Molta della musica che oggi va per la maggiore non apre al Mistero. E quindi chiude la porta alla Bellezza e alla Verità.
Qualche volta è meglio il Silenzio.
È piuttosto difficile, oggi, attraversare una giornata intera senza sentire, in un modo o nell’altro, un po’ di musica: anche se non si vuole, da una casa di fronte, dalla televisione del vicino sempre accesa, da un’auto con la musica che copre il suono del motore che ci affianca ad un semaforo.
Ma che musica è? Che razza di musica è quella che sentiamo, ma non ascoltiamo, quella che subiamo, ma non scegliamo? E soprattutto a cosa porta e cosa produce la musica che ci circonda e con cui siamo costretti a convivere? E, senza volere separare artificiosamente il testo dalla melodia e dal ritmo, qual è il messaggio che autori e interpreti vogliono portare?
Mi sembra che, almeno in questi ultimi anni, ci sia stata una involuzione nel campo della musica leggera (italiana e non) che rasenta la tragedia culturale della eruzione di un vulcano che con la sua cenere e i suoi lapilli copre secoli di storia. Il primo risultato è che non siamo più capaci di ascoltare e la musica è diventata “il mondo della musica” con la sua coreografia, i suoi riti, ì suoi idoli (assolutamente intercambiabili) e la manovella viene girata dal signor Denaro per cui un pezzo (così lo chiamano i produttori) se vende è bello.
Ho tentato di ascoltare il Festival di Sanremo, ma non ci sono riuscito: è stato più forte di me, ma non credo sia molto grave visto che, a distanza dì pochi mesi, quasi nessuno ricorda nulla dì quei giorni così” importanti” (considerato anche lo spiegamento di mezzi del servizio pubblico, prima, durante e perfino dopo); ho seguito per un po’ di tempo un noto canale televisivo che trasmette praticamente solo video e che tantissimi giovani seguono mentre “studiano” e ne ho tratto una profonda tristezza per la sottile menzogna che pervade la musica che viene prodotta oggi: è come se l’autore e anche l’interprete si ponesse continuamente davanti allo specchio e quello fosse il suo unico orizzonte. E non ci si sposta dallo specchio o per cantare quanto sono bello o per piangere per quanto sono brutto; e tutto quello che rientra nella t visuale dello specchio entra a far parte del gioco e non esiste altro. Un po’ ristretta come scelta di vita, no?
E non sono i temi affrontati che rendono bella una canzone. Un notissimo show, televisivo vive dell’ambiguità di chi tratta in modo serio cose cretine e in modo cretino cose serie: è che il tema viene svolto davanti allo specchio. Ho in mente una certa produzione di canzoni “religiose” nate davanti allo specchio con un santi no in mano, che oltre tutto ha il difetto di imitare e riprodurre pedissequamente stili e gusti, ma di venti anni fa. Meno male che sicuramente Dio ha un gran senso del comico!
Analizzando i testi (“testo” è già una parola impegnativa) di molte canzoni (anche” canzone” è une parola impegnativa) ci si imbatte in un analfabetismo di ritorno per lo meno preoccupante ed in una superficialità appiccicosa e contagiosa che ottiene il risultato di imprigionare la persona, tutta la vita, a livello adolescenziale, perché il punto discriminante su tutto è “me piace” o “nun me piace” e lì finisce il mondo. Del resto il successo enorme del “Grande Fratello”, che poi è la spettacolarizzazione del buco della serratura (un buon sottotitolo potrebbe essere “Telecamere e bidet”), la dice: lunga sulla umanità profonda dei protagonisti e degli spettatori, o meglio dei guardoni.
Perché lo specchio non si rompa, perché tutto sia più facile, perché non ci sia la “fatica”, la gioia è stata sostituita dall’allegria e dalla confusione; il dolore dalla rabbia che è più a buon mercato e non pone domande perché la colpa è sempre di un altro; la passione dal sesso con ampia facoltà di scelta; i sentimenti dagli istinti e le parole – pensate come può essere bella ed evocativa anche una sola parola – dai grugniti o dai versi (non quelli poetici)… e Narciso è pago.
