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“Senza oneri per lo Stato”. Cioè?
1 Febbraio 2014

“Senza oneri per lo Stato”. Cioè?

La Costituzione garantisce ai genitori il diritto di scegliere come educare i figli. Ma in pratica questo diritto viene negato. Vediamo come

L’art. 33 della Costituzione italiana recita: «L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato».
I punti nodali sono la conclusione del comma 3, il famoso «senza oneri per lo Stato» a chiosa del diritto di enti e privati a istituire scuole, e il comma 4, dove la legge fondamentale del Paese s’impegna a garantire alle scuole non statali «piena libertà», nonché ai loro fruitori «trattamento scolastico equipollente » a quello assicurato ai fruitori delle scuole statali. Sono questi nodi, infatti, a porre la domanda importante: la Costituzione italiana penalizza la libertà di educazione, e se sì in che modo?

Diritti e possibilità

Come tutta la Costituzione italiana, anche l’art. 33 sulla scuola è frutto del compromesso fra le forze politiche costituenti, non di rado tra loro inconciliabili. In specifico, il contenzioso sull’art. 33 riguardò meno la possibilità di enti e di privati d’istituire scuole non statali – giacché di fatto tutti accettarono tale possibilità, almeno in linea di principio –, quanto più la liceità di finanziare pubblicamente le scuole non statali.
Fu dunque lo stesso Epicarmo Corbino (1890-1984), economista ed esponente del Partito Liberale Italiano, che propose il «senza oneri per lo Stato» a chiudere la questione, spiegandosi così ai costituenti il 29 aprile 1947: «Vorrei chiarire brevemente il mio pensiero. […] Perché noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degli istituti privati; diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. È una cosa diversa: si tratta della facoltà di dare o di non dare». Una scuola non statale non ha cioè il diritto di pretendere aiuti economici da parte dello Stato, ma non sta scritto che non ne possa ricevere mai. Ai costituenti, che approvarono, bastò; tanto è vero che uno tra i più contrari all’idea di un diritto delle scuole non statali al finanziamento pubblico, Tristano Codignola (1913-1981) – eletto nelle fila del Partito d’Azione, poi esponente di spicco del Partito Socialista Italiano fino all’espulsione nel 1981 per critiche a Bettino Craxi (1934- 2000) – chiuse la questione definitivamente in questo modo: «Dichiaro che voteremo a favore, chiarendo ai colleghi democristiani che, con questa aggiunta [«senza oneri per lo Stato»], non è vero che si venga ad impedire qualsiasi aiuto dello Stato a scuole professionali: si stabilisce solo che non esiste un diritto costituzionale a chiedere tale aiuto».

Comma dopo comma
Ma l’art. 33 prosegue con il comma 4, il quale, distinguendo all’interno di tutte le possibili scuole che enti e privati hanno il diritto d’istituire, va oltre. Che il comma 4 aggiunga materia a quanto stabilito nel comma 3 è del resto logico e anzi ovvio: se non lo facesse, meramente ripetendo, sarebbe infatti ridondante e quindi inutile.
Ciò che il comma 4 aggiunge al comma 3 passa attraverso una formula precisa: compete alla legge italiana stabilire le regole cui debbono attenersi non le scuole non statali in generale, ma specificamente le scuole non statali che allo Stato chiedono l’equiparazione a quelle statali. A queste, dette parificate, e non esaurienti l’insieme di tutte le scuole non statali, la legge s’impegna a garantire libertà piena e trattamento scolastico dello stesso peso e valore di quello assicurato alle statali proprio perché esse accettano di osservare regole stabilite dallo Stato. Non tutte le scuole non statali, insomma, sono identiche. Alcune di queste lo Stato le riconosce in modo tanto particolare da parificarle alle statali, poiché, a differenza di altre scuole non statali, accettano la regolamentazione dello Stato. Il linguaggio del comma 4 è, da questo punto di vista, fortissimo, e dunque nettissimo il senso: è proprio la richiesta di parificazione avanzata da alcune scuole non statali a indurre lo Stato a fissare per esse obblighi e diritti – che evidentemente per altro tipo di scuole non statali non valgono o valgono diversamente – quali la piena libertà e il trattamento scolastico equipollente per i loro fruitori. La pariteticità, dunque, fra scuole non statali parificate e scuole statali è, nella Costituzione, totale. Per converso, nella Costituzione non vi è invece pariteticità né fra scuole statali e scuole non statali non parificate, né fra non statali parificate e non statali non parificate.
Il «senza oneri per lo Stato» del comma 3 viene dunque superato dalla pariteticità a tutti i livelli introdotta dal comma 4 a vantaggio delle scuole non statali parificate, mentre ancora vale per le scuole non statali non parificate che infatti continuano a esistere come “legalmente riconosciute”. A queste non si estende quindi l’impegno dello Stato per garantire equipollenza di trattamento scolastico rispetto alle scuole statali, poiché configurano una specie di scuole non statali diversa da quella parificata cui esclusivamente si rivolge, superando in questo il comma 3, il comma 4.
Le scuole non statali non parificate, infatti, sono a tutti gli effetti istituti privati, laddove invece le non statali parificate sono, al pari di quelle statali, scuole pubbliche: svolgono funzione pubblica, sottostanno pubblicamente a regole stabilite dallo Stato, pubblicamente chiedono e pubblicamente ottengono dallo Stato riconoscimento dell’equipollenza tra il loro servizio e quello offerto dalla scuola statale.

