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15.12.2024

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Stato ‘vegetativo’? No, cosciente!
31 Gennaio 2014

Stato ‘vegetativo’? No, cosciente!


Il caso di Routley Scott, un canadese apparentemente non responsivo, dimostra che gli uomini in stato neuro-vegetativo, sebbene sembrino privi di consapevolezza, reagiscono a livello cerebrale agli stimoli esterni. L’eutanasia contrasta sia con il principio di uguaglianza tra gli uomini sia con il progresso scientifico


Un uomo, in stato neuro-vegetativo da dodici anni, ha comunicato ai suoi neurologi che non prova dolore. Si tratta di Routley Scott, canadese. Nel 2000, a causa di un incidente stradale, subì una gravissima lesione cerebrale. Dopo un breve periodo di coma, Scott è passato in quella condizione abitualmente detta di stato neuro-vegetativo. Questa è una condizione di grave disabilità, nella quale l’uomo alterna spontaneamente periodi di sonno e periodi di veglia, conserva le funzioni gastro-intestinali, cardio-respiratorie e ormonali. I genitori di Scott hanno sempre sostenuto che il figlio fosse cosciente e in grado di comunicare, magari sollevando un pollice o muovendo gli occhi.

Gli studi di Owen e Laureys

Nel frattempo due neurologi, Adrian Owen, allora dell’Università di Cambridge in Inghilterra, e Steven Laureys, dell’Università di Liegi in Belgio, pubblicarono uno studio intitolato Detecting awareness in the vegetative state [“Ricercare la consapevolezza nello stato vegetativo”] (in Science 2006, Sep 8, 313 (5792), p. 1402). Come sistema diagnostico usarono la risonanza magnetica funzionale. Questa visualizza l’attività sanguigna degli organi umani. In particolare, visualizza le variazioni che subiscono il flusso e l’ossigenazione del sangue nel cervello in dipendenza da determinati stimoli. Owen e Laureys sottoposero alla risonanza magnetico funzionale degli uomini, la cui diagnosi era lo stato neuro-vegetativo, e nel corso dell’esame diagnostico dissero a questi pazienti di immaginare di giocare a tennis e di camminare nelle stanze di casa. Alla richiesta dei neurologi, i pazienti in stato neuro-vegetativo, evidentemente, non fecero alcun movimento articolare, anche perché erano all’interno della macchina della risonanza magnetica, ma l’esame diagnostico rilevò l’attivazione emodinamica di diverse aree cerebrali, in particolare dell’area motoria supplementare, quella che programma i movimenti. Inoltre, questo risultato diagnostico fu confrontato con risultati ottenuti dalla risonanza magnetico funzionale condotta su persone sane e perfettamente coscienti: le aree cerebrali che si attivavano nel primo gruppo, quello dei pazienti in stato neuro-vegetativo, erano le stesse aree cerebrali che si attivano nel secondo gruppo, quello dei sani. La differenza più vistosa tra i referti diagnostici dei due gruppi era data dalla diversa intensità del flusso e dell’ossigenazione sanguigna. Il risultato più rivoluzionario di questo esperimento è che gli uomini in stato neuro-vegetativo, sebbene a livello di comportamento esterno sembrino privi di consapevolezza, reagiscono a livello cerebrale agli stimoli esterni, cioè all’invito del neurologo di immaginare di giocare a tennis o di camminare.
Successivamente, Adrian Owen e i suoi collaboratori hanno cercato di migliorare il metodo diagnostico, hanno definito meglio quali ordini dare ai pazienti, hanno semplificato le domande da porre al fine anche di ottenere risposte semplici come «sì» o «no» (cfr. Monti M.M. – Vanhaudenhuyse A. – Coleman M.R. – Boly M. – Pickard J.D. – Tshibanda L. – Owen A.M. – Laureys S., Willful modulation of brain activity in disorders of consciousness [La modulazione intenzionale dell’attività cerebrale nei disordini della consapevolezza], in New England Journal of Medicine 2010, Feb 18, 362 (7), pp. 579-589).
Sempre nel 2010 Adrian Owen ha lasciato Cambridge per continuare le sue ricerche in Canada presso il Brain and Mind Institute of Western Ontario, e qui ha sottoposto alla sua tecnica diagnostica Routley Scott. Per quanto avesse gli occhi aperti e avesse il ciclo spontaneo di sonno veglia, Scott non dava alcun segno di reagire ai test convenzionali, come gli stimoli visivi, uditivi, tattili. Sottoposto, invece, alla risonanza magnetico funzionale, Scott ha manifestato di rispondere intenzionalmente, con segnali emodinamici, alle domande e ai comandi posti da Owen. In particolare ha risposto «no» alla domanda «provi dolore?».
Quali conclusioni possiamo trarre da questi fatti?

