la bontà e l’onnipotenza di dio con la presenza del male? la filosofia risponde giustamente di sì. ma la risposta più consolante è quella cristiana.
II. Dal punto di vista morale, il male invece esiste e consiste (lo diceva ancora Agostino) nella scelta consapevole di un bene minore al posto di un bene maggiore (i soldi che rubo ad un altro sono una cosa buona, ma meno buona del rispetto della sua persona e, perciò, della sua proprietà, che io ledo derubandolo). In effetti, non si sceglie mai il male in quanto è male, ma in quanto in sé ha un qualche aspetto buono (anche il piacere del sadico di per sé è un bene; però è un bene minore rispetto all’integrità della sua vittima).
Se questo è vero, allora neanche il male morale può essere addebitato a Dio (che dunque non può essere considerato malvagio): il male morale sta nella scelta dell’uomo, dunque l’autore del male morale è l’uomo, non Dio; cioè è l’uomo, e non Dio, che agisce moralmente male e infligge la sofferenza agli altri: i lager e i gulag li hanno costruiti gli uomini, non Dio.
III. Inoltre noi abbiamo un punto di visto limitato e prospettico, mentre solo Dio ha il punto di vista totale, ha uno sguardo assoluto. Se noi guardiamo un dipinto da un cm. di distanza possiamo dire che una zona scura nel dipinto è brutta, ma, se ci allontaniamo dal dipinto, vediamo che essa è in realtà un’ombra, la quale nell’intero del dipinto ha un suo significato e fa aumentare la bellezza complessiva del quadro. Così, se avessimo il punto di vista di Dio, comprenderemmo che Dio, tollerando alcuni mali (cioè alcune privazioni di bene o alcuni mali morali), prepara dei beni o evita dei mali maggiori: per es. una malattia fisica può essere dolorosa al punto da costringerci a stare in ospedale, ma, se non fossimo stati in ospedale, magari per strada saremmo stati investiti. O, per fare un altro esempio, molto spesso la sofferenza (nostra o altrui) ci ricorda o ci fa comprendere la nostra debolezza e non autosufficienza: ci fa comprendere di non essere degli déi, e così ci sospinge nella braccia del vero Dio, indirizzandoci sul sentiero dell’unico bene che non delude, ci conduce verso il Bene più grande possibile.
Purtroppo, molto spesso non siamo in grado di capire che i mali preparano dei beni o evitano altri mali, o magari lo comprendiamo solamente a posteriori o solo in parte.
A volte i mali che ci capitano non propiziano un bene a noi, ma alle persone che amiamo, agli altri (per es. la sofferenza di una moglie evita mali più grandi al marito), in forza del legame che sussiste tra gli esseri umani.
In tal modo la sofferenza dell’innocente può essere: 1) un male che l’innocente subisce al posto di un male peggiore (che avrebbe potuto essere persino la sua separazione da Dio); 2) una pena scontata al posto di altri.
Così, dice Tommaso (S. Th., I-II, q. 79, a. 4) «Tutti i mali che Dio […] permette, sono ordinati a un bene: non sempre però al bene di colui che li subisce; ma talora sono ordinati al bene di altri, o di tutto l’universo».
IV. Detto questo però, resta da chiedersi: Dio non è l’autore del male morale, però certamente lo permette e potrebbe evitarlo. Dunque, perché Dio lo tollera?
1) Perché (come abbiamo già visto) da esso ricava un bene maggiore o evita un male peggiore.
2) Se Dio impedisse il male morale, toglierebbe la sua fonte, che come abbiamo detto, è la libertà. Ora, Dio potrebbe togliere la libertà all’uomo, ma così lo priverebbe di quella stupenda prerogativa che lo innalza al di sopra degli altri esseri, che lo eleva al di sopra dell’universo.
3) Se l’uomo non potesse compiere il male non sarebbe libero e se non fosse libero non potrebbe nemmeno compiere il bene: se io non fossi libero non potrei scegliere di odiare, ma nemmeno di amare.
4) Come spiega Kierkegaard, Dio si rivolge all’uomo come un innamorato che offre il suo amore a colei che ama, chiedendo all’uomo di corrispondere alla sua proposta d’amore: «È incomprensibile, è il miracolo dell’amore infinito, che Iddio» all’uomo «possa dire quasi come un pretendente […]: Mi vuoi tu, sì o no?». Proprio per questo lo lascia libero, cioè l’uomo è libero perché Dio gli propone di partecipare alla comunione amorosa con Sé e «il Dio dell’amore non vuole in alcun modo costringerti. Come potrebbe l’amore pensare di costringere ad amare?». Se l’uomo non fosse libero non potrebbe conseguire la felicità, che è la comunione amorosa con Dio.
