Banner_Il Sabato del Timone_14 dic 24_1920x280

12.12.2024

/
Seneca
31 Gennaio 2014

Seneca

 



Affermò che l’uomo saggio è felice, perché matura un atteggiamento di superiorità e distacco nei confronti del mondo. Diverse sue considerazioni permettono di avvicinarlo al cristianesimo: il senso del peccato, la fratellanza universale, spinta sino all’amore per il nemico


La questione assai dibattuta (cfr. l’articolo di Ilaria Ramelli sul Timone n. 94) dell’esistenza di un epistolario autentico fra San Paolo e il filosofo Seneca conferma meglio di ogni altro elemento quello che molti hanno da sempre sostenuto, ovvero che nel pensiero del grande autore latino sono rintracciabili componenti che permettono di avvicinarlo al cristianesimo. In effetti, almeno per quanto concerne l’etica, la filosofia senecana risulta caratterizzata da dottrine di grande valore e di indubbia elevatezza. Certo, Seneca fu e resta un pagano, ed è opportuno non confondere le sue tesi con la rivelazione cristiana; ma l’incontro con le sue opere, specialmente quelle di contenuto morale, costituisce un’esperienza culturale e spirituale sicuramente interessante ed edificante. Lucio Anneo Seneca nacque a Cordova, in Spagna, negli anni a cavallo tra la fine dell’epoca pagana e l’inizio di quella cristiana. A Roma si fece valere come ottimo politico, e, dopo qualche anno di esilio, frutto di un complotto ordito contro di lui da Messalina, rientrò nella capitale e divenne il precettore di Nerone, del quale fu ascoltato consigliere durante i primi anni dell’impero, cosa che, fra l’altro, gli permise di acquistare grande fama e di accumulare enormi ricchezze. Nell’anno 62 la sua stella declinò e, nonostante il volontario allontanamento dalla vita pubblica, fu accusato dallo stesso Nerone di aver preso parte a una congiura contro di lui: a quel punto a Seneca non rimase che la via del suicidio ed egli, nell’anno 65, coerentemente con quanto sostenuto e raccomandato dallo stoicismo e con una fermezza d’animo che lascia sbalorditi, si tolse la vita.
Molti sono gli scritti senecani: numerose opere filosofiche, le celebri 124 Lettere a Lucilio, alcune tragedie ed una composizione ironica sulla morte dell’imperatore Claudio. Il fine ultimo della filosofia di Seneca è morale: a lui sta a cuore dotare l’uomo degli strumenti adatti ad assicurargli una vita serena e felice. In ultima analisi, tali strumenti coincidono con una retta conoscenza della realtà, che permetta di valutare correttamente le cose e di stabilirne l’autentico valore, in modo che ognuno possa rapportarsi in maniera giusta col mondo. Soltanto così, infatti, sarà possibile estirpare i tanti mali che affliggono l’animo umano: Seneca, al pari di Epicuro e degli stoici (non casualmente, spesso egli viene considerato un neostoico), attribuisce alla filosofia un compito terapeutico. Così si legge in una delle Lettere a Lucilio: «Senza la filosofia l’anima è malata; anche il corpo, se pure è in forze, è sano come può esserlo quello di un pazzo o di un forsennato. Perciò, se vorrai star bene, cura soprattutto la salute dell’anima, e poi quella del corpo, la quale non ti costerà molto». E ancora: «La filosofia […] forma e plasma l’animo, regola la vita, governa le azioni, siede al timone e dirige il corso in mezzo ai pericoli del mare in tempesta. Senza di essa nessuno può vivere tranquillo, nessuno sicuro».
Questa filosofia curativa dei dolori e delle sofferenze trova il suo culmine nel pieno dispiegamento dell’umana razionalità, come Seneca scrive a Lucilio: «Il bene dell’uomo non è nell’uomo se non quando la ragione è perfetta. Ma qual è questo bene? Te lo dirò: un’anima libera, nobile, che sottomette le altre cose a sé, senza lasciarsi sottomettere da nessuna». Secondo Seneca, l’uomo saggio è felice e custodisce la felicità dentro di sé, maturando un atteggiamento di sovrana superiorità e di convinto distacco nei confronti delle cose del mondo.
Sostenendo queste tesi, il pensatore cordovano si colloca nella scia dell’antica filosofia stoica, della quale egli tuttavia rinnova molte dottrine, prime fra tutte quelle riguardanti i concetti di Dio e di fato. In Seneca troviamo infatti un forte sentimento del trascendente, sconosciuto al primo stoicismo, e la sua concezione di Dio assume tratti personalistici, distinguendosi in una certa misura dal radicale panteismo sostenuto in precedenza dagli stoici. Seneca si rivela invece sostanzialmente fedele alla tradizione inaugurata dai primi esponenti dello stoicismo quando identifica Dio con il Fato, giungendo ad affermare che tutto è perfettamente razionale e perfettamente ordinato e che sarebbe privo di senso pensare che qualcosa possa cambiare all’interno di questo ferreo ordine cosmico. Tenendo conto di tali convinzioni, facilmente comprensibile risulta la raccomandazione che egli fa all’uomo di non affannarsi, di non darsi pena, di non lamentarsi: tutto ciò infatti è completamente insensato e inutile, poiché ovunque e su ogni cosa regna una assoluta necessità che mai verrà meno. L’accettazione della realtà in quanto razionale e necessaria ed il distacco dalle cose conducono l’uomo saggio a considerare unico vero bene la virtù, che coincide con il retto uso della ragione, e unico male il vizio. Tutte le altre cose verranno giudicate «indifferenti»: infatti, non saranno certo le ricchezze, la fama, la salute a determinare la felicità; tali realtà non possono condizionare lo stato d’animo dell’uomo sapiente e inoltre si rivelano spesso fallaci e illusorie. Alcune saranno preferibili, come la salute rispetto alla malattia, ma nessuna di esse sarà realmente in grado di turbare o rendere felice l’animo. Infine, Seneca (e in ciò si palesa la sua parziale vicinanza al cristianesimo) avvertì con chiarezza il senso del peccato e predicò la fratellanza universale, spinta sino all’amore per il nemico. Ciò non può far dimenticare che Seneca non fu un cristiano: i suoi ideali, sicuramente alti e vissuti con significativa coerenza, furono quelli tipici della più elevata saggezza pagana: «Che cosa è importante? – egli scrive nelle Questioni naturali – Poter sopportare l’avversità con animo sereno; qualunque cosa accada, sopportala come se tu avessi voluto che ti accadesse ».