Scienza e non solo…

Innanzitutto, non possiamo non rallegrarci per questo grande successo della diagnostica neurologica: i neurologi hanno individuato un metodo per comunicare con queste persone gravemente disabili. Dobbiamo sottolineare che i neurologi hanno conseguito tale successo perché:
– sono stati sempre animati dalla convinzione che le persone con diagnosi di stato neuro-vegetativo non sono morte, ma sono vive;
– hanno avuto l’audacia e la forza di fare ricerca, Owen ha dichiarato: «Da anni abbiamo lottato per capire cosa provassero i malati»;
– si sono posti l’obiettivo di migliorare la qualità della vita di queste persone gravemente disabili: Owen dice: «In futuro, potremmo porre loro domande per riuscire a migliorare la loro qualità di vita. Potrebbero essere cose semplici che riguardino, ad esempio, la frequenza in cui nutrirli o lavarli».
Questi particolari sono sicuramente un grande segno di attenzione e amore verso questi pazienti.
All’origine del successo scientifico c’è quindi una considerazione antropologica. L’uomo non è tale in ragione delle funzioni che di fatto espleta. Il fatto che uno sembri incosciente e che sembri non reagire con gli altri non incide sul suo essere uomo e quindi sul rispetto, la dignità e le attenzioni che noi dobbiamo riconoscergli. Detto in termini positivi: per il semplice fatto che è uno di noi e sta vivendo, la persona disabile ha i nostri stessi diritti fondamentali. Chi non accettasse ciò, negherebbe palesemente il principio dell’uguaglianza tra gli esseri umani, il principio laicissimo e rivoluzionario dell’égalité.

Né morto, né vegetale

Routley Scott si trova in una condizione, stato neuro-vegetativo, come quella in cui si trovavano Terry Schindler, più nota come Terry Schiavo, e Eluana Englaro. Molti qualificarono Terry e Eluana come «morte da anni», sulla base del fatto che non avevano attività di relazione, non reagivano agli stimoli esterni. Il caso di Routley Scott e gli studi di Adrian Owen dimostrano, invece, che le persone in stato neuro-vegetativo hanno un’attività cerebrale intenzionale, cioè reagiscono volutamente a stimoli provenienti dall’ambiente circostante, per quanto non producano reazioni esterne, con la voce, gli occhi e gli arti. Quindi, dobbiamo fare attenzione a non identificare lo stato neuro- vegetativo con la vita vegetale. Per questo ho curato sempre di aggiungere l’aggettivo “neuro”: la persona in questo stato è viva, per quanto sia gravemente handicappata.

L’importanza degli stimoli esterni e familiari
Le persone gravemente disabili, se vivono in un contesto ricco di stimoli, reagiscono, anche se a occhio nudo noi non osserviamo nulla. Se sono circondate da persone che parlano e le amano, producono delle reazioni nascoste, che sono segni di vita umana e ancor più di speranza, considerati i numerosissimi casi di ritorno a una condizione di vita che noi chiamiamo normale.

Il difetto è da parte nostra

Dobbiamo constatare che il difetto è da parte nostra: i nostri strumenti diagnostici standard sono insufficienti per rilevare l’attività cerebrale delle persone in stato neuro-vegetativo. Il problema è soprattutto nostro, perché non abbiamo degli strumenti di facile applicazione che ci consentano di decifrare l’attività e le reazioni intenzionali di questi pazienti. Constatiamo ancora una volta i limiti degli strumenti di osservazione: colgono solo qualche limitato aspetto. E così ci scontriamo con la cultura dominante la quale non solo non accetta mai nessun limite, ma non vuole neanche prendere atto che le capacità umane, in qualsiasi campo, anche in quello diagnostico e terapeutico, sono limitate e parziali. La constatazione del limite, oltre che essere doverosa e ragionevole, deve essere usata a nostro vantaggio, cioè stimolare la capacità di invenzione e di ricerca tipiche dell’intelligenza umana.

Le proposte di eutanasia

Alla luce delle quattro conclusioni precedenti diventa evidente che la proposta di “staccare la spina” – cioè di procurare la morte di queste persone con un’azione diretta (es. somministrazione di sostanza letale) o con una omissione (abbandono o sospensione delle terapie e/o degli atti di assistenza) – va contro il principio di uguaglianza tra gli esseri umani, ma è anche contro il progresso scientifico. Infatti, se fosse stata praticata l’eutanasia a Routley Scott e alle persone che hanno la sua stessa disabilità, i neurologi non avrebbero avuto alcuna motivazione alla ricerca, oggi non potremmo godere del successo delle loro ricerche, e non conosceremmo le evidenze scientifiche risultanti dalla risonanza magnetico funzionale.


Ricorda

«E la mera cessazione dell’agire non può cambiare la natura di un ente: un melo non smette di essere melo perché non produce più mele, un pesce non smette di essere pesce se non riesce più a nuotare e una persona non smette di essere persona se, in stato “vegetativo”, cessa di compiere attività razionali».
(Giacomo Samek Lodovici, Stati “vegetativi”, Routley insegna, cfr. bibliografia).


Per saperne di più…

Carlo Valerio Bellieni, Marco Maltoni, La morte dell’eutanasia, Società Editrice Fiorentina, 2006.
Alessandro Pertosa, Scelgo di morire? Eutanasia, accanimento terapeutico, eubiosia, Edizioni Studio Domenicano, 2006.
Giacomo Samek, Lodovici, Stati “vegetativi”, Routley insegna, www.lanuovabq.it/it/articoli-stati-vegetativiroutley-insegna- 5322.htm .

IL TIMONE N. 119 – ANNO XV – Gennaio 2013 – pag. 22 – 24

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