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12.12.2024

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Serve una storia condivisa
31 Gennaio 2014

Serve una storia condivisa

 

 

 
 
La difficoltà a ricostruire una visione condivisa dei fatti storici nazionali è una delle principali cause di divisione all’interno del mondo cattolico italiano. Lo ricordava Augusto Del Noce, uno dei maestri dello storico Roberto de Mattei, che abbiamo intervistato. Alcuni segnali di speranza.
 
 
Il prof. Roberto de Mattei, 58 anni, sposato, padre di cinque figli, insegna Storia Moderna all’Università di Cassino e Storia del Cristianesimo e della Chiesa all’Università Europea di Roma, presso cui coordina il nuovo corso di laurea in Scienze Storiche. È autore di numerose opere, fra cui una biografia di Pio IX (Piemme, Casale Monferrato 2000), tradotta in varie lingue e un recente volume dedicato a La Biblioteca delle Amicizie. Repertorio critico della cultura cattolica nell’epoca della Rivoluzione (Bibliopolis, Napoli 2005).

Professore, si può dire che Lei si occupi di storia da sempre, sia come studioso e docente, sia, più di recente, come vice presidente del CNR, con la responsabilità della ricerca nelle scienze umane in Italia. Come è nata questa sua passione?
«Il mio interesse, o come Lei dice, la mia “passione” per la storia, nasce e si alimenta a un forte amore per la verità.
Sono nato alla metà del Novecento, il secolo della “menzogna” eretta a sistema dalle ideologie totalitarie, ma anche da molti sistemi democratici. Il desiderio di conoscere e ristabilire la verità non solo sul piano dei principi, ma anche su quello dei fatti, mi ha spinto verso gli studi storici. Ha contribuito naturalmente l’ambiente familiare: sono cresciuto, per così dire, fra i libri, in una famiglia di universitari, ma decisivo è stato anche l’incontro con grandi maestri. Sono stato assistente di Armando Saitta, uno storico che univa il rigore filologico a una forte sensibilità per la storia delle idee, ma devo a Plinio Corrêa de Oliveira, che ho conosciuto grazie a Giovanni Cantoni agli inizi degli anni 1970, le linee di una teologia della storia, senza la quale ritengo non sia possibile comprendere né il nostro passato né il presente in cui siamo immersi».

Quali sono stati altri maestri intellettuali che l’hanno segnata?
«Augusto Del Noce in primo luogo, ma anche Cornelio Fabro e Marcel De Corte, per limitarmi ad alcune grandi figure che ho conosciuto e frequentato. Sono tutti filosofi. Non saprei trovare, nell’ultimo trentennio del Novecento, nomi analoghi tra gli storici. La debolezza storiografica caratterizza il pensiero cattolico moderno, che si è subordinato ai dogmi della cultura immanentistica, liberalcrociana e gramsciana».

Quali sono questi dogmi storiografici?
«L’idea, innanzitutto, che non esistano valori oggettivi, trascendenti la storia, con la conseguente rinuncia all’interpretazione degli avvenimenti e alla ricerca di ogni forma di verità e di certezza nella storia. Ma anche il dogma secondo cui la storia non è fatta dagli uomini ma dalle strutture sociali, con la conseguente proscrizione di quelle grandi biografie che un tempo ci avvicinavano alla storia. Quindi il primato attribuito a scienze, come la sociologia, la psicanalisi, la statistica, la demografia, la linguistica, trasformate da “scienze ausiliarie” a scienze per così dire primarie; la preminenza della “microstoria” sulla “macrostoria”, con il conseguente mito della storia sociale che procede dal basso contrapposta alla storia istituzionale che viene dall’alto».

Che cosa è per lei la storia?
«La storia non è mera esposizione dei fatti, ma autentica “conoscenza”, un’indagine critica volta a ricostruire gli eventi in maniera ordinata, attraverso parametri e giudizi di valore. Lo storico dimostra la sua obiettività non quando rinuncia a esprimere il proprio giudizio, ma quando si rifiuta di deformare e di manipolare i fatti per giustificare una tesi preconcetta. Se si rinuncia a giudicare il passato in nome di valori che trascendano il mero flusso degli avvenimenti, non si potranno mai spiegare e condannare fenomeni abnormi quali il nazismo e il comunismo. L’uomo del secolo XXI ha bisogno di conoscere la verità su quanto è accaduto nei secoli che lo hanno preceduto e soprattutto nel secolo XX, forse il più drammatico della storia: il secolo dei totalitarismi e dell’annientamento della persona umana. Senza questa visione assiologica degli eventi storici, siamo costretti ad accettare come un valore tutto ciò che avviene, in quanto avviene».

E per quanto riguarda la storia italiana?
«Non vi sono pagine della memoria degli italiani che debbano essere escluse a priori da questa rivisitazione assiologica.
Occorre ricostruire il tessuto sociale e la memoria storica di una Italia che non è nata il 2 giugno 1946 e neppure il 17 marzo 1861, ma è stata una nazione ricca di cultura e di tradizioni, ben prima di essere una Repubblica, o prima ancora uno Stato unitario: è in queste radici culturali, remote ma vive, che occorre cercare la nostra identità profonda. Ciò significa rimettere in discussione tante pagine della nostra storia nazionale, non solo recenti, contestando l’idea di quel processo obbligato di secolarizzazione della società che i Papi hanno definito «Rivoluzione».

Che cosa significa per lei essere uno storico cristiano?
«Lo storico cristiano non è colui che professa e pratica la religione cristiana e poi adotta il naturalismo quando si occupa di storia. Per il cristiano, l’uomo e la storia hanno il medesimo fine soprannaturale. Ciò significa che non esiste una storia puramente umana: la storia, prima di essere magistra vitae, è storia della salvezza, piano divino il cui significato ultimo può essere afferrato solo dalla fede. Se è vero che è impossibile conoscere l’uomo nella sua totalità al di fuori della Rivelazione soprannaturale, è altrettanto vero che non è possibile spiegare i fatti storici ignorando l’azione dello Spirito Santo e della grazia. Gli storici cattolici hanno smarrito il senso teologico della storia ed è da qui, io credo, che occorre ripartire».

Che cosa pensa della “nuova storiografia”, ossia di quei giovani studiosi che stanno rimettendo in discussione tanti luoghi comuni?
«I migliori contributi stanno venendo al di fuori delle strutture universitarie. Penso ai libri di Francesco Mario Agnoli, Angela Pellicciari, Massimo Viglione, agli studi dell’Isiin, a siti Web come Storialibera e Storia e Identità, e, a cavallo fra la sponda accademica e quella divulgativa, a una rivista come Nova Historica. Penso anche a una iniziativa che mi sembra oggi fra le più promettenti: la nascita di una facoltà di studi storici presso la nuova Università Europea di Roma, promossa dalla congregazione dei Legionari di Cristo. Presso questa università si è svolto il 17 marzo scorso un convegno internazionale sulle crociate, che ha riproposto l’importanza e la fecondità di questo capitolo della nostra storia. Sono più che mai convinto che nella storia dell’Europa e dell’Occidente cristiano potremo attingere le risorse spirituali e morali di cui abbiamo bisogno per affrontare le grandi sfide del XXI secolo».

 

 

 

 

IL TIMONE – N. 53 – ANNO VIII – Maggio 2006 – pag. 28 – 29

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