 

RICORDA

 

«Come dobbiamo comportarci con gli uomini? […] è ben poca cosa non fare il male a chi dovresti fare del bene! […]. La natura ci produce fratelli generandoci dagli stessi elementi e destinati agli stessi fini. Essa pose in noi un sentimento di reciproco amore con cui ci ha fatti socievoli, ha dato alla vita una legge di equità e di giustizia e, secondo i principi ideali della sua legge, è più misera cosa offendere che essere offesi. Essa ordina che le nostre mani siano sempre pronte a beneficare. Serbiamo sempre in cuore e sulle labbra quel verso: “sono uomo e nulla di quanto è umano considero a me estraneo”. Teniamo sempre presente questo concetto, che siamo nati per vivere in società. E la nostra società è proprio simile ad una volta di pietre, che non cade proprio perché le pietre, poggiando l’una sull’altra, si sostengono a vicenda e quindi sostengono la volta».
(Seneca, Lettere a Lucilio, 95, 51-53)

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Giovanni Reale, La filosofia di Seneca come terapia dei mali dell’anima, Bompiani, 2003. Lucio Anneo Seneca, La vita felice, introduzione di Maurizio Schoepflin, Edizioni La Vita Felice, 2010.

 

 

 

IL TIMONE N. 97 – ANNO XII – Novembre 2010 – pag. 32 – 33

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Per leggere l’articolo integrale, acquista il Timone

Acquista una copia de il Timone in formato cartaceo.
Acquista una copia de il Timone in formato digitale.

Acquista il Timone

Acquista la versione cartacea

Riceverai direttamente a casa tua il Timone

I COPERTINA_dicembre2024(845X1150)

Acquista la versione digitale

Se desideri leggere Il Timone dal tuo PC, da tablet o da smartphone

Resta sempre aggiornato, scarica la nostra App:

Abbonati alla rivista