Omosessualità: il giudizio della Chiesa
Il documento della Congregazione risponde indirettamente a queste domande, attraverso una serie di passaggi logici molto chiari:
poche parole, ma precise. Vediamo di riassumerne il senso.
a. Il sacerdozio è – in base a una costante tradizione immodificabile – riservato al battezzato di sesso maschile. Il prete è infatti un “alter Christus” e la sua sessualità non è affatto mortificata dal celibato. Egli rimane pienamente uomo pur senza esercitare la genitalità ed esprime le virtù cristiane incarnate nelle sue tipiche qualità maschili. Il sacerdote non è un essere asessuato.
b. Il sacerdote è una persona che dona tutta sé stessa, assumendo la paternità spirituale di tutta la comunità che gli è affidata.
Per fare questo, il candidato al sacerdozio deve raggiungere la maturità affettiva, che gli permetterà di relazionarsi in modo corretto con uomini e donne.
c. La Chiesa distingue fra atti omosessuali e tendenze omosessuali. Gli atti sono intrinsecamente immorali, giudicati peccati gravi dalla Sacra Scrittura e non possono essere approvati in nessun caso.
d. Per quanto riguarda le tendenze, il documento della Congregazione mette in luce due aspetti: da un lato, queste persone vivono una prova e devono essere accolte con rispetto e delicatezza, evitando ogni marchio di ingiusta discriminazione; dall’altro, quando profondamente radicate, queste tendenze «sono oggettivamente disordinate». Questo passaggio del documento non allude a un giudizio morale di colpevolezza, ma afferma che la tendenza omosessuale produce delle conseguenze sulla personalità che sono obiettive, ancorché superabili e vincibili nel tempo.
Sacerdozio: i criteri di esclusione
Il documento assume una posizione molto precisa a riguardo dei criteri di ammissibilità al sacerdozio. Senza nulla togliere al rispetto dovuto a tutte le persone, «la Chiesa non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che»:
a. praticano l’omosessualità;
b. presentano tendenze omosessuali profondamente radicate;
c. sostengono la cosiddetta cultura gay.
Circa il primo punto, non c’è bisogno di alcun commento. Più complessa la questione delle “tendenze”. Il documento non chiude la porta definitivamente alle persone che abbiano sperimentato atti o tendenze omosessuali, ma stabilisce che i candidati devono dimostrare di aver superato il problema almeno tre anni prima dell’ordinazione diaconale. Un cenno merita il quanto mai opportuno riferimento alla “cultura gay”: coloro che sostengono le istanze di tipo giuridico ed ecclesiale della lobby omosessuale, che teorizzano la “normalità” di questa condizione, che invitano gli omosessuali a perseverare in atti oggettivamente immorali, persone di questo tipo sono incompatibili con il sacerdozio perché tradiscono radicalmente il Magistero.
Le ragioni della Chiesa
La disciplina della Chiesa non è frutto di un mero atto di autorità, ma è radicata nel riconoscimento dell’uomo, della sua natura ferita e della dignità suprema del sacerdozio. Proviamo a riassumere queste ragioni:
a. personalità equilibrata e identità sessuale: le persone con problemi di omosessualità vivono una «situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne». Dunque la Chiesa afferma un “no” che non ha un sapore punitivo o dispregiativo.
È piuttosto la presa d’atto di un problema umano: se si vive, anche senza colpa, un grave disturbo della personalità, bisogna rinunciare al sacerdozio.
b. Il sacerdozio non è un diritto: nella vocazione sacerdotale vi sono sia il dono gratuito di Dio, sia la libertà responsabile dell’uomo.
Il solo desiderio non è sufficiente, e sta alla Chiesa decidere chi è idoneo a essere ordinato.
c. omosessualità e pedofilia: l’omosessuale non è un pedofilo. Tuttavia, è inutile nascondersi che in questi anni si sono verificati episodi di abusi contro minori, certamente ingigantiti dalla malizia anticattolica dei mass media, ma non per questo meno gravi.
Dunque la Chiesa ha tutto il diritto e il dovere di assumere ogni cautela e di procedere a una seria verifica delle qualità umane dei candidati al sacerdozio. La presenza di tendenze omosessuali costituisce certamente un pericolo annunciato.
d. omosessualità e continenza: le scienze umane che studiano il fenomeno ci dicono che la tendenza omosessuale radicata non è paragonabile alla pulsione sessuale ordinaria. L’omosessualità scatena impulsi più difficili da governare, genera personalità disturbate e dunque crea una condizione di instabilità preoccupante, nella quale è bene che un sacerdote non venga a trovarsi.
Il compito dei vescovi e dei seminari
Chi dovrà applicare le rigorose disposizioni della Congregazione? Il documento contiene un richiamo tutt’altro che formale alle responsabilità congiunte dei candidati al sacerdozio e dei seminari. I primi devono essere leali e sinceri, evitando la grave disonestà di nascondere un’eventuale problema di omosessualità. D’altro canto, i seminari hanno «l’obbligo di valutare tutte le qualità della personalità ed accertarsi che il candidato non presenti disturbi sessuali incompatibili con il sacerdozio». Sono apertamente chiamati in causa il rettore, il direttore spirituale e gli altri formatori del seminario. Il vescovo o il superiore maggiore sono personalmente responsabili di garantire sempre alla Chiesa sacerdoti idonei, «veri pastori secondo il cuore di Cristo».
Dossier: «Maschio e femmina li creò…». L’identità minacciata
Riceverai direttamente a casa tua il Timone
Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone
© Copyright 2017 – I diritti delle immagini e dei testi sono riservati. È espressamente vietata la loro riproduzione con qualsiasi mezzo e l’adattamento totale o parziale.
Realizzazione siti web e Web Marketing: Netycom Srl