Il finanziamento pubblico
In sede costituente, però, nessuno propose l’idea di finanziare pubblicamente nemmeno le scuole non statali parificate, come però l’equipollenza di trattamento scolastico cui lo Stato s’impegna nei confronti dei loro fruitori contempla in tesi con chiarezza. Quando ne sorse il “sospetto”, le forze politiche “sospettate” si affrettarono a escludere tassativamente quella possibilità. Trattamento scolastico equipollente (nel testo costituzionale il termine tecnico è scelto accuratamente) significa infatti scuole non statali in tutto di pari peso e valore rispetto alla scuola statale, ivi evidentemente compreso il regime che ne regola la fruizione per esempio sul piano economico. Il trattamento scolastico equipollente cui lo Stato s’impegna viene infatti immediatamente dopo l’affermazione che le scuole parificate godono di piena libertà, indicando cioè con chiarezza che detto trattamento equipollente è condizione e strumento dell’esercizio di quella piena libertà.
Ora, quale equipollenza reale vi sarebbe fra diversi ma equivalenti trattamenti scolastici se vi fosse disparità (e magari pure ampia) di condizioni economiche per fruirne? Quale libertà vi sarebbe se i costi discriminassero? E che il trattamento scolastico riguardi anche la questione economica, e non solo la didattica o l’organizzazione, è evidente: quest’ultima viene infatti sancita nel comma 1 dell’art. 33 e sarebbe una ripetizione inutile se il comma 4 affermasse ancora semplicemente quella. Né si può asserire che sia equipollente un trattamento scolastico che tolleri, anzi istituisca quasi per principio oltre che di fatto, disparità economiche vincolanti e inibenti. La Costituzione è chiara nel rendere le parificate in tutto uguali alle statali: perché mai dovrebbero allora fare eccezione i costi che per essi sostengono le famiglie?

La famiglia, l’educazione, la libertà
Ciò chiarito, è evidente che la questione vera non è quella dell’eventualità di finanziare pubblicamente anche la scuola parificata, ma il principio inderogabile e costituzionale che delle parificate consente l’istituzione. La Costituzione italiana lo sancisce con l’art. 30, che precedendolo, fonda e vincola l’art. 33 sulla scuola: «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio» (comma 1). La Costituzione italiana recepisce, insomma, e fa proprio un principio non negoziabile: spetta alla famiglia il compito (fra l’altro) di educare i figli. Proprio perché ciò sia possibile in concreto, l’art. 33 sancisce la libertà d’insegnamento e permette l’istituzione di una pluralità di scuole anche non statali. La Costituzione consente dunque alle famiglie di scegliere liberamente dentro una pluralità di servizi scolastici, stabilendo in più che alcuni di quei servizi sono pubblicamente in tutto equivalenti a quelli statali. Perché mai, dunque, quei servizi dovrebbero costare diversamente ai fruitori? Perché alle famiglie italiane dovrebbe essere negato il bene stabilito dall’art. 30 della Costituzione attraverso una penalizzazione economica (volgare, si permetterà) che consiste anzitutto e soprattutto nel non permettere a esse di disporre liberamente del denaro che il diritto/dovere all’istruzione dei figli richiede (al di là della questione ambigua del finanziamento pubblico delle scuole parificate), acquistando il miglior servizio pubblico disponibile sul mercato, statale o non statale che sia?
La Costituzione italiana non penalizza la libertà di educazione che spetta alle famiglie, la quale viene però conculcata dallo stravolgimento della legge fondamentale del Paese operato da chi ancora ragiona come Bianca Bianchi (1914-2000), costituente eletta nel Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria che, il 24 aprile 1947, denunciò spaventata la concessione delle libertà ai cittadini con cui, a suo dire, lo Stato «[…] distrugge la propria funzione educativa, l’efficienza della propria missione, di promotore dell’organizzazione della educazione nazionale. Lo Stato non può delegare ad altri questa sua attività preminente, non la può spezzettare suddividendola così […]».

Dossier: SCUOLA-EDUCAZIONE: UN PROBLEMA ITALIANO

IL TIMONE N. 130 – ANNO XVI – Febbraio 2014 – pag. 39 – 41

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