V. Appurato che il male non è una contestazione dell’onnipotenza e della bontà di Dio, possiamo anche escludere che Dio (è l’errore del deismo) si disinteressi dell’uomo. Infatti Dio, per definizione, è: 1) sommamente perfetto, dunque creando l’uomo non guadagna nulla; 2) assolutamente libero, dunque crea l’uomo senza la minima costrizione. Ma se Dio crea liberamente l’uomo e se l’uomo non Gli aggiunge nulla, vuol dire che Dio crea per amore e si interessa premurosamente all’uomo. Fin qui la risposta filosofica al problema della sofferenza dell’innocente. Una risposta razionalmente convincente, ma che forse ci aiuta poco a sopportare la sofferenza.
La risposta cristiana
In effetti, solo il cristianesimo è in grado di fornire una risposta definitivamente consolante, che oltretutto ne evidenzia la grandissima superiorità rispetto alle altre religioni, comprovando che le religioni non sono tutte uguali.
I. Per il cristianesimo la sofferenza è stata introdotta nel mondo dall’uomo, non da Dio: è la pena di quella colpa che si chiama peccato originale (cfr. l’articolo di G. Zenone in questo dossier).
II. Ma, soprattutto, la specificità cristiana si vede nel fatto che in tutte le religioni, fuorché nel cristianesimo, Dio vive nella sua beatitudine indefettibile e nella sua felicità stabile e guarda alla sofferenza umana dall’alto, come uno spettatore disinteressato, o impotente, o addirittura compiaciuto. Al contrario, solo nel cristianesimo c’è un Dio che si fa uomo, assumendo la natura umana compresa la sofferenza, ma non il peccato. Diversamente da quel che avviene nelle altre religioni, così, il Dio cristiano sperimenta la sofferenza atroce e lancinante della crocifissione, culmine sia del dolore fisico sia della sofferenza psicologica (quella che deriva dal tradimento e dalla sofferenza ad opera di coloro a cui ci si è dedicati, da parte di coloro che si è amati).
Così, si svela il significato del grido di Cristo in croce: in quel momento Cristo sperimenta il massimo del male, cioè la lontananza da Dio, che è l’esito del peccato, senza peraltro che egli abbia peccato: «colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccatore in nostro favore» (2 Cor 5,21). Così, «nell’amore redentore egli ci ha assunto nella nostra separazione da Dio a causa del peccato, al punto da poter dire a nome nostro sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”» (Catechismo, n. 602).
Così, il cristianesimo fornisce la definitiva risposta per scagionare Dio. Dio, infatti, è onnipotente ma non è rimasto indenne al male e alla sofferenza, non guarda l’uomo distrattamente e indifferentemente o, peggio ancora, compiacendosi dei suoi patimenti, bensì si è incarnato per somma generosità e infinito amore e ha patito le più atroci sofferenze fino alla morte in croce.
Perciò, nei riguardi di questo Dio è impossibile imprecare o bestemmiare, addebitandogli il disinteresse o un compiaciuto sadismo verso la sofferenza umana: questo Dio assume su di sé liberamente, senza costrizione alcuna, la sofferenza, offre il dorso ai flagellatori, si sdraia sulla croce e offre se stesso come modello di uomo sofferente e come compagno. In tal modo, se nelle altre religioni la sofferenza dell’innocente resta in definitiva uno scandalo, nel cristianesimo è piuttosto un mistero. Il suo senso ci sfugge per via del nostro punto di vista limitato e prospettico, ma ci viene garantita la sua fecondità.
Infatti nel cristianesimo: 1) la nostra sofferenza ci fa partecipare alla redenzione operata da Cristo in nostro favore quando è morto sulla croce; 2) essa può essere da noi offerta per il bene di coloro che amiamo; 3) in Cristo abbiamo un modello ed un compagno che ci insegna a rendere feconda la sofferenza.
Come dice Kierkegaard, in Cristo il massimo del patire è stato il massimo dell’agire.
Dossier: Dio e il problema del male
Riceverai direttamente a casa tua il Timone
Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone
© Copyright 2017 – I diritti delle immagini e dei testi sono riservati. È espressamente vietata la loro riproduzione con qualsiasi mezzo e l’adattamento totale o parziale.
Realizzazione siti web e Web Marketing: Netycom Srl