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Siamo polvere, e ce ne siamo dimenticati
31 Gennaio 2014

Siamo polvere, e ce ne siamo dimenticati

Il timore dell’inferno poteva trattenere dal peccato, mentre oggi prevale un’etica senza sanzioni. Nel Vangelo Gesù ricorda l’inferno e minaccia chi non l’ascolta di condanna eterna. La fede nell’aldilà è il tratto distintivo del cristiano, mentre il consumismo nasce dalla dimenticanza della morte.

I giornali sono abituati a mettere il suo nome nelle cronache politiche; e molti confratelli e altrettanti cattolici storcono il naso appena a leggerlo, per colpa delle diverse e discutibili casacche di partito che – nel tempo – ha indossato sopra la tonaca. Ma che farei, don Gianni Baget Bozzo la politica l’ha nelle vene. La sua brillante intelligenza e la sua cultura profonda, però, don Gianni le ha messe anche al servizio della teologia, per esempio quando – divenuto prete – fu il braccio destro di Giuseppe Siri, il cardinale genovese spesso tacciato di «tradizionalismo». Né oggi, a 78 anni, ha spento la voglia d’andare controcorrente col suo pensiero che si nutre di cose antiche, come la dottrina di san Tommaso, e di cose nuove, quali una conoscenza critica delle filosofie moderne. Don Baget Bozzo ricorda con nostalgia quando si predicavano i Novissimi.

Morte, giudizio, inferno, paradiso. Don Gianni: così si insegnava una volta a catechismo. Ma oggi nella Chiesa sono ben pochi che predicano ancora «le cose ultime», i Novissimi appunto.


«La colpa è della secolarizzazione della teologia. Più che una disciplina che inizia al mistero cristiano, infatti, essa è diventata storia della teologia, cioè una materia accademica che tratta realtà storiche (anche se di storia del cristianesimo) ed ha quindi una dimensione semplicemente terrestre. Sono spariti dalla ricerca teologica concetti fondamentali come quello di anima o di spirito, realtà non sperimentabili sensibilmente perché non hanno fondamento materiale. Si parla un poco di più di risurrezione della carne, ma anche di questa senza più fondamento teologico: perché non si può comprendere l’entità della persona risorta senza il concetto di anima immortale».

La morte, appunto: prima in chiesa la si evocava forse troppo, adesso i preti non ne parlano più. Come mai?

“Una volta circolava un detto: ricordati i tuoi novissimi e non peccherai. Non c’è dubbio infatti che il timore dell’inferno poteva trattenere dal peccato; e infatti che cosa scoraggia oggi il peccatore? Abbiamo costruito un’etica senza sanzioni. Nel Vangelo invece Gesù ricorda più volte l’inferno e minaccia chi non l’ascolta di condanna eterna».

Comportarsi come se fosse l’ultimo giorno di vita. L’«apparecchio per la buona morte». Ricordati che sei polvere… Tutte pratiche cattoliche finite chissà dove. È giusto così?

«Erano preghiere per prepararsi a morire. Facevano paura ai fedeli? Allora vuoi dire che preferiamo una morte anonima a quella vissuta come un evento cristiano… Ricordo ancora, ai sassi di Matera negli anni Cinquanta, l’emozione vedendo passare il prete che portava il viatico a un moribondo, con la gente sugli usci. Quella era una morte nominata, personale; oggi anche la fine della vita è diventata anonima, è rimossa, avviene in solitudine. Aggiungere alla sofferenza la solitudine: se questo è umanesimo…».

Della morte si dovrebbe parlare di più, dunque, anche dal pulpito?

«Ma non è tanto dalla predicazione che la morte è assente, bensì dalla preghiera della Chiesa; il che è più grave. Un tempo alla fine della messa si cantava: “In paradiso ti portino gli angeli…”.
Oggi la parola anima è addirittura scomparsa dalla liturgia, si trova solo nell’ultima preghiera per i defunti, quando si dà al morto l’estremo saluto e allora per non parlare di cadavere si pronuncia il vocabolo “anima”».


Paura di far troppa paura ai fedeli, forse?


«lo penso piuttosto a un eccessivo conformismo con l’ambiente sociale: oggi solo chi lavora ed è presente in società conta qualcosa. Così la gente non pensa più alla morte, anche se essa incombe tutti i giorni in modo anonimo sui giornali, nei film, alla tv. Il consumismo è anche frutto di questa dimenticanza della morte».

Prego?

«Ma sì. Se la vita è solo un piacere passeggero, si deve godere qui e ora nel massimo grado possibile, come pensavano gli antichi pagani. Così oggi si consuma affannosamente per cercare di sfuggire a una vita transeunte, limitata; e che diventa un inferno perché si è prigionieri di un presente senza seguito».

In compenso dilagano i film dell’orrore e i teschi sono diventati proprietà privata delle sette sataniche. Crede che ci sia un nesso col fatto che in chiesa non si parla più d’inferno e neanche del demonio?

«Non c’è dubbio. Ma non è solo questo: la paura della morte è diventato l’incubo della vita.
Togliendo la vita eterna all’uomo, infatti, la vita mortale diviene una triste cosa. La morte ha sempre fatto una paura assoluta; però ieri c’era almeno una speranza di sopravvivenza postuma».


Qualcuno direbbe che sta appunto qui il ricatto dei preti: promettere l’aldilà per far digerire ogni sopruso nell’aldiquà.


«Evidentemente chi non crede può pensarlo. Ma la Chiesa non può rinunciare a dire le parole della vita eterna. Se uno non crede nell’aldilà, infatti, che cristiano è? Solo uno che fa le opere buone? Ma anche un ateo può avere buon cuore…
Bisogna tornare a predicare ciò che dice il vangelo, il quale spessissimo accenna al giudizio divino, al premio e al castigo. E la gente sarebbe felice che le parlassero di vita eterna, perché non ha più speranza. L’uomo è fatto di speranza, invece oggi si vive in solitudine».

Che immagini usare per descrivere inferno e paradiso, oggi che c’è addirittura la realtà virtuale?

«Chiaro che non si possano più presentare le fiamme dell’inferno; però l’immagine della fiamma evocava bene l’idea della forza del giudizio universale. L’inferno sarà piuttosto la lontananza da Dio per l’eternità, l’impossibilità di amarlo. Il paradiso invece significa divenire una sola cosa con Lui: diventare Dio per unione. Guardate l’islam, che promette ai kamikaze un aldilà in cui li attendono 70 vergini e terre in cui scorrono latte e miele: almeno predica un Dio che farà risorgere, e in questo è più accorto di certa teologia cattolica. Del resto, non lo dice il Vangelo che i figli delle tenebre sono più scaltri di quelli della luce? ».

“Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi, come è detto nel Nuovo Testamento. Questa affermazione mi mette in una posizione molto tranquilla. Sono sicuro che per questa volontà si salveranno tutti, tranne quelli che esplicitamente si chiuderanno alla volontà salvifica di Dio”.
(Giacomo Biffi, L’Aldilà, Elledici Leumann 1998, p. 28).

Dossier: Nostra sorella Morte

IL TIMONE N. 37 – ANNO VI – Novembre 2004 – pag. 42 – 43

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