La musica moderna non veicola solo messaggi negativi. All’esempio di quanti, cantando, inneggiano alla droga si contrappone quello di cantautori che impiegano le note musicali al servizio della fede. Conosciamone alcuni.
«Citatemi un gruppo rock che non abbia in repertorio un pezzo che inneggia all’LSD e alla marijuana», disse una volta Timothy Leary, il più famoso sostenitore delle droghe allucinogene, adorato come un “guru” dai movimenti “hippy” degli anni sessanta. Forse si tratta di una dichiarazione un po’ esagerata, perché non tutta la musica rock propone questo tipo di non-cultura. Ma, al tempo stesso, può rappresentare un campanello d’allarme e spingerci a riflettere su un grave problema che tocca da vicino il mondo dei giovani.
La musica, oggi, si può considerare il più grande spot pubblicitario, capace di raggiungere il cuore di milioni di persone. I suoi messaggi sono in grado di influenzare le mode, i pensieri, i comportamenti della gente.
I cantanti rock sono considerati dei veri e propri idoli, circondati da una venerazione quasi religiosa. Tanti ragazzi sono soliti scrivere sui propri diari i testi delle loro canzoni, assimilandone i contenuti.
Attraverso un certo tipo di musica, quindi, i giovani hanno la possibilità di avvicinarsi a dei modelli positivi o negativi. A questo proposito, non si può negare che moltissimi cantanti abbiano fatto pubblicità alla droga attraverso le loro canzoni. Oppure l’hanno esaltata nelle loro interviste e dichiarazioni pubbliche, proponendola come un’abitudine normale ed accettabile.
Ancora oggi, purtroppo, non si è cancellata l’immagine dell’artista bravo, creativo, ma al tempo stesso necessariamente “sballato”, protagonista di una vita senza limiti e senza regole.
Il chitarrista Jimy Hendrix, ad esempio, aveva un “assaggiatore” di acido personale, per controllare la qualità della merce comprata. Mentre Jim Morrison, cantante dei Doors, definiva la droga “una scommessa con la mente”. Quasi una sfida, per raggiungere chissà quali obiettivi.
Ma non sarebbe ora di cominciare a rovesciare certi stupidi luoghi comuni? Un cantante, per essere creativo, deve necessariamente iniettarsi eroina o annusare cocaina? Non dimentichiamo che molti artisti hanno visto la loro vita distrutta a causa di certi vizi. Un caso clamoroso è quello di Syd Barrett, geniale compositore dei primi Pink Floyd, autore di brani indimenticabili come “Arnold Layne” e “See Emily Play”. Purtroppo, l’abuso di allucinogeni lo costrinse ad abbandonare il gruppo e a ritirarsi dall’attività musicale. Senza contare, poi, la lunga lista di artisti morti in seguito alla tossicodipendenza: Jim Morrison, Tim Buckley, Syd Vicious, Tommy Bolin e centinaia di altri. Un immenso “obitorio rock”, che non accenna a svuotarsi.
Altrettanto pericolosa è l’idea della banalizzazione di droghe ritenute, erroneamente, meno dannose di altre. Parlando di “erba”, il maggiore esponente della musica “reggae”, Bob Marley, ha detto: «È solo una cosa naturale e cresce come un albero». Mentre Manu Chao, l’artista più adorato dai “no-global”, non sembra aver provato alcuna vergogna nel rivelare: «Me gusta marijuana».
Certi cantanti, sapendo di rivolgersi direttamente ai giovani, dovrebbero avere un comportamento più responsabile e non andare in giro a sbandierare simili abitudini. Il rischio più grande è quello di far credere ai ragazzi che il consumo di droga non sia realmente pericoloso e che si possa tranquillamente convivere con questo vizio.
Nel mondo della musica, fortunatamente, stanno aumentando le testimonianze di artisti che abbandonano la droga e diventano modelli positivi per i giovani. Un caso significativo è quello di Roberto Bignoli, cantautore portatore di handicap, protagonista di una storia bellissima.
Roberto ha vissuto da bambino l’esperienza della povertà e della malattia, per passare successivamente a quella della droga e del carcere. Ma poi è arrivata la luce. L’amore per Gesù ha cambiato radicalmente la sua vita, indicandogli una strada nuova. «Nella mia gioventù, provavo una profonda sensazione di rabbia – ha dichiarato Roberto – e l’ho sfogata attraverso l’esperienza della droga.
Sono stati anni difficili, in cui mi illudevo di trovare la felicità fuggendo dal mondo. Poi, col passar del tempo, ho capito che tutto questo era un inganno. La droga non può e non potrà mai essere una risposta, una soluzione ai propri problemi. È ciò che cerco di comunicare, oggi, ai giovani. Vorrei invitarli ad usare la testa e a capire che la vita non può essere sprecata in questo modo. Deve diventare, invece, una stupenda occasione per fare del bene e aprirsi agli altri».
Un’altra bellissima testimonianza è quella del cantautore canadese Denis Grady. Dopo essere stato in cura in un centro terapeutico per drogati ed alcolisti, ha dato una svolta alla sua vita, dedicandosi all’impegno sociale. Oggi si esibisce spesso nelle carceri, nelle mense per i poveri e negli ospedali. «Gesù aveva un amore sorprendente per gli avviliti e gli smarriti – ha dichiarato Denis – erano i suoi amici. Dio vuole che noi andiamo incontro agli altri, nello stesso modo in cui Lui ha amato noi».
In questo spirito di servizio si inserisce l’impegno di tanti sacerdoti e suore che alternano l’attività pastorale a quella della musica.
Fra questi, ricordiamo il prete-cantautore Paolo Auricchio, cappellano presso l’Istituto Penale Minorile di Nisida. «In questo carcere, molti giovani detenuti provengono dalla tossicodipendenza – ha spiegato Don Paolo – ho potuto sperimentare con gioia la forza che una parola di vita può infondere anche in una storia ferita, conducendo in maniera stupefacente le persone a divenire capaci di buone notizie per sé e per gli altri». Qualcosa, dunque, sta cambiando nel mondo della musica. Non tutto il rock viene per nuocere.
Anzi, a volte, può offrire un messaggio di speranza e di fede profonda, in alternativa a certi incoscienti personaggi che ancora oggi si ostinano ad esaltare la droga.
È questa la strada da percorrere per cambiare gli equilibri del mondo discografico: sommergere il male con un mare di bene, cantando inni alla vita al posto di quelli per la marijuana.
BIBLIOGRAFIA
Carlo Climati, Il popolo della notte, Paoline Editoriale Libri, 2002.
Giampaolo Mattei, Giosy Cento in concerto, Paoline Editoriale Libri, 2003.
Matteo Zambuto, Generazione Giovani, Paoline Editoriale Libri, 2003.
IL TIMONE – N. 32 – ANNO VI – Aprile 2004 – pag. 16 – 17