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9.12.2024

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Senza Dio tutto è permesso
31 Gennaio 2014

Senza Dio tutto è permesso

 

 

 

 

Se Dio non esistesse sarebbe lecito qualsiasi abominio morale, perché le leggi morali deriverebbero dal caso e non ci sarebbe ragione di seguirle.
La conferma di due atei, Sartre e Camus.

 

 

Se Dio non esistesse, la vita umana avrebbe senso? Sarebbe ancora possibile stabilire ciò che è bene e ciò che è male per l’essere umano? Sarebbe possibile giustificare razionalmente la preferenza per un certo “stile etico di vita” ad esclusione degli altri? Ritengo che la risposta debba essere decisamente negativa. Dello stesso avviso sono due autori insospettabili di simpatie verso la religione, due noti atei come Jean-Paul Sartre e Albert Camus.
Il primo di essi, scrittore, giornalista, commediografo e filosofo francese, sino alla fine della sua vita riversò nella cultura del Novecento un ateismo incrollabile e altezzoso (anche se colmo di ambiguità, che purtroppo non possiamo qui illustrare). Ebbene, una delle affermazioni più celebri di Sartre, ben nota anche al pubblico non specialistico, fu la seguente: «Dostoevskij ha scritto: “Se Dio non esiste tutto è permesso”. […] Effettivamente tutto è lecito se Dio non esiste». Albert Camus, amico di Sartre (benché la loro amicizia soffrì di forti turbolenze) e anch’egli intellettuale poligrafo, ha insistito particolarmente sulla totale mancanza di senso (assurdo) derivante dall’ateismo: «Il senso dell’assurdo, quando si pretenda trarne subito una norma d’azione, rende l’omicidio per lo meno indifferente, e quindi possibile. Se a nulla si crede, se nulla ha senso e se non possiamo affermare alcun valore, tutto è possibile e nulla ha importanza. Non c’è pro né contro, né l’assassino ha torto o ragione. Si possono attizzare i forni crematori, come anche ci si può consacrare alla cura dei lebbrosi. Malizia e virtù sono caso o capriccio».
Non ho in questa sede la possibilità di approfondire le tesi dei due filosofi francofoni, ma tenterò di argomentare a favore di queste loro affermazioni (che essi giustificano in modo del tutto insoddisfacente, finendo per contraddirsi), per trarne in ultimo gli opportuni insegnamenti.
Vi è una ragione principale per la quale, se Dio non esistesse, la vita umana sarebbe priva di senso e risulterebbe dunque impossibile dare ragione di una qualunque concezione etica (di qualsiasi distinzione cioè tra il bene e il male).
Bisogna notare infatti che, se un’Intelligenza Creatrice dell’universo non esistesse, tutto deriverebbe dal «caso»: ogni ordine o legge naturale, qualsiasi proprietà o regola della natura umana, e dunque anche qualsiasi regola morale «scritta nei cuori», «sentita» o «intuita», proverrebbe da un incontro casuale di elementi cosmici primordiali. Ma se un certo ordine universale deriva dal caso, non vi è alcuna ragione, tranne eventuali impedimenti puramente meccanici, per cui un tale ordine non avrebbe potuto essere diverso o addirittura opposto a ciò che è attualmente. Dunque, se l’etica si basa sulle leggi naturali, a cui è sottoposto pure l’uomo (in filosofia si usa definire «natura o essenza umana» proprio l’insieme delle leggi di natura che costituiscono l’essere umano), allora, qualora le leggi naturali fossero diverse, anche le prescrizioni morali lo sarebbero. Non essendoci un’Intelligenza Creatrice a garanzia della bontà dell’universo, l’ordine attuale del cosmo non potrebbe essere giudicato migliore di un qualsiasi altro tra quelli possibili. Per il solo fatto che qualcosa esiste (l’attuale ordine di leggi universali), non è detto infatti che sia cosa buona e degna di rispetto; altrimenti qualunque difetto, qualunque stortura o deviazione, qualsiasi dolore, la malattia e la morte stesse sarebbero un bene. Ma, stando così le cose, chi potrebbe più condannare il comportamento di un sadico torturatore o quello di un assassino? Chi sarebbe più in grado di scegliere tra azioni contrarie: se favorire la salute e la vita, piuttosto che la sofferenza e la morte? In definitiva se l’ordine delle leggi naturali e di quelle morali derivassero da un’aggregazione casuale di atomi, che obbligo ci sarebbe per l’uomo di sottomettersi a queste leggi (dato che almeno in parte l’uomo, tramite la propria libertà, può rendersene indipendente)?
Avrebbero quindi ragione Sartre e Camus: le uniche regole morali valide sarebbero quelle che crea l’uomo, che l’uomo costruisce e inventa in maniera del tutto arbitraria. Infatti, poiché l’ordine e l’universo in cui l’uomo si ritroverebbe, non deriverebbero da alcun progetto, da alcuna intelligenza, non vi sarebbe nemmeno una direzione specifica e preferenziale da rispettare: tutto sarebbe lecito, anche l’omicidio. Tutt’al più gli uomini potrebbero riunirsi in maggioranze d’opinione, che stabiliscano artificialmente cosa è giusto e cosa è sbagliato, ma l’unica giustificazione di quelle scelte morali sarebbe la volontà stessa di chi le esprime, corroborata dalla coercizione bruta nei confronti di quanti abbiano altre tendenze volitive: «vogliamo che questo sia ritenuto giusto e questo sbagliato». Si tratterebbe di una vera e propria dittatura del più forte. Non sarebbe possibile infatti riferirsi alla bontà della natura umana (per ricavarne una legge morale valida universalmente almeno nei suoi principi fondamentali), poiché, derivando anch’essa dal caso, avrebbe potuto essere totalmente diversa: non ci sarebbe né bene né male assoluto, solo preferenze relative al momento e al luogo (differenti comunità umane potrebbero altrettanto legittimamente rendere obbligatorie regole morali diametralmente opposte).
Tiriamo dunque le conclusioni di quanto detto. Senza Dio la vita umana non avrebbe alcun senso, proprio perché qualunque senso sarebbe ugualmente ammissibile, anche quello che fosse in diretta contraddizione con un altro. Questa verità, sebbene non sia sufficiente a dimostrarne l’esistenza, può essere lo sprone per intraprendere la ricerca di Dio.
L’ateo, l’agnostico o l’indifferente devono infatti rendersi conto che, di fronte alle domande dei propri figli, non potranno giustificare fino in fondo alcun principio morale capace di dare significato all’esistenza umana. Il lettore ha dunque un argomento, se non per il proprio vantaggio, per quello di tutti coloro che può desiderare di avvicinare a Dio.

