Regia: John Ford
Con John Wayne, Jeffrey Hunter, Vera Miles, Ward Bond, Natalie Wood, Harry Carrey jr.
1956 – colori
Se dovessi raccontare Sentieri Selvaggi, direi che e la storia di un uomo solo, che rimane solo. Credo sia il modo migliore per sintetizzare un film considerata da più parti come uno dei più grandi capolavori di tutti i tempi, ma che allo stesso tempo nasconde dietro un'apparente linearità narrativa, una notevole complessità. Basterebbe la prima scena – uno degli inizi, e dei finali, vista che è speculare, più belli della storia del cinema – per capire la straordinaria "ricerca" che c'è dietro a tutto il film. E' una porta che si apre. E' il passaggio da una stanza buia, a una prateria. Detto così sembra niente e invece c'e tutta la maestria di John Ford che ci presenta, con un "niente", tutto (lo si può anche guardare come un sipario che si alza su un palcoscenico su cui si sta per rappresentare un dramma…). Ed e solo l'inizio di una storia straordinaria raccontata in modo straordinario. Ci sono passaggi epici, romantici, lirici, spassosi e accenti duri, al limite del fastidioso, che portarono qualcuno a definire razzistica la pellicola.
In realtà, il film vuole solo mostrare la difficoltà che ci può essere nell'integrazione fra le razze. A questo proposito, un'ultimissima annotazione: per tutto il film Ethan Edward (il protagonista, interpretato da John Wayne) viene affiancato nella sua ricerca da un ragazzo che ci viene presentato come un trovatello. Guardate, invece, come se il ragazzo fosse figlio di Ethan: vi assicuro: vedrete tutto con un'altra prospettiva. Da guardare, da guardare, da guardare…
IL TIMONE – N. 47 – ANNO VII – Novembre 2005 – pag. 63