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12.12.2024

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Storia di un flop
31 Gennaio 2014

Storia di un flop

Dal 1996, anno del primo registro comunale delle unioni civili, solo poche decine di coppie di fatto hanno chiesto il riconoscimento pubblico malgrado la grande pubblicità dell’iniziativa. Il caso Piombino insegna…

Quella dei registri delle unioni civili è stata l’inizia-tiva che più di tutte, negli ultimi anni, ha fatto da apripista al dibattito sui Pacs, sollevando il problema del riconoscimento delle coppie di fatto agli occhi dell’opinione pubblica. Si tratta di elenchi istituiti presso gli uffici anagrafe di diversi Comuni italiani, iscrivendosi ai quali è possibile, per una coppia di fatto, ottenere un riconoscimento formale della propria esistenza. L’apertura di questi registri è stata accompagnata ogni volta dall’immancabile squillo di trombe (il sito dell’Arcigay di Milano ha collezionato 219 articoli usciti sulla stampa italiana sul-l’argomento), a cui è seguito un disinteresse pressoché totale da parte dei destinatari reali dell’iniziativa stessa. Una recente inchiesta di Andrea Morigi su Libero(14 gennaio) lo ha puntualmente confermato.

I primi registri sono stati istituti in Toscana. La prima città, per la precisione, è stata Arezzo, nel 1996: si sono iscritte subito sette coppie eterosessuali, di cui in breve tempo una è convolata a nozze e cinque si sono dissolte. Poi più nulla. Anche Pisa è partita nel 1996: da allora a oggi si contano 38 iscrizioni, esattamente come a Firenze. A Bolzano il registro esiste dal 2003: in tre anni nessuna iscrizione. Un po’ più di entusiasmo a Trento dove si contano attualmente 14 coppie. A Roma il registro esiste in uno solo dei 19 municipi in cui è suddivisa la capitale: nel giorno di apertura, nel marzo scorso, si sono iscritte tre coppie, da allora non molto è cambiato. In Friuli Venezia Giulia ci sono registri a Monfalcone (Gorizia) e Cervignano del Friuli (Udine): iscritte un paio di coppie. Nessuna iscrizione a Pizzo Calabro (Vibo Valentia) e a Atzara (Nuoro). Mentre a Bagheria (Palermo), primo paese siciliano ad aver introdotto l’innovativo strumento anagrafico, in due anni e mezzo si è fatta viva una sola coppia, omosessuale.
Una penuria di adesioni che, come detto, non pare imputabile alla scarsa pubblicità. In Toscana è significativo il caso di Piombino. Il 17 dicembre 2004 L’Unità annunciava: «Unioni civili a Piombino. Sì anche delle destre». Il sindaco diessino Gianni Anselmi sottolineava che «l’omosessualità ha sempre accompagnato la storia dell’uomo e non è una devianza, né un elemento di disgregazione della società, anzi il riconoscimento delle coppie gay costituisce un rafforzamento della stabilità sociale». Mentre Andrea Panerini, presidente dell’Arcigay, detto «Lorenzo il Magnifico di Piombino», commentava così: «L’unanimità col voto favorevole delle destre è un risultato eccezionale e sono orgoglioso che questo messaggio di unità sui diritti civili arrivi proprio da Piombino che può servire da esempio per altre realtà sul territorio nazionale. Ora lavoreremo al Regolamento attuativo e proporremo la delibera anche nei Consigli comunali limitrofi». Risultato, un anno e mezzo di stasi. Poi, il 29 marzo 2006, il sospirato frutto: una coppia iscritta.
Ragion per cui a qualcuno è sorto un dubbio. A Padova, il 5 dicembre scorso, una mozione proposta dal consigliere dei Ds e presidente regionale dell’Arcigay Alessandro Zan è stata approvata dal consiglio comunale, obbligando di fatto gli uffici comunali a rilasciare, su richiesta degli interessati, «l’attestazione di famiglia anagrafica basata su legami affettivi», notizia che ha suscitato il solito clamore a livello nazionale. Un dubbio, appunto: che ci sia da aspettarsi l’ennesima «Piombino»?

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Dossier: No Pacs!

IL TIMONE – N.60 – ANNO IX – Febbraio 2007 pag. 46

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