Più si abbassa il livello e più Narciso è felice e così (potrei citare delle canzoni precise, ma non voglio sporcare Il Timone) lo specchio delle mie brame finisce per diventare specchio delle mie braghe… ascoltare per credere.
Narciso è così pago di contemplarsi che non si accorge di null’altro, figuriamoci se si accorge dell’Altro!
È Narciso oggi il vero Anticristo.
Eppure, davanti alla grandezza ed unicità della vita è così evidente che non si diventa veri guardando lo specchio, si diventa veri guardando il Mistero… Anche se la parola è abusata, anche se un cantante inutile ne ha fatto una canzone pseudo/profonda, anche se ci sono i maghi che ci marciano, la parola Mistero è la scintilla della Bellezza e della Verità nella Storia di tutti e di ognuno: è la presenza misericordiosa di Dio nel mondo, è il Destino di Salvezza per l’uomo, ogni uomo.
Anche in una canzone ci può essere una Scintilla del Mistero e ce ne sono di canzoni belle che aiutano a vivere e a sperare, ma sono quasi nascoste e coperte dal rumore imperante e continuo: certo bisogna avere il coraggio di rompere lo specchio, sia per chi le inventa, sia per chi le ascolta, e rompere lo specchio può volere dire farsi male, ma niente è peggio di continuare a contemplarsi mentre la vita scorre.
Il problema non è tanto se il rock è la musica del diavolo (conosco del rock e del blues che è così bello da portare inevitabilmente a Dio); il problema è che a rovinare una vita, a distogliere dalla Bellezza e dalla Verità (e perciò dalla Giustizia e dalla Carità) basta Narciso. Non è ininfluente ciò che i giovani guardano e ascoltano, anzi, ma se hanno fissato anche per un attimo solo l’Infinito, non lo possono più dimenticare e non si rassegnano più alla vita di prima.
Facciamoglielo vedere, cari colleghi, anche e per quanto ci è dato in una canzone. Ciò che più ci distingue dalle scimmie è la passione per la Verità della sua vita che ogni uomo ha dentro, qualunque sia il suo credo o la sua condizione. Quando ascoltiamo la musica, anche una piccola canzone, scegliamo quelle che più ci aiutano a vivere, ad essere noi stessi, ad essere veri e, se al momento non c’è, scegliamo il Silenzio che conduce al Bello e al Vero, più di certa musica.
La Notte Che Ho Visto Le Stelle
Parole e musica di Claudio Chieffo
11 febbraio 2002
A Renato & Carla
Aspetto che passi la notte
notte lunga da passare
e sento il mio cuore che batte
e non smette di sognare…
Vorrei ritornare bambino nella casa di mio padre,
le storie davanti al camino e la voce di mia madre…
La notte che ho visto le stelle
non volevo più dormire,
volevo salire là in alto per vedere…
e per capire.
Ascolto il silenzio dei campi
dove sta dormendo il grano
il giorno fu pieno di lampi,
ma ora il tuono è già lontano…
Vorrei ritornare bambino nella casa di mio padre,
le storie davanti al camino e la voce di mia madre…
La notte che ho visto le stelle
non volevo più dormire,
volevo salire là in alto per vedere…
e per capire.
La luna nasconde i suoi occhi
come donna innamorata,
il fiume l’aspetta nell’acqua
e una notte l’ha baciata…
Vorrei ritornare bambino
a guardare ancora il fuoco,
la Storia più grande è il Destino
che si svela a poco a poco:
La notte che ho visto le stelle
non volevo più dormire,
volevo salire là in alto per vedere…
e per capire…
IL TIMONE N. 26 – ANNO V – Luglio/Agosto 2003 – pag. 44 – 45