Il nuovo pontificato comincia da dove era finito il precedente: dalla centralità di Cristo e dall’adesione a Lui. Tutte le sfide che la Chiesa deve affrontare dipendono da questa radice, sia che si parli di disobbedienza nel clero e fra i vescovi sia che si affrontino i problemi della Curia
«Senza Gesù Cristo diventeremo una Ong pietosa». Queste parole pronunciate da papa Francesco nella prima messa da Pontefice con i cardinali mettono in evidenza la profonda continuità con Benedetto XVI riguardo al giudizio sulla Chiesa e sul mondo. Vale a dire che il nodo centrale è la fede, la crisi che avvolge il mondo e anche la Chiesa è anzitutto crisi di fede. Benedetto XVI ha indetto per questo l’Anno della Fede, papa Francesco ricomincia dallo stesso punto, sottolineando – anche con il suo stile personale – che l’unica ricchezza è Cristo, che l’unico compito che abbiamo è testimoniare Cristo.
Questa certezza, questo fondamento è la vera, grande sfida che la Chiesa ha di fronte perché la crisi di fede è anche la causa – prossima o remota – di tante situazioni critiche al suo interno. Anche gli scandali degli ultimi anni e degli ultimi mesi hanno in comune questa radice, e inoltre è evidente che stiamo andando verso un periodo di grande prova per la Chiesa, anzi è già iniziato. Vediamo molto chiaramente che la Chiesa è sottoposta a un attacco globale: certamente dall’esterno, con la persecuzione aperta che subisce in molti paesi – a cominciare da quelli a maggioranza islamica – ma anche con la crescente intolleranza e discriminazione nei paesi di antica civilizzazione cristiana. Ne sono un esempio negli Stati Uniti l’attacco alla libertà religiosa da parte dell’amministrazione Obama, con il tentativo di obbligare tutti i datori di lavoro a pagare assicurazioni sanitarie che comprendano aborto e sterilizzazione, e in Europa l’insofferenza per l’esposizione dei simboli religiosi, l’attacco all’obiezione di coscienza e il tentativo di rendere obbligatorio il riconoscimento delle unioni gay anche per le confessioni religiose.
Ma l’attacco più pericoloso – come ha avvertito Benedetto XVI – è quello che viene dall’interno della Chiesa, a cominciare da quel “pensiero non cattolico” che già Paolo VI avvertiva entrato e che oggi ha decisamente conquistato ampi spazi e molte menti. Non per niente un punto cruciale per il futuro della Chiesa passa dalla formazione nei seminari e nelle facoltà teologiche, dove sempre più spesso si spacciano le opinioni di singoli teologi per dottrina della Chiesa, dove i contenuti della fede cristiana vengono dati erroneamente per scontati o tranquillamente sostituiti da tesi e critiche che ne distruggono il valore. Molte verità di fede sono ormai banalizzate o derubricate a simboli – dai miracoli compiuti da Gesù alla Resurrezione, fino al giudizio finale e all’esistenza dell’inferno – o anche “aggiornate” nel vano inseguimento al mondo. È il caso, ad esempio, dell’identità di genere che non per niente Benedetto XVI, nel discorso alla Curia Romana alla vigilia dello scorso Natale, ha definito come la maggiore sfida che la Chiesa si trova davanti. Nel rifiuto di riconoscere il dato naturale, ovvero l’esistenza dall’origine di maschio e femmina, e nel sostituirlo con la propria decisione di appartenere a questo o a quel genere a seconda del momento – ha avvertito papa Ratzinger – si nasconde la negazione della Creazione, la negazione di Dio e perciò stesso dell’uomo. Si capisce dunque come sia questo il punto cruciale su cui si gioca il futuro dell’uomo. E anche della Chiesa, visto che ormai sempre più scopertamente si insegnano nelle facoltà teologiche – e anche nelle parrocchie e nei giornali cattolici – approcci tesi a inglobare la teoria del genere nella dottrina della Chiesa. I danni provocati da questa situazione dovrebbero essere chiari a tutti, se si consideri che anche il cosiddetto “scandalo pedofilia” affonda le radici in questo rovesciamento della Creazione, teorizzato e praticato. Bisogna, infatti, ricordare che quasi il 90% dei casi di pedofilia accertati – è un dato riferito agli Stati Uniti, ma è indicativo per tutte le altre situazioni – in realtà sono casi di omosessualità: gli abusi non si rivolgono infatti a minorenni in età prepuberale (tecnicamente solo questa è la pedofilia) ma ad adolescenti maschi (efebofilia) e rientrano dunque tra i problemi legati all’omosessualità. Se molto è stato fatto, grazie alla linea decisa assunta da Ratzinger, per fermare gli abusi, resta però l’origine del problema, ovvero la giustificazione e la legittimazione di una tendenza e un comportamento oggettivamente disordinato, come dice il Catechismo della Chiesa cattolica.
Se in questo caso passa soprattutto attraverso l’insegnamento, in modo strisciante, senza contrapporsi apertamente al Magistero, la disobbedienza in altri casi si fa aperta. Negli ultimi anni ci sono state iniziative clamorose, soprattutto in Europa, di preti e vescovi che si sono ribellati, con documenti scritti, alla Tradizione della Chiesa in materia di morale sessuale, di celibato dei sacerdoti, di sacerdozio alle donne. Argomenti che non sono certo nuovi, ma è nuova l’ampiezza del fenomeno che in alcuni Paesi – vedi Svizzera, Austria, Germania – sembra interessare fette rilevanti del clero e anche dell’episcopato. E a questo proposito non si può non notare come sempre più apertamente ci siano episcopati che spingono verso un allentamento dei legami con Roma, verso una “regionalizzazione” della Chiesa (come l’hanno definita alcuni vescovi tedeschi) in nome di un malinteso concetto di collegialità che non è quello auspicato dal Concilio Vaticano II. Le tensioni su questo punto sono forti e ci vorrà grande saggezza e grande fermezza per evitare che si arrivi a situazioni drammatiche di divisione.
I problemi però non sono solo in periferia, il caso Vatileaks ci ha messo di fronte alla spiacevole realtà che esiste anche all’interno delle Mura vaticane. In questo periodo si è più volte sentito ripetere che è necessaria e urgente una riforma della Curia, ma spesso si affronta la questione come se si trattasse di una resa di conti o di un processo di “spending review” come anche il governo italiano cerca di fare. Gli scandali accaduti non sono evidentemente un problema di organizzazione o burocrazia, ma piuttosto di cuore. È, perciò, anzitutto necessario un cammino di conversione e di penitenza, come si è giustamente chiesto alle Chiese maggiormente coinvolte negli scandali sessuali. E poi sarà necessario snellire e organizzare gli uffici e i collaboratori del Papa in modo che siano davvero a servizio della missione della Chiesa. In questa prospettiva, un capitolo importante dovrebbe averlo la comunicazione. Si deve essere consapevoli che il messaggio della Chiesa passa oggi dai media, e il contenuto del Magistero può essere vanificato da una comunicazione sbagliata. Abbiamo purtroppo visto durante il pontificato di Benedetto XVI come sia facile che si creino incomprensioni e addirittura passino messaggi opposti a quelli voluti, a causa di “errori” dei collaboratori del Papa. Per quanto la comunicazione diretta che offrono i nuovi media sia importante, non sarà certo l’inseguimento di Twitter e Facebook a risolvere il problema. Sarà invece importante che anche le strutture di comunicazione della Santa Sede siano coordinate in modo da rendere univoco e chiaro il Magistero del Papa.
IL TIMONE N. 122 – ANNO XV – Aprile 2013 – pag. 14 – 15
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