RICORDA

 

«[…] per quanto si esaminino le testimonianze antiche e si facciano inchieste, per quanto si frughino gli angoli più riposti dell’intero pianeta, non si troverà nulla che assomigli anche solo da lontano alla preoccupazione moderna per le vittime. Né la Cina dei mandarini, né il Giappone dei samurai, né le Indie precolombiane, né la Grecia, né la Roma della Repubblica o dell’Impero si curavano minimamente delle vittime che, con mano generosa, sacrificavano ai loro dei, all’onore della patria, all’ambizione di grandi o piccoli conquistatori». Queste culture «coltivavano mille forme di solidarietà familiari, tribali, nazionali, ma […] non si poteva parlare di umanità vera e propria che all’interno di un determinato territorio». Insomma, «la vera origine della nostra moderna sollecitudine verso le vittime […] è chiaramente cristiana. Umanesimo e umanitarismo sono nati in terra cristiana».

(René Girard, Vedo Satana cadere come la folgore, Adelphi 2001, pp. 212, 219, 214).
BIBLIOGRAFIA
A. Sanmarchi, Il senso della vita e la vita senza senso dell’ateo, in “Aquinas”, vol. 46, n. 2-3 (2003), pp. 329-364.
Y. Simon, The Tradition of natural Law. A Philosopher Reflections, Fordham University Press 1965, pp. 61-62.

 

IL TIMONE – N. 32 – ANNO VI – Aprile 2004 – pag. 32 – 33
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